Il
caso di specie è quello che ha riguardato il licenziamento subito da un
funzionario del Siena Calcio.
La
Corte di Appello di Firenze, accogliendo l'impugnazione promossa dal dipendente,
aveva ordinato la sua reintegrazione nel posto di lavoro ed aveva condannato la
società a corrispondere in suo favore le retribuzioni maturate dal licenziamento
fino alla effettiva reintegra, detratto l’aliunde
perceptum.
Nonostante,
in seguito alla promozione della squadra nel massimo campionato di calcio
italiano, la società avesse effettivamente posto in essere un processo di riorganizzazione
aziendale, la Corte del merito aveva ugualmente ritenuto illegittimo il licenziamento, poiché irrogato
per motivi che non avevano nulla a che fare
con esigenze oggettive della soppressione del posto e delle funzioni del
lavoratore.
Le
reali motivazioni del recesso, infatti, erano state riscontrate nella continuità del funzionario rispetto alla
passata gestione della società che la stessa voleva invece evitare senza ragione.
I
compiti di segretario generale del lavoratore licenziato, infatti, non erano
stati eliminati, ma semplicemente suddivisi tra la gestione amministrativa,
contabile e sportiva della società calcistica.
Contro
questa sentenza, l’ A.C. Siena s.p.a aveva proposto ricorso per Cassazione, sostenendo
che i giudici dell’appello non avrebbero potuto ritenere illegittimo il
licenziamento attraverso una valutazione del comportamento datoriale, giustificato
da scelte imprenditoriali discrezionali, riguardanti la necessità di realizzare
un nuovo assetto organizzativo della compagine sportiva.
A
detta della ricorrente, il predetto processo riorganizzativo aveva determinato l'attribuzione
di tutte le funzioni dirigenziali al nuovo direttore generale, che aveva preso
il posto della precedente figura del segretario generale ricoperta dal
dipendente licenziato.
Nel
ritenere infondata tale censura, la Suprema Corte ha confermato la validità
della motivazione prodotta nella sentenza impugnata, che aveva evidenziato come dall'istruttoria fosse
emersa chiaramente l’assenza di una valida causa di licenziamento, non risultando il recesso ancorato a ragioni oggettive, quali la soppressione
delle mansioni fino ad allora svolte dal lavoratore, bensì alla finalità di
interrompere la continuità operativa della precedente dirigenza.
Dalle
deposizioni dei testi, infatti, era emerso
che i compiti svolti in precedenza dal lavoratore non erano stati eliminati, ma
semplicemente suddivisi all'interno della nuova squadra per la gestione
amministrativa, contabile e sportiva.
A
ciò si aggiunga che la società non aveva nemmeno fornito la prova dell’incollocabilità del dipendente
licenziato in altra mansione.
Per
quanto su richiamato, la Cassazione ha rigettato il ricorso, con conseguente
condanna della società al pagamento delle spese processuali, liquidate in 3.500,00
€ per compensi professionali e 100,00 € per
esborsi, oltre accessori di legge.
Valerio
Pollastrini
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