Secondo
il prevalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità, l’assegno di
mantenimento non può essere negato in
base alla sola circostanza che le parti abbiano pattuito nell’accordo di separazione
che il marito nulla debba corrispondere alla moglie a tale titolo.
L’accertamento del diritto all'assegno
divorzile, infatti, deve essere incentrato sul raffronto tra le condizioni
economiche delle parti successive al divorzio, con il pregresso tenore di vita coniugale
(1).
La
Cassazione, infatti, ha sempre ritenuto nulla l’eventuale rinuncia preventiva
all'assegno, in quanto, oltre che lesiva dell’art.160 del Codice Civile, contraria
all'ordine pubblico.
Il
diritto all'assegno di mantenimento è infatti considerato indisponibile, poiché
espressione dei doveri di assistenza materiale e di contribuzione ai bisogni
della famiglia (2), che permangono
col venir meno della convivenza matrimoniale.
Tuttavia,
nel caso di specie, la Suprema Corte ha rilevato come l’ex moglie, che aveva rinunciato all’assegno nell'accordo
di separazione, al momento della sottoscrizione dello stesso era casalinga e, in
seguito, contrariamente a quanto dalla stessa ipotizzato, non solo non aveva
ottenuto la stabilizzazione della sua attività lavorativa ma, addirittura, era
stata licenziata.
La
Cassazione ha quindi preso atto di come nessun fatto nuovo fosse stato allegato
a fondamento della richiesta di modifica dell'accordo di separazione.
In
sostanza, la donna, casalinga al momento della rinuncia al mantenimento, parimenti,
era risultata in seguito priva di un lavoro.
Dal
momento che l’accordo di rinuncia non era
condizionato al reperimento di un lavoro e la cessazione dell'assegno di
mantenimento era stata fatta coincidere con la donazione alla donna, in sede di
separazione consensuale, del 50 per cento della proprietà della casa
familiare, la Cassazione ha confermato il diniego, in favore della stessa, dell’assegno.
Valerio
Pollastrini
(1)
-
Cass., Sentenza n.1758/2008;
(2)
- Sanciti dall'art.143 del Codice Civile;
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