Il
caso di specie è quello di un dipendente che, mentre si trovava al lavoro, era
stato investito da un veicolo di proprietà dell’azienda, subendo lesioni
personali.
In
conseguenza dell’infortunio il lavoratore aveva riscosso l’indennizzo contrattualmente
dovutogli in virtù di una assicurazione privata, stipulata dal datore di lavoro
a beneficio dei dipendenti.
Il
lavoratore, tuttavia, aveva convenuto presso
il Tribunale di La Spezia il datore di lavoro, il conducente del veicolo investitore e
l’assicuratore della r.c.a. del medesimo mezzo, chiedendo nei confronti di
tutti i richiamati soggetti il risarcimento dei danni patiti in conseguenza del
predetto investimento.
Pur
accogliendo la domanda, il Tribunale aveva
detratto dall’importo del risarcimento spettante alla vittima la somma già percepita dall’assicuratore privato contro
gli infortuni, pari a 20 milioni di lire.
La
sentenza di primo grado era stata successivamente confermata dalla Corte di Appello
di Genova.
Tale
pronuncia era stata impugnata per Cassazione dal lavoratore che, dopo aver
ricordato che il contratto di assicurazione si divide nelle
due categorie, soggette a regole differenti, dell’assicurazione contro i danni
e dell’assicurazione sulla vita, aveva sostenuto che solo per le assicurazioni
contro i danni vige il principio in base al quale l’indennizzo riscosso
dall’assicurato non può mai superare l’entità effettiva del danno subito, e
quindi il divieto di cumulare l’indennizzo dovuto dall’assicuratore col
risarcimento eventualmente dovuto dal terzo per lo stesso fatto.
In
sostanza, secondo la tesi del ricorrente, dal momento che l’assicurazione
contro gli infortuni rientra tra le assicurazioni sulla vita, l’indennizzo riscosso per effetto di una simile
assicurazione non può essere detratto da
quanto dovuto, a titolo di risarcimento, dal terzo responsabile
dell’infortunio.
Investita
della questione, la Cassazione ha rigettato il ricorso, ricordando come sulla
questione attinente alla natura dell’assicurazione contro gli infortuni non
mortali la giurisprudenza abbia ormai da tempo abbandonato l’opinione che essa
rientri tra le assicurazioni sulla vita.
Nel
tempo, la Corte di legittimità, pur non
abbandonando formalmente la tesi secondo cui l’assicurazione contro gli
infortuni non mortali rientra nell’assicurazione sulla vita, ha tuttavia
cominciato ad ammettere che non tutte le norme dettate per l’assicurazione
sulla vita siano applicabili all’assicurazione contro gli infortuni (1).
Tutti
i contrasti e le incertezze sono stati infine risolti dall’intervento delle Sezioni
Unite, le quali hanno definitivamente stabilito che l’assicurazione contro il
rischio di infortuni non mortali è un’assicurazione contro i danni, alla quale
deve applicarsi il principio indennitario e l’intera disciplina dettata dal
codice per l’assicurazione contro i danni (2).
Se
dunque tale assicurazione è soggetta
alla disciplina delle assicurazioni contro i danni, in caso di infortunio
l’assicurato non potrà cumulare l’indennizzo dovuto per effetto di essa, con il
risarcimento dovuto dal terzo responsabile dell’infortunio.
A
tale conclusione ostano sia le norme sul contratto di assicurazione, sia quelle
sulla responsabilità civile e sul risarcimento del danno.
Diversamente,
se fosse consentito all’assicurato cumulare indennizzo e risarcimento, questi
verrebbe ad avere in teoria un interesse positivo all’avverarsi del sinistro:
il che trasformerebbe l’assicurazione in una scommessa, noto essendo che il
rischio di cui all’art. 1895 c.c. dev’essere la possibilità di avveramento di
un evento futuro, incerto, dannoso e non voluto.
In
tal caso, inoltre, l’assicuratore perderebbe il diritto di surrogazione,
accordatogli anche nell’assicurazione contro gli infortuni dall’art. 1916,
comma 4, c.c.
Infatti,
poiché la surrogazione costituisce una successione a titolo particolare
dell’assicuratore nel diritto vantato dall’assicurato verso il terzo
responsabile, prevedendo tale istituto anche per l’assicurazione contro gli
infortuni il legislatore ammette che, per effetto del pagamento dell’indennizzo
assicurativo, il diritto al risarcimento si trasferisca
dall’assicurato-danneggiato all’assicuratore.
E
se il diritto al risarcimento si trasferisce per effetto di surrogazione,
l’assicurato non ne è più titolare e non può esigerne il pagamento dal terzo
danneggiato, che altrimenti sarebbe costretto ad un duplice pagamento: sia
nelle mani del danneggiato (a titolo di risarcimento), sia nelle mani
dell’assicuratore di questi (a titolo di surrogazione), come già ritenuto dalla
giurisprudenza di legittimità (3).
Infine,
se fosse consentito all’assicurato cumulare indennizzo e risarcimento, la
percezione del risarcimento integrale, da parte del danneggiato-creditore,
estinguerebbe l’obbligazione del danneggiante-debitore.
Se
dunque l’assicuratore pagasse l’indennizzo, non potrebbe più agire in
surrogazione, in quanto il danneggiante potrebbe validamente eccepirgli (attesa
la perfetta identità tra il diritto del danneggiato al risarcimento ed il
diritto acquistato dall’assicuratore per effetto del pagamento dell’indennizzo)
di avere già estinto il proprio debito.
Pertanto,
anche se il credito relativo al risarcimento del danno e quello relativo al
pagamento dell’indennizzo sono strutturalmente diversi, quando il danneggiato,
prima di percepire l’indennizzo assicurativo, ottiene il risarcimento integrale
da parte del responsabile, il risultato della liberazione dell’assicuratore
dagli obblighi derivanti dal contratto di assicurazione si produce per effetto
della norma che prevede la responsabilità dell’assicurato che arrechi
pregiudizio al diritto dell’assicuratore (4).
La
Suprema Corte ha poi proseguito ricordando che il cumulo dell’indennizzo
assicurativo con il risarcimento del danno, anche nell’assicurazione contro gli
infortuni, è impedito dalle norme che
disciplinano il risarcimento del danno.
Se,
infatti, fosse consentito tale cumulo, verrebbe violato il principio di
integralità del risarcimento, in virtù del quale il danneggiato non può, dopo
il risarcimento, trovarsi in una condizione patrimoniale più favorevole
rispetto a quella in cui si trovava prima di restare vittima del fatto illecito
(5).
A
detta della Cassazione, parimenti, non appare risolutiva, al fine di consentire
il cumulo di indennizzo e risarcimento, l’osservazione prospettata dalla
dottrina minoritaria, secondo cui,
avendo l’assicurato pagato i premi, egli avrebbe comunque diritto
all’indennizzo in aggiunta al risarcimento, altrimenti il pagamento dei premi
sarebbe sine causa.
Il
pagamento del premio infatti non è mai sine
causa, perché al momento in cui viene compiuto vi è obiettiva incertezza
circa il verificarsi del sinistro e la solvibilità del responsabile.
Il
pagamento del premio è in sinallagma col trasferimento del rischio, non certo
col pagamento dell’indennizzo, tanto è vero che se alla scadenza del contratto
il rischio non si è verificato, il premio resta ugualmente dovuto.
Se
davvero bastasse pagare il premio per cumulare indennizzo e risarcimento, e
quindi trasformare il sinistro in una occasione di lucro, allora si dovrebbe
conseguentemente ammettere che il contratto concluso non è più
un’assicurazione, ma una scommessa, nella quale puntando una certa somma (il
premio) lo scommettitore può ottenere una remunerazione complessiva assai
superiore al danno subito.
A
conferma di quanto fin qui osservato, la Suprema Corte ha ribadito quanto affermato dalle SS.UU. allorché
hanno radicalmente escluso la possibilità per l’assicurato di cumulare più
indennizzi che, complessivamente, eccedano l’ammontare del danno patito.
Conseguentemente, se non possono
cumularsi più indennizzi, a fortiori non può ritenersi possibile cumulare
indennizzi e risarcimento.
Nemmeno
la preventiva rinuncia dell’assicuratore all’esercizio del diritto di surroga
ex art. 1916 c.c. può consentire all’assicurato di cumulare il risarcimento
ottenuto dal terzo con l’indennizzo dovuto dall’assicuratore, per le seguenti
ragioni:
Tornando
alla vicenda in commento, la Cassazione ha affermato che indennizzo dovuto dall’assicuratore e
risarcimento dovuto dal responsabile assolvono ad una identica funzione
risarcitoria, e non possono essere cumulati: non perché nel caso di specie non
trovi applicazione l’istituto della compensatici lucri cum damno, ma semplicemente perché non c’è più danno
risarcibile per la parte indennizzata dall’assicuratore.
In
conclusione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso sulla base del seguente
principio di diritto: l’assicurazione contro gli infortuni non mortali
costituisce un’assicurazione contro i danni ed è soggetta al principio
indennitario, in virtù del quale l’indennizzo non può mai eccedere il danno
effettivamente patito.
Ne
consegue che il risarcimento del danno dovuto alla vittima di lesioni personali
deve essere diminuito dell’importo da questa percepito a titolo di indennizzo
da parte del proprio assicuratore privato contro gli infortuni.
Valerio
Pollastrini
(1)
-
Con riferimento alle conseguenze del mancato pagamento del premio, si è esclusa
l’applicabilità all’assicurazione infortuni dell’art. 1924 c.c., ritenendo
invece applicabile l’art. 1901 c.c. (Cass., Sentenza n.2735 del 13 novembre 1964;
Cass., Sentenza n.2551 del 19 ottobre
1967; Cass., Sentenza n.1526 del 27 maggio 1971; Cass., Sentenza n.1883 del 13
maggio1977, in Assicurazioni, ove per la prima volta si proclama una diversità
“ontologica e di struttura” tra l’assicurazione sulla vita e quella contro gli
infortuni;
-
Con
riferimento alle conseguenze al mutamento di professione dell’assicurato, si è
esclusa l’applicabilità all’assicurazione infortuni dell’art. 1926 c.c.: Cass., Sentenza n.6205 del 27 novembre 1979;
-
Con
riferimento alle conseguenze dell’omissione dell’obbligo di avviso di sinistro,
si è ritenuta applicabile anche all’assicurazione contro gli infortuni la
previsione di cui all’art. 1915 c.c.: Cass., Sentenza n.1078 del 4 marzo 1978;
-
Con
riferimento alle conseguenze del ritardato pagamento dell’indennizzo, si è
qualificata l’obbligazione dell’assicuratore contro gli infortuni come debito
di valore e non di valuta (quale è invece il debito d’indennizzo
nell’assicurazione vita), sul presupposto che anche l’assicurazione infortuni
rientra nell’assicurazione contro i danni:
Cass., Sentenza n.3017 del 3
maggio 1986; Cass., Sentenza n.661 del
26 gennaio 1988;
(2)
-
Cass., Sentenza n.5119 del 10 aprile 2002;
(3)
–
Cass., Sentenza n.1881 del 14 giugno1972;
(4)
–
Cass., Sentenza n.2595 del 25 ottobre1966;
(5)
–
Cass., Sentenza n.293 del 29 gennaio 1973;
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