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giovedì 7 agosto 2014

Quando l’attività sportiva è incompatibile con la malattia del lavoratore

Nella sentenza n.17625 del 5 agosto 2014, la Corte di Cassazione ha ritenuto  legittimo il licenziamento irrogato ad un lavoratore che, affetto da cervicale,  aveva partecipato ad un concorso ippico.

L’azienda aveva avviato la procedura di contestazione disciplinare ai danni del  dipendente assunto con la qualifica di esattore che, benché versasse in stato di malattia  a causa della "cervicalgia muscolo tensiva con difficoltà di movimento", aveva partecipato, in qualità di driver, ad un concorso ippico, presso l’ippodromo locale.

Dopo l’audizione con la quale il lavoratore aveva fornito  le proprie giustificazioni sull’accaduto, l’azienda aveva  inoltrato allo stesso una nuova contestazione, relativa alla  sua partecipazione  ad altro concorso ippico,  in contrasto con la malattia descritta nella certificazione medica prodotta.

Al termine della fase procedurale, il datore di lavoro aveva intimato al dipendente il licenziamento per giusta causa.

Il dipendente si era quindi rivolto al giudice del lavoro, sostenendo di aver svolto una attività compatibile con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa, ed inidonea a pregiudicare il suo  recupero delle normali energie lavorative.

Per tali ragioni, il ricorrente aveva impugnato il recesso ed aveva chiesto che la società venisse condannata a reintegrarlo nel posto di lavoro, con le conseguenze risarcitorie connesse alla applicabilità dell'art.18 della legge n.300/70.

Espletata l’attività istruttoria, il Tribunale aveva ritenuto illegittimo il recesso e tale pronuncia era stata successivamente confermata dalla Corte di Appello.

Contro questa sentenza, la società aveva adito la Cassazione, rilevando che il lavoratore avesse fraudolentemente simulato lo stato di malattia.

A tale proposito, la Suprema Corte ha più volte ribadito la legittimità del licenziamento del dipendente in malattia per il concomitante  svolgimento di altra attività che, di per sé, risulti sufficiente a far presumere l'inesistenza della patologia lamentata.

Parimenti,  la stessa Corte (1) ha  affermato in passato che lo svolgimento di altra attività giustifica il recesso qualora, in violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore.

Nel caso di specie, però, il giudice dell’appello aveva correttamente affermato che  il solo contemporaneo svolgimento di un’attività sportiva non fosse sufficiente ad escludere la sussistenza della "cervicalgia muscolo tensiva con difficoltà di movimento" lamentata dal dipendente.

Conseguentemente il thema decidendum doveva essere circoscritto alla verifica se l'attività sportiva agonistica, svolta dal dipendente in due diverse circostanze, avesse influito sulla sua possibilità di recuperare le energie psicofisiche.

Ai sensi dell’art.2110 c.c., infatti, lo stato di malattia  non necessariamente comporta l'impossibilità assoluta di svolgere qualsiasi attività, ma sancisce il  solo impedimento delle normali prestazioni lavorative del dipendente.

Per tale ragione, nel caso in cui un lavoratore assente per malattia  sia stato sorpreso a svolgere  altre attività, su di esso incombe l’onere di  dimostrare la compatibilità di dette attività con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa.

Si tratta di considerazioni dalle quali deriva il principio di diritto che, in linea generale, non esclude che il lavoratore assente  possa svolgere altra attività in concomitanza con la malattia.

Sul piano disciplinare, dunque, è necessario accertare se la partecipazione  ad eventi ludici o di intrattenimento,   non solo sia compatibile con lo stato di malattia, ma risulti conforme agli obblighi di correttezza e buona fede, in adempimento dei quali  il dipendente deve adottare ogni cautela volta al  recupero dell’idoneità al lavoro.

A questo proposito, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito (2) che l'espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore in malattia  giustifica  il recesso  solo se evidenzi una sua scarsa attenzione alla propria salute ed ai  relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione.

Tornando alla vicenda in commento, la Cassazione ha preso atto che l’accertamento peritale aveva accertato  che la malattia diagnosticata  rendeva il dipendente temporaneamente inabilitato a svolgere l'attività lavorativa di operatore al casello di pedaggio, connaturata da continue e ripetute rotazioni laterali del collo, unitamente al costante utilizzo dell'arto superiore sinistro.

La stessa analisi peritale, inoltre, aveva confermato che il suddetto  stato di malattia non era invece impeditivo dell'attività sportiva di driver, sia per la scarsa  durata della gara ippica che per  la mancanza di particolari scuotimenti o sollecitazioni al rachide.

La richiamata perizia, infine, aveva rilevato che i comuni presidi terapeutici contemplano per la malattia diagnosticata al lavoratore il riposo, e nelle fasi acute, l'assunzione di farmaci antidolorifici, antinfiammatori e miorilassanti.

Richiamando le risultanze della C.T.U., il giudice dell’appello si era limitato a verificare che le gare di trotto con calesse non comportassero «particolari scuotimenti o sollecitazioni del rachide» e, dunque, non potevano compromettere, né  ritardare, la guarigione del dipendente.

Gli ermellini hanno però rilevato che la Corte territoriale non aveva  esteso la sua indagine anche al rispetto dell'obbligo di correttezza e buona fede, in base ai quali  il lavoratore avrebbe dovuto adottare  quei comuni presidi terapeutici che, a detta del C.T.U., contemplavano il riposo per la patologia lamentata, nonché l’assunzione di antidolorifici, antinfiammatori e miorilassanti nelle fasi acute.

Secondo la Cassazione, nell’affermare che  la partecipazione  a due concorsi ippici non avesse inciso sulla doverosa attenzione che il lavoratore avrebbe dovuto prestare al suo recupero psico-fisico, l’impugnata sentenza aveva erroneamente contraddetto la risultanza peritale che imponeva il riposo per una pronta guarigione.

In conclusione la Cassazione ha ritenuto la pronuncia del merito viziata dal mancato approfondimento in merito all’obbligo del lavoratore in malattia di attuare comportamenti che ne  favoriscano la guarigione.

Queste, in sostanza, sono state le motivazioni che hanno indotto la Suprema Corte ad accogliere il ricorso aziendale.

Valerio Pollastrini

 
(1)   - Cass., Sentenza  n.6399 del 7 giugno 1995;
(2)   - Cass., Sentenza n.9474 del 21 aprile 2009;

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