Nella
sentenza n.4607 del 10 settembre 2014, il Consiglio di Stato ha riepilogato i
termini con i quali l’Amministrazione può opporre silenzio-rifiuto alle domande
di emersione da lavoro irregolare degli extracomunitari.
Nel
caso di specie, un cittadino bangladese aveva impugnato dinnanzi al Tar delle
Marche il silenzio-rifiuto opposto dalla PA alla sua istanza di emersione (1), ritenendo
decorso il termine per la conclusione del procedimento individuato, in assenza
di una disposizione specifica.
Richiamando
una precedente sentenza (2), il Tribunale
Amministrativo aveva accolto il ricorso, ritenendo quale termine massimo di conclusione del
procedimento di emersione del rapporto irregolare quello generale cui all’art.2,
comma 2, della Legge n.241/1990, ovvero quello di 30 giorni (3).
Contro
questa sentenza l’Amministrazione aveva adito il Consiglio di Stato, deducendo
l’impossibilità di mutuare i termini di una procedura straordinaria come quella
di emersione dalle procedure ordinarie per il rilascio o il rinnovo del
permesso di soggiorno e sostenendo che l’applicazione del termine generale
previsto dall’art.2 della legge n.241/1990 sarebbe esclusa per i procedimenti
in materia di immigrazione dallo stesso art.2.
La
parte ricorrente, inoltre, aveva dedotto che lo stesso DPCM n.214/2012, nel
regolare i termini dei procedimenti amministrativi di durata non superiore a
novanta giorni, non considera tra questi
la procedura di emersione.
Investito
della questione, il Consiglio di Stato ha ritenuto fondato l’appello dell’Amministrazione,
richiamando a sostegno della decisione proprio la disciplina dei termini dei
procedimenti amministrativi prevista dall’art.2 della legge 241/1990.
In
proposito, infatti, è necessario considerare l’intera sequenza di norme
consecutivamente previste dai commi 2,3,4 del citato art.2:
"
2. Nei casi in cui disposizioni di legge
ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine
diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni
statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di
trenta giorni.
3. Con uno o più
decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi
dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei
Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica
amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa, sono
individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono
concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali.
4. Gli enti
pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non
superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di
propria competenza.
5. Nei casi in
cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo
dell'organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici
tutelati e della particolare complessità del procedimento, sono indispensabili termini
superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti di competenza
delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui
al comma 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica
amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa e previa
deliberazione del Consiglio dei ministri.
I termini ivi
previsti non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola
esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli
riguardanti l'immigrazione."
Considerata
la sequenza delle norme, appare del tutto evidente che l’esclusione della
materia dell’immigrazione di cui all’ultimo periodo del sopra riportato comma 4
riguarda l’intero sistema dei termini per il procedimento amministrativo
prevista dai tre commi e a maggior ragione il termine più breve previsto dal
comma 2.
Lo
dimostra anche il fatto che la disciplina attuativa del sopra riportato comma 3
per il Ministero dell’Interno adottata con il DPCM n. 214/2012, che regola i
termini dei procedimenti amministrativi di durata non superiore a novanta
giorni, di competenza del Ministero dell’interno, non considera tra questi la
procedura di emersione.
Il
Collegio ha poi precisato che anche il termine di 20 giorni previsto dall’art.
5, comma 9, del D.Lgs. n.286/1998 per il rilascio o il rinnovo del permesso di
soggiorno, non può applicarsi e comunque non è perentorio, come dimostrano le
disposizioni dell’articolo 9-bis del medesimo decreto che disciplinano la
situazione dello straniero conseguente al superamento del termine stesso
prevedendo la possibilità di svolgimento o di continuazione del lavoro a
determinate condizioni.
In
base alla lettura complessiva dell’impianto normativo di riferimento, il
Consiglio di Stato ha ritenuto del tutto
condivisibili le considerazioni svolte dalla difesa erariale in ordine alla non
estensibilità dei termini delle procedure ordinarie alla procedura di emersione
e quelle relative alla espressa esclusione della materia dell’immigrazione
dalla disciplina generale dei termini del procedimento amministrativo di cui
all’art. 2 della legge n. 241/1990.
Di
conseguenza, il Collegio ha accolto l’appello dell’Amministrazione ed ha
dichiarato infondato il ricorso in primo
grado, in quanto la procedura di impugnazione del silenzio della PA non può
applicarsi al caso di specie.
Valerio
Pollastrini
- - ex art.5 del D.L. n.109 del 16 luglio 2012;
- - TAR Marche, Sentenza n.464 del 19 giugno 2013;
- - TAR Lazio, Sentenza n.1018 del 24 dicembre 2012;
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