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lunedì 7 luglio 2014

Lavoro presso terzi durante l’assenza per malattia

Nella sentenza n.15365 del 4 luglio 2014, la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento irrogato ad un lavoratore che, durante l’assenza per malattia, aveva svolto le stesse mansioni in favore di altra azienda.

A detta della Suprema Corte, una simile condotta si traduce nella violazione dei principi di correttezza e buona fede e giustifica la sanzione del recesso.

Il caso di specie è quello del licenziamento irrogato ad   un macellaio che durante l’assenza per malattia era  stato sorpreso a svolgere la propria prestazione in favore di un’altra macelleria.

I due gradi di giudizio del merito si erano conclusi con l’accoglimento dell’impugnativa del recesso avanzata dal dipendente.

In particolare, la Corte di Appello, dopo aver accertato la sussistenza della malattia, aveva ritenuto sproporzionata la sanzione del recesso, dal momento che la prestazione eseguita presso terzi non aveva compromesso la guarigione del lavoratore.

Investita della questione, la Suprema Corte, in accoglimento del ricorso del datore di lavoro, aveva cassato l’impugnata sentenza.

Con nuova pronuncia, la Corte di Appello, in sede di rinvio, aveva respinto la domanda del lavoratore.

Questa volta la Corte territoriale aveva osservato che, attraverso la condotta oggetto di contestazione, il dipendente avesse violato i principi di correttezza e buona fede connessi al rapporto di lavoro.

Oltre al pacifico dato di fatto dello svolgimento di una prestazione in diretta concorrenza con il proprio datore di lavoro, dagli atti era inoltre emerso che la malattia che  aveva determinato l’assenza del lavoratore era stata simulata.

Un testimone, infatti, aveva ascoltato la telefonata nella quale il dipendente aveva offerto il proprio aiuto all’interlocutore,  promettendogli che si sarebbe assentato dal lavoro  prendendosi una giornata di malattia.

Alla luce di tali criteri, questa volta il licenziamento era stato dichiarato legittimo.

Contro tale ultima sentenza, il lavoratore aveva adito la Cassazione, lamentando la sproporzione della sanzione espulsiva rispetto alla contestata condotta.

In particolare il ricorrente aveva dedotto l’inattendibilità della dichiarazione rilasciata dal teste, oltre all’esiguità temporale della prestazione svolta in favore di terzi.

Nuovamente investita della questione, la Suprema Corte ha sottolineato come nella sentenza impugnata il giudice dell’appello avesse accertato che il ricorrente avesse svolto un’attività  concorrenziale con quella  del proprio datore di lavoro.

La Cassazione ha quindi preso atto che l'art.151del Contratto Collettivo Nazionale di riferimento prevede espressamente l'irrogazione del licenziamento in caso di violazione del dovere di non concorrenza. A tale proposito, la Corte di Appello aveva ritenuto che la gravità della violazione legittimasse l’applicazione della richiamata norma contrattuale, in quanto il lavoratore, in spregio dei principi di correttezza e buona fede, aveva preteso di svolgere in favore di un’altra azienda le stesse prestazioni che la malattia gli avrebbe impedito di eseguire per conto del proprio datore di lavoro

Per tali ragioni, la Suprema Corte ha concluso con il rigetto del ricorso, confermando dunque la legittimità del licenziamento.

Valerio Pollastrini

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