In
sostanza, le novità riguardano:
-
l’estensione
del contratto privo di causale nell’ambito della durata massima di 36 mesi;
-
l’ampliamento
della possibilità di ricorso alla proroga: consentite fino a 5 volte nell’arco
dei 36 mesi complessivi;
-
la
previsione di un contingentamento legale per la stipulazione di contratti a
termine da parte di ciascun datore di lavoro, con irrogazione di una sanzione
amministrativa in caso di violazione;
-
il
riconoscimento che il congedo obbligatorio di maternità, intervenuto
nell’esecuzione di un precedente contratto a termine, sia considerato utile ai
fini del diritto di precedenza.
Le
nuove disposizioni si applicano ai rapporti di lavoro a tempo determinato,
costituiti a decorrere dalla data di entrata in vigore del Decreto in commento.
I
rapporti instaurati tra il 21 marzo 2014 e il giorno antecedente al 19 maggio
2014, data di entrata in vigore della
Legge di conversione, hanno piena validità e restano disciplinati dalle
disposizioni contenute nel testo originario del D.L. n.34/2014.
La
norma ha comunque ribadito l’inefficacia
dell’apposizione del termine se tale causa non risulta, direttamente o
indirettamente, da atto scritto.
Contratto c.d. “acausale”
Il
D.L. n.34/2014 ha reso la fattispecie contrattuale a termine acausale, che la
Legge n.921 del 28 giugno 2012 aveva introdotto quale eccezione, come regola
base.
Dallo
scorso 21 marzo, dunque, è possibile
stipulare un contratto a termine:
-
senza
ragioni giustificatrici;
-
per
lo svolgimento di qualsiasi tipo di mansione;
-
a
condizione che la durata complessiva del contratto, comprensiva delle eventuali
proroghe, abbia una durata non superiore a trentasei mesi;
-
anche
nell’ambito della somministrazione.
E’necessario,
tuttavia, sottolineare che, ancorché l’acausalità sia divenuta la regola
generale, permangono alcune ipotesi in cui è opportuno indicare la causale.
Si
tratta, in particolare, delle assunzioni
con contratto a termine per le quali sono previste agevolazioni, come, ad
esempio, per le assunzioni in
sostituzione di maternità o per quelle,
in riferimento alle quali, sono previste deroghe alla nuova normativa.
Le proroghe
Il
termine originariamente prefissato per la scadenza del contratto a tempo
determinato, può essere prorogato solamente con il consenso del lavoratore e a
patto che la durata iniziale del rapporto sia inferiore a tre anni.
Fermo
restando il limite dei trentasei mesi, il datore di lavoro potrà fruire della
proroga del contratto a termine per un massimo di cinque volte.
Al
riguardo, si osservi che, venute meno le condizioni oggettive richieste dalla
previgente normativa anche in caso di proroga, la legge di conversione
condiziona la possibilità di proroga:
-
al
consenso del lavoratore;
-
allo
svolgimento delle stesse mansioni.
La
norma chiarisce che, ai fini del computo del periodo massimo di 36 mesi per la durata
del contratto a tempo determinato, vanno considerati anche i periodi di
missione per mansioni equivalenti, relative alla somministrazione di lavoro a
termine.
Una
volta raggiunto tale limite, comunque, permane tra le parti la possibilità di ricorso alla somministrazione a tempo
determinato.
Le
5 proroghe potranno essere poste in essere, indipendentemente dal numero dei rinnovi. Il
numero massimo delle proroghe, quindi, è da intendersi quale tetto complessivo
da applicarsi a tutti i contratti stipulati, a parità di mansioni, nell’arco
dei 36 mesi.
Con
specifico riferimento alla successione di due distinti contratti a termine tra
le stesse parti, resta fermo il rispetto degli intervalli temporali richiesti
tra la cessazione del primo e l’instaurazione del secondo rapporto, pari a:
-
10
giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi;
-
20
giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi.
Al
venir meno dell’obbligo d’indicare le ragioni giustificative delle proroghe,
sono venute meno anche la disposizioni della contrattazione collettiva che prevedevano dei limiti quantitativi.
Numero di
contratti a termine in azienda
La
norma in commento ha introdotto una limitazione quantitativa, derogabile dai Contratti
Collettivi Nazionali, dei rapporti di lavoro a tempo determinato.
Ciascun
datore di lavoro, infatti, non potrà stipulare contratti a termine in eccedenza
rispetto al limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo
indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione.
La
base di calcolo per il limite quantitativo è la seguente:
-
non
più riferita in via generica
all’organico complessivo dell’azienda;
-
esclude
i lavoratori assunti a tempo determinato.
In
attesa di prossimi chiarimenti, si ritiene che, contrariamente a quanto avviene
per i lavoratori occupati con contratto part-time, gli apprendisti sono esclusi
dalla suddetta computabilità dei dipendenti a tempo indeterminato.
Anche
i contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, inoltre,
sembrano esclusi dal contingentamento legale.
Tuttavia,
è certa l’ esenzione dalle limitazioni quantitative per i contratti a tempo
determinato conclusi:
1)
nel
rispetto dei diversi limiti stabiliti dai Contratti Collettivi Nazionali,
stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi;
2)
nella fase di avvio di nuove attività, per i
periodi che saranno definiti dai Contratti Collettivi Nazionali, anche in
misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti
merceologici;
3)
per
ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, comprese le attività già
previste nell'elenco allegato al Decreto del Presidente della Repubblica n.1525
del 7 ottobre 1963 e successive
modificazioni;
4)
per
l'intensificazione dell'attività lavorativa in determinati periodo dell'anno;
5)
per
specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi.
Risultano
poi esentati dal rispetto del limite del 20% per la stipula di contratti a
tempo determinato gli Enti di ricerca ,
pubblici e privati, per i ricercatori e
il personale tecnico.
I
contratti a termine concernenti in via esclusiva lo svolgimento di attività di
ricerca scientifica, inoltre, potranno avere una durata pari a quella del progetto di ricerca
al quale si riferiscono.
Sono,
altresì, esenti da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato
stipulati:
-
a
conclusione di un periodo di tirocinio o di stage, allo scopo di facilitare
l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro;
-
con
lavoratori di età superiore ai cinquantacinque anni;
-
quando
l'assunzione abbia luogo per l'esecuzione di un'opera o di un servizio definiti
o predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario o occasionale;
-
di durata non superiore ai sette mesi,
compresa l’eventuale proroga, ovvero non superiore alla maggiore durata
definita dalla contrattazione collettiva con riferimento a situazioni di
difficoltà occupazionale per specifiche aree geografiche.
Per
usufruire della possibilità di proroga, si consiglia, con riferimento ai soli
contratti a tempo determinato stipulati in applicazione delle deroghe sopra
elencate, di indicare le ragioni che consentono l’apposizione del termine al
rapporto.
Il
suddetto limite del 20%, tuttavia, non
trova applicazione nei confronti dei datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti.
Sempre
con riferimento alla soglia del 20%, la norma in commento sancisce la piena
efficacia dei diversi limiti percentuali, eventualmente previsti dai vigenti Contratti Collettivi Nazionali.
In
sostanza, qualora il Contratto Collettivo
Nazionale applicato in azienda avesse già stabilito limiti quantitativi,
maggiori o minori del 20%, relativi alla possibilità di instaurazione di
contratti a tempo determinato,andranno osservati questi ultimi, in quanto il
limite legale per il ricorso ai contratti a tempo determinato è da considerarsi
alternativo rispetto a quello convenuto nella contrattazione collettiva.
Il
datore di lavoro, che all’entrata in vigore del Decreto, abbia in atto rapporti
di lavoro a termine che comportino il superamento del limite del 20%, dovrà mettersi in regola entro il 31 dicembre 2014,
salvo l’ipotesi in cui il Contratto Collettivo
applicabile preveda una soglia
percentuale o un termine più favorevole.
Diversamente,
dal 2015 l’azienda inadempiente non potrà stipulare nuovi contratti a tempo determinato,
se non dopo essere rientrata all’interno della soglia legale.
Le sanzioni per
chi supera il limite numerico
In
caso di violazione del limite del 20%, all’azienda verrà erogata, per ciascun
lavoratore, una sanzione amministrativa pari al:
-
20%
della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni
di durata del rapporto lavorativo, nel caso in cui la violazione del rispetto
della suddetta soglia riguardi un solo dipendente;
-
50%
della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni
di durata del rapporto lavorativo, qualora il numero dei lavoratori assunti in
violazione del suddetto limite sia superiore a uno.
I
rapporti di lavoro instaurati prima del 21 marzo 2014, data
di entrata in vigore del D.L. n.34/2014, che comportino il superamento del limite del
20%, non saranno colpiti dalla sanzione.
Diritto di
precedenza
Il
Decreto Legge n.34/2014 ha rafforzato il diritto di precedenza riconosciuto ai
lavoratori a tempo determinato in caso
di nuove assunzioni.
Tale
diritto deve essere espressamente richiamato dal datore di lavoro nell’atto scritto
con il quale è stato apposto il termine al contratto a termine.
Si
ricordi, inoltre, che il suddetto diritto di precedenza è
differenziato a seconda che si tratti o meno di attività stagionale, pertanto:
-
ferme
restando le diverse previsioni dei Contratti Collettivi, il lavoratore che,
attraverso uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, ha prestato
attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi, ha la precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato,
effettuate dal datore entro i successivi 12 mesi, con riferimento alle mansioni
già espletate in esecuzione dei rapporti a termine;
-
il
lavoratore occupato a tempo determinato per attività stagionali ha la
precedenza rispetto a nuove assunzioni a termine da parte dello stesso datore,
per le medesime attività stagionali.
Per
esercitare il proprio diritto di precedenza, il lavoratore deve manifestarne la
volontà al datore di lavoro entro, rispettivamente, sei o tre mesi dalla data di cessazione del rapporto
di lavoro.
Il
diritto di precedenza è stato esteso, inoltre, alle lavoratrici in congedo di
maternità.
In
particolare, il congedo di maternità, intervenuto nell’esecuzione di un
contratto a termine presso la stessa azienda, rientra nel computo del periodo
complessivo di prestazione lavorativa utile al diritto di precedenza rispetto a
nuove assunzioni a tempo indeterminato. In tal caso, il diritto di precedenza
può essere esercitato, sia per le assunzioni con contratti a tempo
indeterminato, sia per quelle a tempo determinato, entro i successivi 12 mesi,
riguardo le mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti contratti a
termine.
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