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domenica 13 luglio 2014

Nessun risarcimento per l’infortunio causato dal rischio elettivo assunto dal lavoratore

Nella sentenza n.15705 del 13 marzo–9 luglio 2014, la Corte di Cassazione ha ribadito che, nel caso in cui l’incidente sul lavoro risulti causato  da una condotta abnorme con la quale il dipendente si sia volontariamente esposto ad un rischio elettivo, l’infortunato non ha diritto ad alcuna indennità  da parte dell’Inail.

Il caso di specie è quello di un operaio edile che, adibito all’intonacatura di uno stabile, mentre stava scendendo da un’impalcatura per usufruire della pausa pranzo, aveva messo un piede in fallo precipitando nel vuoto, finendo prima su di un tetto in eternit e poi sul lastrico stradale.

Con ricorso al Tribunale di Reggio Calabria, il lavoratore aveva chiesto la condanna dell'INAIL all'indennizzo dei postumi dell’invalidità temporanea assoluta e dell’invalidità permanente conseguente all’infortunio.

Dopo l’escussione dei testimoni, nonché  in base alle risultanze della C.T.U, il giudice di primo grado  aveva rigettato la domanda, ritenendo che l'evento fosse derivato da una scelta arbitraria del dipendente, il quale, per ragioni personali,  aveva volutamente creato  una situazione diversa da quella inerente all'attività lavorativa, interrompendo così  il nesso eziologico tra infortunio e prestazione.

Nonostante ad 8 metri di distanza vi fosse   un accesso sicuro, costituito dalla botola posta a collegamento del piano del ponteggio con quello inferiore, il lavoratore aveva scelto di scendere al piano  preposto alla consumazione del pasto,  tenendosi ai tubi che componevano il predetto ponteggio.

Questa sentenza era stata successivamente confermata dalla Corte di Appello di Reggio Calabria.

Il lavoratore aveva dunque adito la Cassazione, sostenendo come,  nel considerare che la botola gli avrebbe consentito di accedere al piano inferiore del ponteggio ma non al terrazzino dove egli era solito consumare il pasto, i giudici del merito avrebbero  ammesso implicitamente che il suo comportamento era stata necessitato dallo stato dei luoghi.

Il ricorrente, inoltre, aveva dedotto  che l'imprenditore è responsabile degli infortuni occorsi ai propri dipendenti anche quando essi siano stati causati da colpa o imperizia,  dovendosi escludere, nella specie, una condotta abnorme, considerato che, utilizzando la botola, egli non avrebbe mai potuto accedere, se non attraverso una finestra posta molto in alto rispetto al pavimento,  al terrazzino su cui soleva  consumare il pasto.

Infine, il dipendente aveva contestato alla Corte territoriale di non aver considerato che attorno al pontile erano presenti delle reti di protezione, rilevando , in generale, come la giurisprudenza abbia sempre ritenuto che gli spostamenti resi necessari dal consumo dei pasti non esorbitano dal normale svolgimento dell'attività lavorativa.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto inammissibili le censure del ricorrente.

In primo luogo, la Suprema Corte ha osservato  che, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà,  il preteso vizio di motivazione può ritenersi legittimamente  sussistente solamente nel caso in cui  nel ragionamento del giudice di merito  sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia (1),  ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (2).

In base alle suddette considerazioni, le censure concernenti i vizi di motivazione devono necessariamente indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni dei giudici di merito,  non potendo le doglianze  risolversi nella semplice richiesta di una lettura diversa delle risultanze processuali rispetto alla sentenza impugnata (3).

A proposito della dedotta erronea valutazione degli atti e delle testimonianze di causa, la Cassazione ha ricordato come  il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione delle risultanze probatorie, ha l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova trascurate od erroneamente interpretate dal giudice di merito, specificandone, inoltre,  la loro esatta ubicazione all'interno dei fascicoli di causa (4), al fine di consentire al giudicante il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell'autosufficienza dei ricorso per cassazione, la Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto (5).

Nella specie, però,  il ricorrente non aveva specificato gli atti ed i documenti che sarebbero stati erroneamente valutati dalla Corte di Appello.

Per quanto riguarda, infine, il riferimento del ricorrente alla  giurisprudenza che ammette la riconducibilità del tempo utile per la consumazione del pasto all'attività lavorativa, la Cassazione ha specificato che tale principio attiene esclusivamente alla diversa ipotesi dell'infortunio in itinere.

Di conseguenza,  la Corte territoriale aveva correttamente ritenuto che le dichiarazioni nelle quali il lavoratore aveva specificato all'ispettore dell'Inail  di aver preferito scendere attaccandosi ai tubi del ponteggio, anziché utilizzando la non lontana botola, non lasciassero alcun dubbio sull'ingiustificatezza e  pericolosità della sua condotta, per mezzo della quale aveva assunto un rischio elettivo non indennizzabile (6).

Valerio Pollastrini

 
(1)   - Cass., Sentenza n.3668\2013;
(2)   - Cass., Sentenza n.25984\2010; Cass., Sentenza n.13045/1997; Cass., Sentenza n.5802/1998;
(3)   - Cass., Sentenza n.10833\2010; Cass., Sentenza n.8718/2005; Cass., Sentenza n.15693/2004; Cass., Sentenza n.2357/2004; Cass., Sentenza n.12467/2003; Cass., Sentenza n.16063/2003; Cass., Sentenza n.3163/2002;
(4)   - Cass. Sezioni Unite, Sentenza n.22726 del  3 novembre 2011;
(5)   - Cass.,  Ordinanza n.17915 del 30 luglio 2010; Cass., Ordinanza n.4220 del 16 marzo 2012;  Cass., Sentenza n.8569 del  9 aprile 2013;
(6)   - Cass., Sentenza n.19494\2009; Cass., Sentenza n.3786\2009;

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