La
questione è giunta all’attenzione della Suprema Corte dopo che la Corte di
Appello, riformando la sentenza del Tribunale,
aveva ritenuto che la sanzione del recesso fosse sproporzionata rispetto
al comportamento oggetto di contestazione.
Investita
della questione, la Cassazione ha ricordato che per accertare la sussistenza di
una giusta causa di licenziamento è necessario verificare se la condotta
imputata al dipendente risulti lesiva del vincolo fiduciario posto alla base
del rapporto di lavoro.
A
tal fine, occorre valutare la gravità dei fatti addebitati tenendo conto della
loro portata oggettiva e soggettiva, delle circostanze del merito, nonché dell'intensità
dell'elemento intenzionale.
La
suddetta analisi, infine, deve trovare conclusione nell’accertamento della proporzionalità fra la condotta e la sanzione
inflitta.
La
Cassazione, inoltre, ha più volte specificato che, quand’anche la contrattazione
collettiva punisca un determinato comportamento con il licenziamento per giusta causa, il giudice potrebbe ugualmente
decidere diversamente qualora accertasse che la disposizione contrattuale non
sia conforme a quella particolare fattispecie di recesso di cui all’art.2119
c.c..
Sempre
in ossequio al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità, ai
fini della decisione in commento occorre valutare, in sostanza, se il fatto
addebitato sia di entità tale da legittimare il licenziamento, tenendo anche
conto dell'elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore.
Valerio
Pollastrini
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