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lunedì 7 luglio 2014

Pubblico Impiego – Sospensione dal servizio del dipendente colpito da misura interdittiva

Nella sentenza n.357 del 19 maggio 2014, la Corte di Appello di Potenza è intervenuta in merito all’applicabilità, nell’ambito del pubblico impiego, della norma contrattuale che prevede la sospensione d’ufficio dal servizio ai danni del dipendente colpito da misura restrittiva della libertà personale.

Nel caso di specie, il Tribunale di Lagonegro  aveva respinto la domanda con la quale un dipendente pubblico aveva impugnato  il provvedimento di  sospensione facoltativa dal servizio emesso dalla Giunta Comunale.

Il lavoratore aveva impugnato la sentenza di primo grado dinnanzi alla Corte di Appello, lamentando l’erronea applicazione dell'art.5 del Contratto Collettivo Nazionale di riferimento, nonché  l’insussistenza del presupposto della previa applicazione di una misura restrittiva della libertà personale e/o del rinvio a giudizio.

Investita della questione, la Corte di Appello di Potenza ha premesso che il primo giudice aveva respinto l’impugnativa ritenendo la sussistenza, in capo all’Amministrazione, del potere discrezionale di prorogare la sospensione del dipendente dal servizio.

A tale proposito, la Corte del merito ha però ritenuto fondata la censura con la quale il ricorrente aveva dedotto  l’errore nell’applicazione della norma ex art. 5 del CCNL, rubricato testualmente: “ Sospensione cautelare in caso di procedimento penale”.

Si tratta della norma contrattuale che dispone, ai danni del  dipendente  colpito da misura restrittiva della libertà personale, la sospensione  d’ufficio dal servizio con privazione della retribuzione per la durata dello stato di detenzione o comunque dello stato restrittivo della libertà.

Inoltre, quando il rinvio a giudizio sia stato determinato per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro o comunque tali da comportare, se accertati, l'applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento,   il dipendente può essere  sospeso dal servizio con privazione della retribuzione anche nel caso in cui venga sottoposto a procedimento penale che non comporti la restrizione della libertà personale.

Il terzo comma del richiamato art.5, specifica, poi, che, al termine dello stato di restrizione della libertà personale, l'Ente può prolungare il periodo di sospensione del dipendente, fino alla sentenza definitiva.

Nel caso di specie, in seguito alla misura interdittiva disposta dal provvedimento cautelare emesso dal GIP del Tribunale di Lagonegro, il lavoratore era stato sospeso dal servizio per un mese e, una volta cessata l’efficacia della misura cautelare, era stato oggetto di sospensione facoltativa, per lo stesso identico periodo, decisa dalla Giunta Comunale, senza che nei suoi confronti  fosse stato disposto   il rinvio a giudizio  e senza che lo stesso fosse stato informato della possibile irrogazione del licenziamento.

La Corte di Appello ha sottolineato come il prolungamento della sospensione amministrativa dal servizio presupponga  l’avvenuta adozione, da parte del giudice, di una misura restrittiva della libertà personale.

Nella vicenda in commento,   non solo era stata adottata in sede penale una misura interdittiva e non coercitiva, ma non era stata nemmeno provata l’emissione di un’ordinanza di rinvio a giudizio nei confronti del lavoratore.

La Corte territoriale ha ricordato che la misura interdittiva non limita la libertà personale dell’indagato, distinguendosi in tal senso da quella coercitiva, ma limita solamente alcuni aspetti della sua attività personale, connessi alla specifica contestazione di reato.

In sostanza, il Tribunale di primo grado aveva  erroneamente  ritenuto applicabile la regola che sancisce il prolungamento della sospensione obbligatoria alla diversa fattispecie della sospensione facoltativa, nonostante il dipendente non fosse stato colpito da un provvedimento restrittivo della libertà personale.

Il primo giudice aveva ritenuto che il terzo comma del suddetto art.5 dovesse essere interpretato  come se si riferisse non al presupposto del rinvio a giudizio, ma solo a quelle condizioni sostanziali che attengono alla gravità dei fatti per cui si procede in sede penale ed alla loro inerenza al rapporto di lavoro.

Si tratta di una valutazione la cui viziata argomentazione era stata correttamente censurata dall’appellante.

Per tali ragioni, la Corte di Appello, riformando la sentenza di primo grado, ha accolto il ricorso  e, nel dichiarare l’illegittimità  della delibera della Giunta Comunale di Chiaromonte, ha condannato l’Amministrazione locale al risarcimento, in favore del lavoratore, del danno patrimoniale pari alla differenza tra quanto percepito dallo stesso durante il periodo di sospensione facoltativa e le retribuzioni maturate  fino all’effettivo ripristino del rapporto di lavoro,  con aggiunta della rivalutazione monetaria e degli interessi legali.

La Corte ha inoltre disposto a carico del Comune le spese di lite del doppio grado di giudizio,  liquidate, complessivamente, in 10.890,00 €,  oltre IVA e CPA come per legge sul rimborso forfettario.

Valerio Pollastrini

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