La
pronuncia in commento trae origine dalla sentenza con la quale la Commissione
Tributaria Regionale aveva accolto l’appello proposto da un professionista, ritenuto
coobbligato in solido, prima in veste di amministratore giudiziale e poi come
curatore fallimentare di una srl unipersonale.
Nell’adire
la Suprema Corte, l’Agenzia delle Entrate ha formulato un quesito di diritto
in merito ai limiti entro i quali il curatore può essere ritenuto responsabile dell’omesso versamento delle imposte, con il
conseguente obbligo a carico del professionista di liquidare le suddette
pretese.
In
particolare, l’Agenzia aveva chiesto se un
simile onere gravasse sul curatore in causa.
Investita
della questione, la Cassazione ha ricordato che i liquidatori dei soggetti
all'imposta sul reddito delle persone giuridiche, che non adempiono all'obbligo
di pagare nella fase di liquidazione le imposte dovute, rispondono in proprio
del versamento se soddisfano crediti di
ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza
avere prima soddisfatto quelli dell’Erario (1).
Si
tratta di una responsabilità che risulta commisurata all'importo dei crediti di
imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti.
La
Cassazione ha quindi sostenuto che, nonostante le suddette disposizioni siano
applicabili agli amministratori in carica all'atto dello scioglimento della
società o dell'ente se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori,
tuttavia, esse esprimono il principio di carattere generale in base al quale
ciascuno deve rispondere di un evento nella misura in cui abbia concorso a
cagionarlo.
Affinché
si possa ritenere sussistente il concorso del curatore nella determinazione
del mancato pagamento di un’imposta è necessario, dunque, che l’omesso
versamento sia stato causato da un suo comportamento
contrario alla legge.
Per
coinvolgere il curatore, quindi, occorre che nell’atto impositivo siano enunciate le
circostanze che abbiano determinato il cattivo utilizzo dell’attivo fallimentare
e, nella specie, tali circostanze non erano state provate nel giudizio.
A
tale riguardo, infatti, la Suprema Corte ha rilevato che la cartella non conteneva
alcuna enunciazione o motivazione a proposito delle ragioni che avrebbero
determinato la responsabilità del curatore nel cattivo utilizzo dell’attivo
fallimentare e, pertanto, ha rigettato il ricorso.
Valerio
Pollastrini
(1)
-
Art.36 del D.P.R. n.602 del 29 settembre 1973;
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