L’azienda
aveva avviato la procedura di contestazione disciplinare ai danni del dipendente assunto con la qualifica di
esattore che, benché versasse in stato di malattia a causa della "cervicalgia muscolo
tensiva con difficoltà di movimento", aveva partecipato, in qualità di
driver, ad un concorso ippico, presso l’ippodromo locale.
Dopo
l’audizione con la quale il lavoratore aveva fornito le proprie giustificazioni sull’accaduto, l’azienda
aveva inoltrato allo stesso una nuova
contestazione, relativa alla sua
partecipazione ad altro concorso ippico,
in contrasto con la malattia descritta nella
certificazione medica prodotta.
Al
termine della fase procedurale, il datore di lavoro aveva intimato al
dipendente il licenziamento per giusta causa.
Il
dipendente si era quindi rivolto al giudice del lavoro, sostenendo di aver
svolto una attività compatibile con la malattia impeditiva della prestazione
lavorativa, ed inidonea a pregiudicare il suo recupero delle normali energie lavorative.
Per
tali ragioni, il ricorrente aveva impugnato il recesso ed aveva chiesto che la
società venisse condannata a reintegrarlo nel posto di lavoro, con le
conseguenze risarcitorie connesse alla applicabilità dell'art.18 della legge n.300/70.
Espletata
l’attività istruttoria, il Tribunale aveva ritenuto illegittimo il recesso e
tale pronuncia era stata successivamente confermata dalla Corte di Appello.
Contro
questa sentenza, la società aveva adito la Cassazione, rilevando che il
lavoratore avesse fraudolentemente simulato lo stato di malattia.
A
tale proposito, la Suprema Corte ha più volte ribadito la legittimità del licenziamento
del dipendente in malattia per il concomitante svolgimento di altra attività che, di per sé,
risulti sufficiente a far presumere l'inesistenza della patologia lamentata.
Parimenti,
la stessa Corte (1) ha affermato in passato che lo svolgimento di
altra attività giustifica il recesso qualora, in violazione dei doveri generali
di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di
diligenza e fedeltà, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro
in servizio del lavoratore.
Nel
caso di specie, però, il giudice dell’appello aveva correttamente affermato che
il solo contemporaneo svolgimento di un’attività
sportiva non fosse sufficiente ad escludere la sussistenza della "cervicalgia
muscolo tensiva con difficoltà di movimento" lamentata dal dipendente.
Conseguentemente
il thema decidendum doveva essere
circoscritto alla verifica se l'attività sportiva agonistica, svolta dal dipendente
in due diverse circostanze, avesse influito sulla sua possibilità di recuperare
le energie psicofisiche.
Ai
sensi dell’art.2110 c.c., infatti, lo stato di malattia non necessariamente comporta l'impossibilità
assoluta di svolgere qualsiasi attività, ma sancisce il solo impedimento delle normali prestazioni
lavorative del dipendente.
Per
tale ragione, nel caso in cui un lavoratore assente per malattia sia stato sorpreso a svolgere altre attività, su di esso incombe l’onere di dimostrare la compatibilità di dette attività
con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa.
Si
tratta di considerazioni dalle quali deriva il principio di diritto che, in
linea generale, non esclude che il lavoratore assente possa svolgere altra attività in concomitanza
con la malattia.
Sul
piano disciplinare, dunque, è necessario accertare se la partecipazione ad eventi ludici o di intrattenimento, non
solo sia compatibile con lo stato di malattia, ma risulti conforme agli
obblighi di correttezza e buona fede, in adempimento dei quali il dipendente deve adottare ogni cautela
volta al recupero dell’idoneità al
lavoro.
A
questo proposito, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito (2) che
l'espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del
lavoratore in malattia giustifica il recesso solo se evidenzi una sua scarsa attenzione alla
propria salute ed ai relativi doveri di
cura e di non ritardata guarigione.
Tornando
alla vicenda in commento, la Cassazione ha preso atto che l’accertamento
peritale aveva accertato che la malattia
diagnosticata rendeva il dipendente temporaneamente
inabilitato a svolgere l'attività lavorativa di operatore al casello di
pedaggio, connaturata da continue e ripetute rotazioni laterali del collo,
unitamente al costante utilizzo dell'arto superiore sinistro.
La
stessa analisi peritale, inoltre, aveva confermato che il suddetto stato di malattia non era invece impeditivo
dell'attività sportiva di driver, sia per la scarsa durata della gara ippica che per la mancanza di particolari scuotimenti o
sollecitazioni al rachide.
La
richiamata perizia, infine, aveva rilevato che i comuni presidi terapeutici
contemplano per la malattia diagnosticata al lavoratore il riposo, e nelle fasi
acute, l'assunzione di farmaci antidolorifici, antinfiammatori e miorilassanti.
Richiamando
le risultanze della C.T.U., il giudice dell’appello si era limitato a verificare
che le gare di trotto con calesse non comportassero «particolari scuotimenti o
sollecitazioni del rachide» e, dunque, non potevano compromettere, né ritardare, la guarigione del dipendente.
Gli
ermellini hanno però rilevato che la Corte territoriale non aveva esteso la sua indagine anche al rispetto
dell'obbligo di correttezza e buona fede, in base ai quali il lavoratore avrebbe dovuto adottare quei comuni presidi terapeutici che, a detta
del C.T.U., contemplavano il riposo per la patologia lamentata, nonché l’assunzione
di antidolorifici, antinfiammatori e
miorilassanti nelle fasi acute.
Secondo
la Cassazione, nell’affermare che la
partecipazione a due concorsi ippici non
avesse inciso sulla doverosa attenzione che il lavoratore avrebbe dovuto
prestare al suo recupero psico-fisico, l’impugnata sentenza aveva erroneamente
contraddetto la risultanza peritale che imponeva il riposo per una pronta
guarigione.
In
conclusione la Cassazione ha ritenuto la pronuncia del merito viziata dal
mancato approfondimento in merito all’obbligo del lavoratore in malattia di
attuare comportamenti che ne favoriscano
la guarigione.
Queste,
in sostanza, sono state le motivazioni che hanno indotto la Suprema Corte ad
accogliere il ricorso aziendale.
Valerio
Pollastrini
(1)
-
Cass., Sentenza n.6399 del 7 giugno 1995;
(2)
-
Cass., Sentenza n.9474 del 21 aprile 2009;
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