Nel
caso di specie, il Tribunale di Lagonegro aveva respinto la domanda con la quale un
dipendente pubblico aveva impugnato il
provvedimento di sospensione facoltativa
dal servizio emesso dalla Giunta Comunale.
Il
lavoratore aveva impugnato la sentenza di primo grado dinnanzi alla Corte di
Appello, lamentando l’erronea applicazione dell'art.5 del Contratto Collettivo Nazionale
di riferimento, nonché l’insussistenza
del presupposto della previa applicazione di una misura restrittiva della
libertà personale e/o del rinvio a giudizio.
Investita
della questione, la Corte di Appello di Potenza ha premesso che il primo
giudice aveva respinto l’impugnativa ritenendo la sussistenza, in capo all’Amministrazione,
del potere discrezionale di prorogare la sospensione del dipendente dal
servizio.
A
tale proposito, la Corte del merito ha però ritenuto fondata la censura con la
quale il ricorrente aveva dedotto l’errore nell’applicazione della norma ex art.
5 del CCNL, rubricato testualmente: “
Sospensione cautelare in caso di procedimento penale”.
Si
tratta della norma contrattuale che dispone, ai danni del dipendente colpito da misura restrittiva della libertà
personale, la sospensione d’ufficio dal
servizio con privazione della retribuzione per la durata dello stato di
detenzione o comunque dello stato restrittivo della libertà.
Inoltre,
quando il rinvio a giudizio sia stato determinato per fatti direttamente
attinenti al rapporto di lavoro o comunque tali da comportare, se accertati,
l'applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento, il
dipendente può essere sospeso dal
servizio con privazione della retribuzione anche nel caso in cui venga
sottoposto a procedimento penale che non comporti la restrizione della libertà
personale.
Il
terzo comma del richiamato art.5, specifica, poi, che, al termine dello stato
di restrizione della libertà personale, l'Ente può prolungare il periodo di
sospensione del dipendente, fino alla sentenza definitiva.
Nel
caso di specie, in seguito alla misura interdittiva disposta dal provvedimento
cautelare emesso dal GIP del Tribunale di Lagonegro, il lavoratore era stato
sospeso dal servizio per un mese e, una volta cessata l’efficacia della misura
cautelare, era stato oggetto di sospensione facoltativa, per lo stesso identico
periodo, decisa dalla Giunta Comunale, senza che nei suoi confronti fosse stato disposto il
rinvio a giudizio e senza che lo stesso fosse
stato informato della possibile irrogazione del licenziamento.
La
Corte di Appello ha sottolineato come il prolungamento della sospensione
amministrativa dal servizio presupponga l’avvenuta
adozione, da parte del giudice, di una misura restrittiva della libertà
personale.
Nella
vicenda in commento, non solo era stata
adottata in sede penale una misura interdittiva e non coercitiva, ma non era stata
nemmeno provata l’emissione di un’ordinanza di rinvio a giudizio nei confronti
del lavoratore.
La
Corte territoriale ha ricordato che la misura interdittiva non limita la
libertà personale dell’indagato, distinguendosi in tal senso da quella
coercitiva, ma limita solamente alcuni aspetti della sua attività personale,
connessi alla specifica contestazione di reato.
In
sostanza, il Tribunale di primo grado aveva erroneamente
ritenuto applicabile la regola che sancisce il prolungamento della
sospensione obbligatoria alla diversa fattispecie della sospensione
facoltativa, nonostante il dipendente non fosse stato colpito da un
provvedimento restrittivo della libertà personale.
Il
primo giudice aveva ritenuto che il terzo comma del suddetto art.5 dovesse
essere interpretato come se si riferisse
non al presupposto del rinvio a giudizio, ma solo a quelle condizioni
sostanziali che attengono alla gravità dei fatti per cui si procede in sede
penale ed alla loro inerenza al rapporto di lavoro.
Si
tratta di una valutazione la cui viziata argomentazione era stata correttamente
censurata dall’appellante.
Per
tali ragioni, la Corte di Appello, riformando la sentenza di primo grado, ha
accolto il ricorso e, nel dichiarare l’illegittimità della delibera della Giunta Comunale di
Chiaromonte, ha condannato l’Amministrazione locale al risarcimento, in favore
del lavoratore, del danno patrimoniale pari alla differenza tra quanto
percepito dallo stesso durante il
periodo di sospensione facoltativa e le retribuzioni maturate fino all’effettivo ripristino del rapporto di
lavoro, con aggiunta della rivalutazione
monetaria e degli interessi legali.
La
Corte ha inoltre disposto a carico del Comune le spese di lite del doppio grado
di giudizio, liquidate, complessivamente,
in 10.890,00 €, oltre IVA e CPA come per
legge sul rimborso forfettario.
Valerio
Pollastrini
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