Si
tratta di un vincolo che deve essere accertato
nella specificità dell'incarico conferito al lavoratore e nelle sue
modalità di attuazione, fermo restando che ogni attività umana, economicamente
rilevante, può essere oggetto sia di un rapporto di lavoro subordinato che di un
rapporto di lavoro autonomo.
A
causa dei costanti mutamenti intervenuti negli anni nella realtà organizzativa delle imprese, i
criteri tradizionali, utilizzati dalla giurisprudenza nella qualificazione dei
rapporti di lavoro, sono soggetti ad una continua revisione. Ciò ha imposto
alla Suprema Corte, molteplici interventi, finalizzati all’accertamento della
corretta natura contrattuale (1).
Quello
dell’assoggettamento al potere direttivo ed organizzativo è un principio più
volte ribadito dalla Cassazione, in base al quale la subordinazione sarebbe
riscontrabile nella dipendenza gerarchica
del prestatore ai poteri organizzativo,
direttivo e disciplinare del datore di lavoro.
Dal
momento che questo potere di
etero-direzione, in relazione al risultato finale dell’opera, può essere riscontrato anche nel contratto di
lavoro autonomo, ai fini della subordinazione, lo stesso deve
essere riferito al comportamento del dipendente, attraverso il coordinamento
della sua prestazione con l'interesse del datore di lavoro.
Per
una corretta definizione del rapporto, occorre tenere in considerazione i due
filoni sedimentatisi nella giurisprudenza.
Il
primo di essi ritiene che il suddetto assoggettamento possa avvenire anche
attraverso le direttive emanate in via
programmatica dal datore di lavoro, senza che le stesse debbano necessariamente
essere dettate in modo continuo, dettagliato
e strettamente vincolante.
Il
secondo orientamento, invece, ai fini
della subordinazione, richiede che il responsabile aziendale regolamenti l’attività
del lavoratore durante lo svolgimento della prestazione, attraverso apposite direttive
poste in essere di volta in volta e, quindi, direttamente ricollegabili
all'esercizio del "potere di conformazione" del datore di lavoro.
Nel
caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che la possibilità del lavoratore di
farsi sostituire, senza fornire giustificazioni,
fosse compatibile con forme di controllo tenui, tipiche di un rapporto autonomo.
La
Cassazione ha proseguito chiarendo che l’adibizione del lavoratore ad una attività non essenziale al ciclo produttivo
dell’impresa di ingegneria, come quello presso la mensa, escludesse il suo inserimento,
in senso stretto, nell’organizzazione aziendale.
Inoltre,
l’esercizio da parte del lavoratore di limitati poteri di rappresentanza del
datore, quali la timbratura dei blocchetti-pasti o l'ordinazione degli stessi, non sono decisivi nella ricostruzione di
ipotesi di collaborazione, poiché assolutamente compatibili anche con figure di
lavoro autonomo o, come nel caso in esame, di parasubordinazione.
Nella
pronuncia in commento, la Corte di legittimità ha poi fornito alcune
delucidazioni sugli ulteriori indici di valutazione, come l'incidenza
soggettiva del rischio , la forma della retribuzione, il vincolo di rispettare
un determinato orario, confermandone la funzione meramente residuale, il cui
unico scopo, in generale, è quello di rafforzare gli elementi qualificatori.
Valerio
Pollastrini
(1) -
Cass., Sentenza n.326 del 16 gennaio
1996; Cass., Sentenza n.45 del 15 maggio
1987;
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