Nella
pronuncia in commento, la Suprema Corte ha disconosciuto l’opinione diffusa in
base alla quale le prescrizioni di legge
in materia di salute e sicurezza sul lavoro sono applicabili ai circoli privati
solamente nei casi in cui i locali degli stessi siano aperti al pubblico.
Nel
caso di specie, la sentenza del merito aveva riconosciuto il legale
rappresentante di un’associazione culturale responsabile di plurime violazioni
delle disposizioni sancite dal D.Lgs. n.81/2008.
Contro
questa pronuncia, l’imputato aveva adito la Cassazione, lamentando che le disposizioni
antinfortunistiche all’oggetto della contestazione non fossero applicabili, in
quanto il circolo non era aperto al pubblico.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha preliminarmente ricordato, sia la
posizione di datore di lavoro rivestita dall’imputato,
che l’effettiva sussistenza dei fatti indicati
nell'imputazione.
La
Cassazione ha quindi rilevato come il ricorrente avesse dedotto che il Tribunale non aveva tenuto conto che il locale
fosse aperto ai soli soci e non al pubblico, circostanza ritenuta dalla difesa decisiva ai fini
dell'inapplicabilità al caso di specie delle violazioni contestate.
Gli
ermellini hanno poi sottolineato che tutte le contravvenzioni contestate
all'imputato avevano riguardato violazioni della generale disciplina in materia
di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro di cui al D.Lgs.
n.81/2008.
I
giudici di legittimità hanno ricordato che la richiamata disciplina risulta applicabile a tutti i settori di attività,
privati e pubblici ed a tutte le tipologie di rischio.
A
tal proposito, pertanto, nessun rilievo può essere attribuito alla circostanza che il rapporto di lavoro si svolga
all'interno di un locale aperto al pubblico o in un circolo privato, dal
momento che, per ciò che attiene alla sicurezza dei luoghi di lavoro, le relative
prescrizioni di legge sono rivolte a tutelare i dipendenti, indipendentemente dal fatto che l'accesso ai
locali aziendali sia consentito alla generalità delle persone o ai soli soci.
Per
tale ragioni, la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso ed ha
condannato l’imputato al pagamento di 1.000,00 € in favore della Cassa delle
ammende, oltre al ristoro delle spese processuali.
Valerio
Pollastrini
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