Secondo
l’organizzazione sindacale, tale norma determinerebbe nel nostro Paese, in
contrasto con i dettami europei, una
sostanziale prevalenza della forma di lavoro a termine rispetto a quella a
tempo indeterminato.
Nel
ricorso viene posto l’accento sul fatto che il precedente obbligo della causale
per il legittimo ricorso ai contratti a
tempo determinato rappresentasse un argine contro un loro utilizzo improprio.
L’eliminazione
della motivazione, pertanto, favorirebbe il ricorso ad una fattispecie
contrattuale che penalizzerebbe il dipendente quale parte debole del rapporto
di lavoro.
Il
ricorrente, inoltre, lamenta che le ulteriori possibilità di rinnovo e proroga del contratto a termine
esporrebbero il lavoratore al rischio di non pervenire ad una stabilità del
rapporto, condizione ritenuta primaria proprio dalla normative UE, con forti
penalizzazioni soprattutto per gli over-50 e le donne.
L’azione
della CGIL, in sostanza, è rivolta ad ottenere la modifica di norme, ritenute
penalizzanti per i lavoratori, deducendo, in particolare, l’assenza di prove
statistiche che possano confermare che ad un aumento della precarietà
corrisponda un aumento dell’occupazione, anche perché, facilitando il ricorso
al lavoro a tempo determinato, si perverrebbe ad un’assoluta discrezionalità
dei licenziamenti.
Valerio
Pollastrini
(1)
-
che ha convertito con modifiche il D.L. n.34/2014;
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