Il
caso di specie è quello di un operaio edile che, adibito all’intonacatura di
uno stabile, mentre stava scendendo da un’impalcatura per usufruire della pausa
pranzo, aveva messo un piede in fallo precipitando nel vuoto, finendo prima su
di un tetto in eternit e poi sul lastrico stradale.
Con
ricorso al Tribunale di Reggio Calabria, il lavoratore aveva chiesto la
condanna dell'INAIL all'indennizzo dei postumi dell’invalidità temporanea
assoluta e dell’invalidità permanente conseguente all’infortunio.
Dopo
l’escussione dei testimoni, nonché in
base alle risultanze della C.T.U, il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda, ritenendo che
l'evento fosse derivato da una scelta arbitraria del dipendente, il quale, per
ragioni personali, aveva volutamente creato
una situazione diversa da quella
inerente all'attività lavorativa, interrompendo così il nesso eziologico tra infortunio e
prestazione.
Nonostante
ad 8 metri di distanza vi fosse un accesso sicuro, costituito dalla botola
posta a collegamento del piano del ponteggio con quello inferiore, il
lavoratore aveva scelto di scendere al piano preposto alla consumazione del pasto, tenendosi ai tubi che componevano il predetto ponteggio.
Questa
sentenza era stata successivamente confermata dalla Corte di Appello di Reggio
Calabria.
Il
lavoratore aveva dunque adito la Cassazione, sostenendo come, nel considerare che la botola gli avrebbe
consentito di accedere al piano inferiore del ponteggio ma non al terrazzino
dove egli era solito consumare il pasto, i giudici del merito avrebbero ammesso implicitamente che il suo
comportamento era stata necessitato dallo stato dei luoghi.
Il
ricorrente, inoltre, aveva dedotto che
l'imprenditore è responsabile degli infortuni occorsi ai propri dipendenti
anche quando essi siano stati causati da colpa o imperizia, dovendosi escludere, nella specie, una
condotta abnorme, considerato che, utilizzando la botola, egli non avrebbe mai
potuto accedere, se non attraverso una finestra posta molto in alto rispetto al
pavimento, al terrazzino su cui
soleva consumare il pasto.
Infine,
il dipendente aveva contestato alla Corte territoriale di non aver considerato
che attorno al pontile erano presenti delle reti di protezione, rilevando , in
generale, come la giurisprudenza abbia sempre ritenuto che gli spostamenti resi
necessari dal consumo dei pasti non esorbitano dal normale svolgimento
dell'attività lavorativa.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto inammissibili le censure del
ricorrente.
In
primo luogo, la Suprema Corte ha osservato che, sotto il profilo della omissione,
insufficienza, contraddittorietà, il
preteso vizio di motivazione può ritenersi legittimamente sussistente solamente nel caso in cui nel ragionamento del giudice di merito sia rinvenibile traccia evidente del mancato o
insufficiente esame di punti decisivi della controversia (1), ovvero quando esista insanabile contrasto tra
le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione
del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (2).
In
base alle suddette considerazioni, le censure concernenti i vizi di motivazione
devono necessariamente indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o
illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni dei giudici di
merito, non potendo le doglianze risolversi nella semplice richiesta di una
lettura diversa delle risultanze processuali rispetto alla sentenza impugnata (3).
A
proposito della dedotta erronea valutazione degli atti e delle testimonianze di
causa, la Cassazione ha ricordato come il ricorrente che, in sede di legittimità,
denunci il difetto di motivazione sulla valutazione delle risultanze
probatorie, ha l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della
prova trascurate od erroneamente interpretate dal giudice di merito,
specificandone, inoltre, la loro esatta
ubicazione all'interno dei fascicoli di causa (4), al fine di consentire al
giudicante il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle
prove stesse, che, per il principio dell'autosufficienza dei ricorso per
cassazione, la Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle
deduzioni contenute nell'atto (5).
Nella
specie, però, il ricorrente non aveva
specificato gli atti ed i documenti che sarebbero stati erroneamente valutati
dalla Corte di Appello.
Per
quanto riguarda, infine, il riferimento del ricorrente alla giurisprudenza che ammette la riconducibilità del
tempo utile per la consumazione del pasto all'attività lavorativa, la
Cassazione ha specificato che tale principio attiene esclusivamente alla diversa
ipotesi dell'infortunio in itinere.
Di
conseguenza, la Corte territoriale aveva
correttamente ritenuto che le dichiarazioni nelle quali il lavoratore aveva
specificato all'ispettore dell'Inail di
aver preferito scendere attaccandosi ai tubi del ponteggio, anziché utilizzando
la non lontana botola, non lasciassero alcun dubbio sull'ingiustificatezza
e pericolosità della sua condotta, per
mezzo della quale aveva assunto un rischio elettivo non indennizzabile (6).
Valerio
Pollastrini
(1)
-
Cass., Sentenza n.3668\2013;
(2)
-
Cass., Sentenza n.25984\2010; Cass., Sentenza n.13045/1997; Cass., Sentenza
n.5802/1998;
(3)
-
Cass., Sentenza n.10833\2010; Cass., Sentenza n.8718/2005; Cass., Sentenza n.15693/2004;
Cass., Sentenza n.2357/2004; Cass., Sentenza n.12467/2003; Cass., Sentenza n.16063/2003;
Cass., Sentenza n.3163/2002;
(4)
-
Cass. Sezioni Unite, Sentenza n.22726 del
3 novembre 2011;
(5)
-
Cass., Ordinanza n.17915 del 30 luglio
2010; Cass., Ordinanza n.4220 del 16 marzo 2012; Cass., Sentenza n.8569 del 9 aprile 2013;
(6)
-
Cass., Sentenza n.19494\2009; Cass., Sentenza n.3786\2009;
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