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domenica 3 agosto 2014

Illegittimo il licenziamento intimato per ragioni diverse da quelle indicate

Nella sentenza n.17374 del 15 aprile-30 luglio 2014, la Corte di Cassazione ha ribadito che, in assenza del nesso oggettivo tra la ristrutturazione aziendale e la risoluzione del rapporto, il licenziamento del dipendente è illegittimo.

Il caso di specie è quello che ha riguardato il licenziamento subito da un funzionario del Siena Calcio.

La Corte di Appello di Firenze, accogliendo l'impugnazione promossa dal dipendente, aveva ordinato la sua reintegrazione nel posto di lavoro ed aveva condannato la società a corrispondere in suo favore le retribuzioni maturate dal licenziamento fino alla effettiva reintegra, detratto l’aliunde perceptum.

Nonostante, in seguito alla promozione della squadra nel massimo campionato di calcio italiano, la società avesse effettivamente posto in essere un processo di riorganizzazione aziendale, la Corte del merito aveva ugualmente ritenuto  illegittimo il licenziamento, poiché irrogato per motivi che non avevano nulla a che fare  con esigenze oggettive della soppressione del posto e delle funzioni del lavoratore.

Le reali motivazioni del recesso, infatti, erano state riscontrate  nella continuità del funzionario rispetto alla passata gestione della società che la stessa voleva invece evitare senza ragione.

I compiti di segretario generale del lavoratore licenziato, infatti, non erano stati eliminati, ma semplicemente suddivisi tra la gestione amministrativa, contabile e sportiva della società calcistica.

Contro questa sentenza, l’ A.C. Siena s.p.a aveva proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che i giudici dell’appello non avrebbero potuto ritenere illegittimo il licenziamento attraverso una valutazione del comportamento datoriale, giustificato da scelte imprenditoriali discrezionali, riguardanti la necessità di realizzare un nuovo assetto organizzativo della compagine sportiva.

A detta della ricorrente, il predetto processo riorganizzativo aveva determinato l'attribuzione di tutte le funzioni dirigenziali al nuovo direttore generale, che aveva preso il posto della precedente figura del segretario generale ricoperta dal dipendente licenziato.

Nel ritenere infondata tale censura, la Suprema Corte ha confermato la validità della motivazione prodotta nella sentenza impugnata, che aveva  evidenziato come dall'istruttoria fosse emersa chiaramente l’assenza di una valida causa di licenziamento,  non risultando il recesso  ancorato a ragioni oggettive, quali la soppressione delle mansioni fino ad allora svolte dal lavoratore, bensì alla finalità di interrompere la continuità operativa della precedente dirigenza.

Dalle deposizioni dei testi, infatti, era  emerso che i compiti svolti in precedenza dal lavoratore non erano stati eliminati, ma semplicemente suddivisi all'interno della nuova squadra per la gestione amministrativa, contabile e sportiva.

A ciò si aggiunga che la società non aveva nemmeno fornito la  prova dell’incollocabilità del dipendente licenziato in altra mansione.

Per quanto su richiamato, la Cassazione ha rigettato il ricorso, con conseguente condanna della società al pagamento delle spese processuali, liquidate in 3.500,00 € per compensi professionali e  100,00 € per esborsi, oltre accessori di legge.

Valerio Pollastrini

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