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martedì 15 luglio 2014

Sicurezza sul lavoro – Responsabilità del committente e del datore di lavoro

In materia di sicurezza, nella sentenza n.30483 del 10 luglio 2014, la Corte di Cassazione ha precisato che,  in caso di infortunio, la responsabilità del committente non esclude quella del datore di lavoro.

Il caso di specie è quello di due imprenditori che, al termine del giudizio di appello, erano stati ritenuti responsabili del reato di lesioni personali colpose gravi ai danni di un lavoratore, aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica.

Il titolare di un’impresa aveva impiegato quattro operai di un’altra società per la movimentazione di alcune lastre di vetro.

Entrambi i ricorrenti avevano contestato la ricostruzione dei fatti che avevano determinato la rottura delle suddette lastre, sostenendo che la loro caduta accidentale fosse stata causata dalla condotta colposa degli operai, che le avevano appoggiate in equilibrio precario.

Secondo questa ricostruzione, i due ricorrenti avevano invocato l'esclusione di ogni loro responsabilità.  Il primo, sul rilievo che l’evento fosse stato accidentale, non evitabile, quindi,  attraverso le proprie conoscenze tecniche. Il secondo,  invece, aveva richiamato il principio di affidamento, in base al quale la direzione dell'intera operazione affidata all’altro imprenditore  avrebbe comportato l'assunzione su quest’ultimo  della responsabilità dell'esecuzione dei lavori.

Investita della questione, la Suprema Corte ha preliminarmente ricordato come la normativa antinfortunistica estenda l'obbligo del datore  di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro  anche ai soggetti che nell'impresa prestino la loro opera, indipendentemente dalla forma utilizzata per lo svolgimento della prestazione.

Si tratta, in sostanza, di un  obbligo la cui ampia portata, ai fini dei soggetti tutelati,  non consente distinzioni tra lavoratore subordinato, persona ad esso equiparata (1) o, anche,  persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l'infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza.

Le norme antinfortunistiche, infatti,  non si risolvono nella sola  tutela dei dipendenti, ma sono preposte anche alla tutela dei terzi, vale a dire di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione ed a prescindere da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa, abbiano accesso all'ambiente lavorativo.

In proposito, assume un rilievo decisivo quanto   disposto dall'articolo 2087 del codice civile, in forza del quale il datore di lavoro riveste, in ogni caso, la funzione di garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro opera nell'impresa, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo deve essere ascritto alla sua responsabilità.

Parimenti infondata è la supposta esenzione da responsabilità del datore di lavoro, avanzata sulla pretesa che i rischi specifici sarebbero stati propri della ditta che si era avvalsa del lavoro degli operai.

Detta censura, infatti, tralascia il fatto che, in caso di infortunio,  la responsabilità del committente, in ossequio alla disciplina di settore (2),  non esclude quella del datore di lavoro.

La Suprema Corte, in sostanza, ha ribadito che, in linea generale, il datore di lavoro
è corresponsabile qualora l'evento si colleghi casualmente anche alla sua colposa omissione, come, ad esempio, nel caso in cui  abbia consentito l'inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose.

Si tratta proprio di quanto avvenuto nella vicenda  in commento, nella quale il luogo di lavoro era risultato privo delle attrezzature idonee per l'esecuzione della prestazione, oltre alla rilevata  omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte.

A questo proposito, l’impugnata sentenza del merito aveva chiarito che  l'imputato fosse venuto meno ai propri doveri di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, inviando gli operai presso la ditta del vicino, per eseguire una prestazione estranea alle loro  mansioni, senza fornire agli stessi specifiche informazioni sui rischi ad essa connessi  e senza collaborare nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dal rischio di incidenti inerenti alla esecuzione della nuova e diversa attività.

Per tutte le richiamate ragioni, la Cassazione ha concluso con il rigetto dei ricorsi.

Valerio Pollastrini

 
(1)   - art.3, comma 2, del Dpr n.547 del 27 aprile 1955;
(2)   – ai sensi di quanto disposto dall’art.7 del D.Lgs n.626/1994, trasfuso nel successivo art.26 del D.Lgs  n.81/2008;

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