Il
caso di specie ha avuto origine dal provvedimento con il quale il TAR del
Friuli Venezia Giulia aveva respinto il ricorso proposto da un cittadino
bengalese avverso il provvedimento con cui la Questura di Pordenone gli aveva negato
il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, a causa della
accertata indisponibilità dei mezzi di sussistenza sufficienti per la durata
del soggiorno, della strumentalità del recente contratto di assunzione come
domestico, ritenuto stipulato solo allo scopo di evitare tale diniego, nonché
dell’avvenuto decorso del periodo previsto dalla normativa in attesa di
occupazione.
Il
ricorrente aveva ricorso in Appello,
precisando di essere entrato in Italia nel 2007 a seguito di richiesta
nominativa tramite flussi e deducendo il mancato rilascio del permesso di
soggiorno per i sei mesi previsti in caso di attesa di occupazione, che gli avrebbe permesso di reperire più agevolmente un’ altra
occupazione dopo il licenziamento e, comunque, l’erronea valutazione attraverso
la quale la Questura, senza alcuna verifica, aveva dichiarato fittizio il
contratto di lavoro domestico instaurato con un connazionale.
Con
Ordinanza n.340 del 23 gennaio 2014 il Consiglio di Stato aveva accolto
l’istanza cautelare, sospendendo, in via provvisoria, l’esecutività della
sentenza impugnata.
Nella
successiva udienza pubblica dell’8
maggio 2014, la causa è stata trattenuta in decisione ed è stato confermato che
la sentenza impugnata dovesse essere riformata.
Nel
caso di specie, infatti, non poteva rilevare, come invece sostenuto
erroneamente dalla Questura per il diniego del rinnovo, l’inutile decorso del
periodo di attesa di occupazione previsto
dall’art. 22, c. 11, del D.Lgs n.286/1998, in quanto tale norma consente di
rilasciare allo straniero un permesso
temporaneo proprio al fine di reperire altro lavoro. Nella vicenda in commento,
il provvedimento appena richiamato risultava legittimato anche dal
licenziamento del lavoratore dalla precedente occupazione.
Parimenti,
dunque, non poteva costituire il fondamento
del diniego il periodo di attesa di
nuova occupazione trascorso in fatto tra la presentazione dell’istanza alla
Questura e l’adozione del relativo provvedimento, non potendo peraltro essere
poste a carico dello straniero le lungaggini dell’Autorità Amministrativa, che
aveva impiegato ben undici mesi per evadere la pratica.
Il
Consiglio aveva poi rilevato come la Questura avesse ritenuto meramente strumentale
l’ultimo contratto di lavoro prodotto dall’interessato, senza fornire alcun probante riscontro istruttorio.
Dopo
aver affermato la necessità di annullare il provvedimento della Questura, il
Consiglio di Stato ha concluso con l’accoglimento della domanda proposta in Appello dallo
straniero, con conseguente condanna del Ministero dell’Interno e della Questura
di Pordenone al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio, liquidate in 5.000,00 €, oltre agli accessori dovuti per
legge.
Valerio
Pollastrini
(1)
-
Cons.St., Sezione V, n. 1692/2010;
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