Riformando
la sentenza di primo grado, la Corte di Appello di Milano aveva rigettato la
domanda di risarcimento danni proposta da un dipendente dell’Inps, per la
supposta dequalificazione professionale, posta in essere dall’Istituto nei suoi
confronti.
La
Corte territoriale, dopo aver rilevato che il lavoratore, vincitore di un concorso per la ex ottava qualifica funzionale, risultava inquadrato nella posizione C3, aveva ritenuto
che le mansioni attribuitegli fossero
pertinenti al suo inquadramento contrattuale.
Avverso
l'anzidetta sentenza, il dipendente aveva proposto ricorso per Cassazione, deducendo,
preliminarmente, che le caratteristiche della posizione C3 fossero connesse all'esercizio,
all'interno del team, delle attività di indirizzo e di scambio di informazioni,
attraverso un ruolo propositivo nella gestione delle varianze, finalizzato alla risoluzione dei problemi della clientela,
con una diretta responsabilità in merito agli obiettivi/risultati individuali e
del gruppo di lavoro.
In
particolare il ricorrente aveva contestato alla Corte territoriale di non aver riconosciuto
l'esistenza di quei necessari indici di differenziazione dei compiti degli
addetti alle unità di processo e alle aree professionali, posto che
l'accorpamento nell'unica Area C delle precedenti qualifiche funzionali 7, 8 e
9 non avrebbe comportato il venir meno
di precise specificità professionali tra il profilo C1 e quello C3.
Il
lavoratore aveva inoltre lamentato la ricostruzione delle mansioni svolte,
compiuta dalla Corte del merito sulla base delle dichiarazioni rese da un solo
teste, senza considerare il complesso delle risultanze acquisite anche con le altre testimonianze,
alla luce delle quali, invece, si sarebbe dovuto riconoscere l'assunto
dell'affidamento di mansioni inadeguate rispetto al livello di inquadramento.
A
detta del ricorrente, infine, se il giudice dell’appello avesse compiuto un’attenta revisione delle dichiarazioni testimoniali,
avrebbe potuto accertare che le mansioni svolte non presentavano le
caratteristiche indicate dalla contrattazione collettiva, tanto da non
distinguersi, nei contenuti, da quelle assegnate a colleghi inquadrati nella
posizione inferiore C1.
Investita
della questione, la Cassazione ha ricordato come, secondo la costante giurisprudenza
di legittimità, il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione
dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindere da tre fasi
successive, vale a dire, dall'accertamento in fatto delle attività svolte in
concreto, dall'individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal Contratto
Collettivo e dal raffronto tra il
risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale
individuati nella seconda.
Si
tratta di un accertamento riservato al giudice del merito che, se
sorretto da logica ed adeguata motivazione, è insindacabile in sede di
legittimità.
La
Suprema Corte ha chiarito che, ai fini dell'accertamento di un eventuale
demansionamento, il procedimento sopra indicato deve essere seguito anche per
individuare la pertinenza delle mansioni svolte ad una determinata posizione
funzionale.
Tornando
al caso di specie, gli ermellini hanno ritenuto che la sentenza impugnata si
fosse conformata a questo criterio
metodologico, riconoscendo, anzitutto, che il contenuto professionale dell'area
C fosse caratterizzato dalla competenza
a svolgere tutte le fasi del processo produttivo e che, per la posizione
economica C3, il gestore di processo fosse caratterizzato dalla capacità di
gestire e regolare i processi di produzione ,sulla base di una visione globale
dei processi produttivi della struttura organizzativa di appartenenza, oltre che
per la conoscenza approfondita delle tecniche e delle metodologie necessarie
per il governo del sistema aziendale, senza che ciò, in ogni caso, gli precluda
la possibilità di svolgere funzioni comuni ed integrate nello stesso processo.
Con
riferimento all'articolo 7 del Contratto Collettivo Integrativo dell’ Ente
1998/01, la Corte territoriale aveva accertato, altresì, che il personale dell'area
professionale C fosse quello in possesso di competenze integrate, operante
direttamente nel processo produttivo, mentre, con riferimento alla posizione
economica C3, fosse quello preposto all’integrazione e regolamentazione delle linee
dell'intero processo produttivo o del team di lavoro, mediante la gestione
delle informazioni e/o l'applicazione delle metodologie necessarie per la
risoluzione dei problemi.
Sulla
base dell'istruttoria acquisita, la Corte di Appello aveva quindi accertato che
il lavoratore, inserito nel processo aziende riferito al complesso di attività inerenti a tutti gli aspetti del rapporto contributivo,
dalla fase costitutiva a quella conclusiva, compresa la gestione dei crediti ed
il loro recupero, e a tutti i rapporti di natura amministrativa e contabile
nascenti dall'obbligo contributivo (2), avesse operato nell’ambito di compiti
consistenti nella gestione dei rapporti istituzionali con le aziende
contribuenti, sia attraverso l'espletamento del servizio informativo e di
risoluzione di problemi per telefono e allo sportello - a turno -, sia
attraverso l'esame delle domande di iscrizione e della documentazione allegata
a ciascuna, come pure di ogni ulteriore atto relativo alla vita fisiologica
dell'azienda, cioè l'istruzione amministrativa delle pratiche di iscrizione,
variazione di inquadramento e cessazione, portate alla firma del funzionario
responsabile di processo ed inquadrato nella posizione economica C4 al termine
dell'attività istruttoria.
Questa
ricostruzione fattuale aveva indotto la Corte territoriale a rilevare che la
gestione autonoma di pratiche di iscrizione e gestione contributiva delle
aziende presupponesse l’inquadramento nella posizione C3 e che le mansioni svolte,
secondo il quadro delineato dal Contratto Collettivo, corrispondessero
all'inquadramento attribuito al lavoratore dall’Istituto.
Al
termine di questa lunga premessa, la Suprema Corte ha ritenuto che la sentenza
impugnata avesse fornito una puntuale e pertinente individuazione delle
caratteristiche proprie delle mansioni attribuite alla posizione C3 e che,
attraverso l'accertamento fattuale delle mansioni in concreto espletate, aveva correttamente
accertato la corrispondenza di dette
mansioni con quelle proprie della posizione funzionale posseduta dal ricorrente.
Le
censure sollevate, si risolvono, pertanto, nella critica della ricostruzione
fattuale delle mansioni concretamente espletate, avanzata sul rilievo che tale
ricostruzione sarebbe fondata sulle dichiarazioni di un solo teste, laddove
altre acquisizioni testimoniali avrebbero condotto a diverse conclusioni.
Al
riguardo, il Collegio ha osservato che,
come ribadito più volte, la deduzione
con il ricorso per Cassazione di un vizio di motivazione non conferisce alla
Suprema Corte il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta
al suo vaglio, bensì, la sola facoltà di controllo delle argomentazioni svolte
dal giudice di merito sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza logico-formale.
In
sostanza, la Cassazione non può procedere ad una nuova valutazione di merito,
attraverso un’autonoma disamina delle emergenze probatorie.
Semmai,
ai fini della legittimità del ricorso, le eventuali censure, concernenti i vizi
di motivazione, devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o
illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del
merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze
processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata (3).
Nel
caso all'esame, la sentenza impugnata aveva esaminato le circostanze rilevanti
ai fini della decisione, seguendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con
le emergenze istruttorie acquisite e privo di contraddizioni e vizi logici.
Per
la Suprema Corte, quindi, le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni avanzate
dalla pronuncia di Appello configurano un’interpretazione del materiale
probatorio del tutto ragionevole, che non può essere sindacata in sede di
legittimità (4).
In
base alle ragioni appena richiamate, la Cassazione ha concluso con il rigetto
del ricorso e la condanna del lavoratore al pagamento delle spese del giudizio
di legittimità, liquidate in 3.500,00 € per compensi professionali, 100,00 €
per esborsi, oltre accessori come per legge.
Valerio
Pollastrini
(1)
-
Cass., Sentenza n.12744/2003; Cass., Sentenza n.3069/2005; Cass., Sentenza n.17896/2007;
Cass., Sentenza n.26233/2008;
(2)
–
Secondo quanto disposto dalla Circolare Inps n.17/99;
(3)
-
Cass., Sentenza n.824/2011; Cass., Sentenza n.13783/2006; Cass., Sentenza n.11034/2006;
Cass., Sentenza n.4842/2006; Cass., Sentenza n.8718/2005; Cass., Sentenza n.15693/2004;
Cass., Sentenza n.2357/2004; Cass., Sentenza n.12467/2003; Cass., Sentenza n.16063/2003;
Cass., Sentenza n.3163/2002;
(4)
–
Cass., Sentenza n.14212/2010; Cass., Sentenza n.14911/2010;
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