Chi siamo


MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


venerdì 11 luglio 2014

Bancarotta fraudolenta per debiti previdenziali

Nella sentenza n.29586 del 7 luglio 2014, la Corte di Cassazione ha precisato che, se doloso, il fallimento procurato attraverso l’accumulazione di debiti previdenziali ed assistenziali  configura il reato di bancarotta fraudolenta.

Nel caso di specie, sia l’amministratore  che un membro del consiglio di amministrazione della stessa società erano stati accusati di averne cagionato il fallimento  con alcune operazioni dolose, con le quali avevano  omesso sistematicamente di versare i contributi previdenziali ed assistenziali, oltre altre voci retributive,  accumulando così un debito di circa due milioni di euro.

Agli stessi, inoltre, era stata contestata la falsa  apposizione in bilancio di crediti inesistenti.

La vicenda è giunta in Cassazione dopo che la Corte di Appello,  confermando la pronuncia  di primo grado,  aveva condannato gli imputati per il  reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale impropria e documentale.

Ad avviso dei ricorrenti, per la configurazione del reato  la condotta attiva dovrebbe essere integrata da una pluralità di azioni coordinate verso l'esito preordinato, idoneo, dunque, a determinare l'insolvenza della società.

Richiamando la giurisprudenza di legittimità (1), gli imputati avevano lamentato che oggetto di contestazione dovrebbero essere gli  atti positivi  comportanti un'indebita diminuzione dell’attivo societario e che quindi risultino intrinsecamente pericolosi per la natura economico-finanziaria dell’impresa.

In base alle suddette  considerazioni, i ricorrenti avevano sostenuto che  la loro condotta non potesse integrare la fattispecie in esame, in quanto meramente omissiva.

Investita della questione, la Cassazione ha ricordato che, ai sensi dell’art.223, comma 2, n.2, del R.D. n.267 del 16 marzo 1942, le operazioni dolose si configurano nel comportamento con il quale gli amministratori cagionino il fallimento dell’impresa attraverso abusi o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta.

In sostanza, si tratta di condotte che non necessariamente costituiscono di per sé dei reati, ma che si traducono in una condotta dell’amministratore che cagioni, attraverso il ricorso ad abusi o infedeltà, il fallimento dell’azienda.

Per la configurazione del reato, pertanto, è  necessario che dal comportamento abusivo, infedele o illegittimo del titolare del potere sociale, sia derivato un depauperamento dell'impresa, dal quale sia scaturito il fallimento.

Nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte ha ribadito come anche l’omesso versamento di cifre rilevanti agli enti previdenziali e agli altri enti preposti,  costituisce comportamento doloso in grado di  determinare uno stato di gravissima e irrevocabile esposizione debitoria della società, dal quale derivi  la dichiarazione di fallimento.

Par la fattispecie di reato in commento, oltre all’omesso versamento delle ritenute previdenziali e fiscali,   assume un particolare rilievo sia il  mancato accantonamento delle somme suddette, che la falsa predisposizione di bilanci positivi a fronte di una situazione reale assolutamente negativa.

Valerio Pollastrini


(1)   – Cass., Sentenza n.17690/2010;

Nessun commento:

Posta un commento