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martedì 10 giugno 2014

Criteri per l’accertamento del demansionamento

Nella sentenza n.7123  del 26 marzo 2014, la Corte di Cassazione ha ricordato che, per la determinazione del corretto inquadramento contrattuale di un lavoratore subordinato,  è necessario accertare le prestazioni svolte concretamente ed individuare livello e qualifica in base al raffronto tra il risultato della predetta indagine e quanto previsto dal Contratto Collettivo  applicabile. Si tratta di un giudizio riservato al giudice del merito che, se sorretto da logica e adeguata motivazione,  risulta insindacabile in sede di legittimità (1).

Riformando la sentenza di primo grado, la Corte di Appello di Milano aveva rigettato la domanda di risarcimento danni proposta da un dipendente dell’Inps, per la supposta dequalificazione professionale, posta in essere dall’Istituto nei suoi confronti.

La Corte territoriale, dopo aver rilevato che il lavoratore,  vincitore di un concorso per la ex  ottava qualifica funzionale, risultava  inquadrato nella posizione C3, aveva ritenuto che le mansioni attribuitegli  fossero pertinenti al suo inquadramento contrattuale.

Avverso l'anzidetta sentenza, il dipendente aveva proposto ricorso per Cassazione, deducendo, preliminarmente, che le caratteristiche della posizione C3 fossero connesse all'esercizio, all'interno del team, delle attività di indirizzo e di scambio di informazioni, attraverso un ruolo propositivo nella gestione delle varianze, finalizzato alla risoluzione dei problemi della clientela, con una diretta responsabilità in merito agli obiettivi/risultati individuali e del gruppo di lavoro.

In particolare il ricorrente aveva contestato  alla Corte territoriale di non aver riconosciuto l'esistenza di quei necessari indici di differenziazione dei compiti degli addetti alle unità di processo e alle aree professionali, posto che l'accorpamento nell'unica Area C delle precedenti qualifiche funzionali 7, 8 e 9  non avrebbe comportato il venir meno di precise specificità professionali tra il profilo C1 e quello C3.

Il lavoratore aveva inoltre lamentato la ricostruzione delle mansioni svolte, compiuta dalla  Corte del merito  sulla base delle dichiarazioni rese da un solo teste, senza considerare il complesso delle risultanze  acquisite anche con le altre testimonianze, alla luce delle quali, invece, si sarebbe dovuto riconoscere l'assunto dell'affidamento di mansioni inadeguate rispetto al livello di inquadramento.

A detta del ricorrente, infine, se il giudice dell’appello  avesse compiuto  un’attenta revisione delle dichiarazioni testimoniali, avrebbe potuto accertare che le mansioni svolte non presentavano le caratteristiche indicate dalla contrattazione collettiva, tanto da non distinguersi, nei contenuti, da quelle assegnate a colleghi inquadrati nella posizione inferiore C1.

Investita della questione, la Cassazione ha ricordato come, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindere da tre fasi successive, vale a dire, dall'accertamento in fatto delle attività svolte in concreto, dall'individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal Contratto Collettivo  e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda.

Si tratta di un accertamento   riservato al giudice del merito che, se sorretto da logica ed adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità.

La Suprema Corte ha chiarito che, ai fini dell'accertamento di un eventuale demansionamento, il procedimento sopra indicato deve essere seguito anche per individuare la pertinenza delle mansioni svolte ad una determinata posizione funzionale.

Tornando al caso di specie, gli ermellini hanno ritenuto che la sentenza impugnata si fosse conformata a questo  criterio metodologico, riconoscendo, anzitutto, che il contenuto professionale dell'area C fosse caratterizzato  dalla competenza a svolgere tutte le fasi del processo produttivo e che, per la posizione economica C3, il gestore di processo fosse caratterizzato dalla capacità di gestire e regolare i processi di produzione ,sulla base di una visione globale dei processi produttivi della struttura organizzativa di appartenenza, oltre che per la conoscenza approfondita delle tecniche e delle metodologie necessarie per il governo del sistema aziendale, senza che ciò, in ogni caso, gli precluda la possibilità di svolgere funzioni comuni ed integrate nello stesso processo.

Con riferimento all'articolo 7 del Contratto Collettivo Integrativo dell’ Ente 1998/01, la Corte territoriale aveva accertato, altresì, che il personale dell'area professionale C fosse quello in possesso di competenze integrate, operante direttamente nel processo produttivo, mentre, con riferimento alla posizione economica C3, fosse quello preposto all’integrazione e regolamentazione delle linee dell'intero processo produttivo o del team di lavoro, mediante la gestione delle informazioni e/o l'applicazione delle metodologie necessarie per la risoluzione dei problemi.

Sulla base dell'istruttoria acquisita, la Corte di Appello aveva quindi accertato che il lavoratore, inserito nel processo aziende riferito al  complesso di attività inerenti a  tutti gli aspetti del rapporto contributivo, dalla fase costitutiva a quella conclusiva, compresa la gestione dei crediti ed il loro recupero, e a tutti i rapporti di natura amministrativa e contabile nascenti dall'obbligo contributivo (2), avesse operato nell’ambito di compiti consistenti nella gestione dei rapporti istituzionali con le aziende contribuenti, sia attraverso l'espletamento del servizio informativo e di risoluzione di problemi per telefono e allo sportello - a turno -, sia attraverso l'esame delle domande di iscrizione e della documentazione allegata a ciascuna, come pure di ogni ulteriore atto relativo alla vita fisiologica dell'azienda, cioè l'istruzione amministrativa delle pratiche di iscrizione, variazione di inquadramento e cessazione, portate alla firma del funzionario responsabile di processo ed inquadrato nella posizione economica C4 al termine dell'attività istruttoria.

Questa ricostruzione fattuale aveva indotto la Corte territoriale a rilevare che la gestione autonoma di pratiche di iscrizione e gestione contributiva delle aziende presupponesse l’inquadramento nella posizione C3 e che le mansioni svolte, secondo il quadro delineato dal Contratto Collettivo, corrispondessero all'inquadramento attribuito al lavoratore dall’Istituto.  

Al termine di questa lunga premessa, la Suprema Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata avesse fornito una puntuale e pertinente individuazione delle caratteristiche proprie delle mansioni attribuite alla posizione C3 e che, attraverso l'accertamento fattuale delle mansioni in concreto espletate, aveva correttamente accertato  la corrispondenza di dette mansioni con quelle proprie della posizione funzionale posseduta dal ricorrente.

Le censure sollevate, si risolvono, pertanto, nella critica della ricostruzione fattuale delle mansioni concretamente espletate, avanzata sul rilievo che tale ricostruzione sarebbe fondata sulle dichiarazioni di un solo teste, laddove altre acquisizioni testimoniali avrebbero condotto a diverse conclusioni.

Al riguardo, il Collegio  ha osservato che, come ribadito più volte,  la deduzione con il ricorso per Cassazione di un vizio di motivazione non conferisce alla Suprema Corte il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì, la sola facoltà di controllo delle argomentazioni svolte dal giudice di merito sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale.

In sostanza, la Cassazione  non può  procedere ad una nuova valutazione di merito, attraverso un’autonoma disamina delle emergenze probatorie.

Semmai, ai fini della legittimità del ricorso, le eventuali censure, concernenti i vizi di motivazione, devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata (3).

Nel caso all'esame, la sentenza impugnata aveva esaminato le circostanze rilevanti ai fini della decisione, seguendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite e privo di contraddizioni e vizi logici.

Per la Suprema Corte, quindi, le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni avanzate dalla pronuncia di Appello configurano un’interpretazione del materiale probatorio del tutto ragionevole, che non può essere sindacata in sede di legittimità (4).

In base alle ragioni appena richiamate, la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso e la condanna del lavoratore al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in 3.500,00 € per compensi professionali, 100,00 € per esborsi, oltre accessori come per legge.

Valerio Pollastrini

(1)   - Cass., Sentenza n.12744/2003; Cass., Sentenza n.3069/2005; Cass., Sentenza n.17896/2007; Cass., Sentenza n.26233/2008;
(2)   – Secondo quanto disposto dalla Circolare Inps n.17/99;
(3)   - Cass., Sentenza n.824/2011; Cass., Sentenza n.13783/2006; Cass., Sentenza n.11034/2006; Cass., Sentenza n.4842/2006; Cass., Sentenza n.8718/2005; Cass., Sentenza n.15693/2004; Cass., Sentenza n.2357/2004; Cass., Sentenza n.12467/2003; Cass., Sentenza n.16063/2003; Cass., Sentenza n.3163/2002;
(4)   – Cass., Sentenza n.14212/2010; Cass., Sentenza n.14911/2010;

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