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giovedì 7 agosto 2014

Legittimo rifiutare le prestazioni fuori dall’orario di lavoro

Nella  sentenza n.17582 del 4 agosto 2014, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il comportamento di un dipendente pubblico che si era rifiutato di svolgere prestazioni straordinarie in occasione dei Consigli Comunali convocati in orario serale.

Nella premessa, la Suprema Corte  ha ricordato  che il D.P.R. n. 268/1987 (1), relativo al personale degli Enti Locali, prevede, al primo comma, che le prestazioni di lavoro straordinario sono rivolte a fronteggiare situazioni di lavoro eccezionali e non possono essere utilizzate come fatto ordinario di programmazione del tempo di lavoro e di copertura dell’orario di lavoro, mentre il secondo comma stabilisce che la prestazione di lavoro straordinario è disposta sulla base delle esigenze individuate dall’Amministrazione, rimanendo esclusa ogni forma generalizzata di autorizzazione.

Si tratta di disposizioni il cui intento è quello  di limitare il ricorso al lavoro straordinario ai fini del contenimento della spesa pubblica.

Parimenti, nessun obbligo per il dipendente è previsto in tal senso dal CCNL 1994-1997 per il personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali,  nonché dal successivo CCNL 1998-2001, il quale si limita a dettare previsioni in ordine alle risorse finanziarie utilizzabili per il lavoro straordinario e per il contenimento dello stesso, fissando il limite annuale massimo di 180 ore.

Posto dunque che nella specie trova applicazione il R.D. n. 692 del 1923 (2), la Cassazione ha sottolineato che il predetto art. 5-bis dispone, al secondo comma, che il ricorso al lavoro straordinario deve essere contenuto e che, "in assenza di disciplina ad opera dei contratti collettivi nazionali", esso "è ammesso soltanto previo accordo tra datore e prestatore di lavoro".

Lo stesso R.D. aggiunge poi al secondo comma, che il ricorso al lavoro straordinario "è inoltre ammesso, salvo diversa previsione del contratto collettivo", tra l’altro, nei "casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive e di impossibilità di fronteggiarle attraverso l’assunzione di altri lavoratori”.

Il Comune aveva dedotto che, in base a tali disposizioni, la dipendente non avrebbe potuto sottrarsi all’espletamento del lavoro straordinario, poiché  la convocazione serale del Consiglio Comunale sarebbe stata dettata da una "eccezionale esigenza", imposta dalla necessità di permettere ai  consiglieri di  contemperare la funzione esercitata con le esigenze di lavoro.

Tuttavia, tale disposizione non esclude la prestazione del consenso da parte del lavoratore, disponendo che il ricorso al lavoro straordinario è ammesso "soltanto" previo accordo tra datore e prestatore di lavoro ed "inoltre" in casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive. Proprio tale ultimo avverbio, in luogo della locuzione "in ogni caso", evidenzia che, oltre all’imprescindibile consenso del prestatore di lavoro, occorre anche la sussistenza delle esigenze anzidette, peraltro non fronteggiabili attraverso l’assunzione di altri lavoratori.

Gli ermellini, inoltre, hanno aggiunto che, nella specie, le convocazioni in orario serale erano divenute la regola e non erano quindi dettate da esigenze straordinarie ed occasionali.

Il rifiuto della dipendente, il cui orario di servizio era dalle ore 7,30 alle 13,30, doveva pertanto considerarsi legittimo.

Al riguardo, la Corte di legittimità  ha già avuto modo di chiarire che, anche nelle ipotesi in cui la contrattazione collettiva prevede la facoltà, per il datore di lavoro, di richiedere prestazioni straordinarie - non è il caso in esame -, l’esercizio di tale facoltà deve essere esercitato secondo le regole di correttezza e di buona fede, poste dagli arti. 1175 e 1375 cod. civ., nel contenuto determinato dall’art.41, secondo comma, Cost. (3).

Alla stregua di tutto quanto precede deve escludersi che il datore di lavoro possa imporre ai propri dipendenti lo svolgimento del lavoro straordinario.

Valerio Pollastrini


(1)   - che ha recepito la disciplina prevista dagli accordi sindacali per il triennio 1985-1987;

(2)   -  nel testo di cui all’art.1 del D.L. n.335/1998, convertito, con modificazioni, nella Legge n.409/1998 - disposizione questa riprodotta dall’art.5 del D.Lgs. n.66 dell’ 8 aprile 2003 n. 66, emanato in attuazione delle direttive CE, non applicabile ratione temporis;

(3)   - Cass., Sentenza n.11821 del  5 agosto 2003; Cass., Sentenza n.2161 del 7 aprile 1982; Cass., Sentenza n.2073 del 19 febbraio 1992, la quale ha escluso la configurabilità dell’illecito disciplinare in relazione al rifiuto da parte del lavoratore di riprendere servizio dopo circa otto ore dalla fine del turno notturno per svolgere lavoro straordinario, non essendo la relativa richiesta giustificata da esigenze aziendali assolutamente prevalenti;

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