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domenica 8 giugno 2014

Lavoro subordinato e lavoro autonomo - Differenze

Nella sentenza n.11880 del 19 maggio 2006, la Corte di Cassazione ha ricordato come ciò che distingue il rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo è il vincolo di soggezione del dipendente ai poteri direttivo, organizzativo e disciplinare, esercitati dal datore di lavoro, oltre che nell’assiduo controllo dell'esecuzione delle prestazioni, attraverso l'emanazione di ordini specifici.

Si tratta di un vincolo che deve essere accertato   nella specificità dell'incarico conferito al lavoratore e nelle sue modalità di attuazione, fermo restando che ogni attività umana, economicamente rilevante, può essere oggetto sia di un rapporto di lavoro subordinato che di un rapporto di lavoro autonomo.

A causa dei costanti mutamenti intervenuti negli anni  nella realtà organizzativa delle imprese, i criteri tradizionali, utilizzati dalla giurisprudenza nella qualificazione dei rapporti di lavoro, sono soggetti ad una continua revisione. Ciò ha imposto alla Suprema Corte, molteplici interventi, finalizzati all’accertamento della corretta natura contrattuale (1).

Quello dell’assoggettamento al potere direttivo ed organizzativo è un principio più volte ribadito dalla Cassazione, in base al quale la subordinazione sarebbe riscontrabile  nella dipendenza gerarchica  del prestatore ai poteri organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro.

Dal momento che  questo potere di etero-direzione, in relazione al risultato finale dell’opera,  può essere riscontrato anche nel contratto di lavoro autonomo, ai fini della subordinazione, lo stesso   deve essere riferito al comportamento del dipendente, attraverso il coordinamento della sua prestazione con l'interesse del datore di lavoro.

Per una corretta definizione del rapporto, occorre tenere in considerazione i due filoni sedimentatisi nella giurisprudenza.

Il primo di essi ritiene che il suddetto assoggettamento possa avvenire anche attraverso le direttive emanate  in via programmatica dal datore di lavoro, senza che le stesse debbano necessariamente essere dettate in modo  continuo, dettagliato e strettamente vincolante.

Il secondo orientamento, invece,  ai fini della subordinazione, richiede che il responsabile aziendale regolamenti l’attività del lavoratore durante lo svolgimento della prestazione, attraverso apposite direttive poste in essere di volta in volta e, quindi, direttamente ricollegabili all'esercizio del "potere di conformazione" del datore di lavoro.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che la possibilità del lavoratore di farsi sostituire, senza  fornire giustificazioni, fosse compatibile con forme di controllo tenui,  tipiche di un rapporto autonomo.

La Cassazione ha proseguito chiarendo che l’adibizione del lavoratore  ad una attività non essenziale al ciclo produttivo dell’impresa di ingegneria, come quello presso la mensa, escludesse il suo inserimento, in senso stretto, nell’organizzazione aziendale.

Inoltre, l’esercizio da parte del lavoratore di limitati poteri di rappresentanza del datore, quali la timbratura dei blocchetti-pasti o l'ordinazione degli stessi,  non sono decisivi nella ricostruzione di ipotesi di collaborazione, poiché assolutamente compatibili anche con figure di lavoro autonomo o, come nel caso in esame, di parasubordinazione.

Nella pronuncia in commento, la Corte di legittimità ha poi fornito alcune delucidazioni sugli ulteriori indici di valutazione, come l'incidenza soggettiva del rischio , la forma della retribuzione, il vincolo di rispettare un determinato orario, confermandone la funzione meramente residuale, il cui unico scopo, in generale, è quello di rafforzare gli elementi qualificatori.

Valerio Pollastrini

(1) - Cass., Sentenza n.326 del  16 gennaio 1996; Cass., Sentenza n.45 del  15 maggio 1987;

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