Ad
adire la Suprema Corte era stato il dipendente di un’azienda di trasporti che aveva
impugnato la sentenza con la quale la Corte di Appello di Trento non avrebbe determinato
in maniera adeguata la misura dell’indennità prevista dal “Collegato Lavoro” (1).
Il
ricorrente, in sostanza, aveva contestato alla
Corte del merito il mancato riconoscimento del numero massimo di mensilità di retribuzione globale di fatto,
nonché di non aver incluso nella suddetta
retribuzione il rateo di TFR.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto che il ricorso fosse privo di
fondamento per le stesse ragioni esposte in occasione di precedenti pronunce
relative ai casi del tutto analoghi riguardanti la medesima società (2).
In
merito alle censure promosse dal ricorrente, gli ermellini hanno ricordato come
l’art.32 della Legge n.183/2010 preveda espressamente che "nei
casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il
datore di lavoro al risarcimento del danno, stabilendo un’indennità
onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri
indicati nell'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604".
Lo
stesso articolo del Collegato Lavoro, inoltre, prescrive che i suddetti criteri
ai quali in giudice deve attenersi sono quelli del numero dei dipendenti
occupati, delle dimensioni dell’impresa, dell’anzianità di servizio e, da
ultimo, del comportamento e delle condizioni delle parti.
La
Suprema Corte ha quindi ricordato che si tratta di criteri elastici, così come
estremamente flessibile può essere la valutazione complessiva degli stessi, che consente al
giudicante molteplici combinazioni.
Secondo
la Cassazione, la motivazione fornita sul punto dalla Corte del merito risulta
immune da vizi logici o contraddizioni e, pertanto, la decisione impugnata non
può essere oggetto di una diversa valutazione in sede di giudizio di
legittimità.
A
proposito, invece, dell’ulteriore censura mossa da parte ricorrente, relativa
all’esclusione del Tfr dalla retribuzione utile ai fini risarcitori, gli
ermellini hanno rilevato che, non avendo il punto costituito oggetto di
specifico motivo di appello, tale esclusione deve ritenersi passata in
giudicato e, quindi, seppur nel mutato quadro normativo, non più sindacabile ai
fini del risarcimento del danno attraverso la ricomprensione del rateo nella
retribuzione globale di fatto di cui al comma quinto dell’art.32 cit.
Per
tutte le ragioni sopra riportate, la Cassazione ha concluso con il rigetto del
ricorso.
Valerio
Pollastrini
1)
-
art.32, quinto comma, della legge n.183/2010;
2)
-
Cass., Sentenze n.5198 e 6122 del 17 marzo 2014;
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