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sabato 28 giugno 2014

Condanna per l’installazione di un ponteggio senza marchio di fabbrica

Nella sentenza n.27693 del 26 giugno 2014, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna emessa ai danni di un datore di lavoro edile che aveva installato in cantiere dei ponteggi privi dell’indicazione del marchio di fabbrica.

Nel caso di specie, il giudizio del merito aveva ritenuto un imprenditore responsabile del reato di cui all’art.135 del D.lgs. n.81/2008, in quanto aveva installato un ponteggio metallico a telaio  sprovvisto di marchio di fabbricazione  per effettuare lavori di intonaco alla parete perimetrale esterna di un edificio.

Nell’adire la Cassazione, l’imputato aveva rilevato come la norma suddetta fosse entrata in vigore di recente e che, pertanto, la sua mancata conoscenza del relativo precetto fosse giustificata, in quanto, trovandosi in perfetta buona fede, sarebbe  caduto in errore scusabile, con conseguente difetto dell’elemento soggettivo del reato.

Investita della questione, la Suprema Corte ha  sottolineato che la disposizione violata dall’imputato non può dirsi del tutto nuova rispetto alla previgente normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.  Anche l’art. 22 del D.P.R. 547/55, infatti, dispone per le scale aeree ed i ponti mobili sviluppabili l’obbligo di apposizione di una targa indicante, rispettivamente,  il nome del costruttore, il luogo e l’anno di costruzione, nonché la sua portata massima.

La Cassazione ha poi aggiunto che l’inserimento nel particolare ambito delle costruzioni edili, comporta, in ogni caso, l’inderogabile onere di fornire ai dipendenti adeguate informazioni sulle regole che  disciplinano il settore, tanto più quando queste riguardino, come nella fattispecie, la sicurezza dei luoghi di lavoro.

La mancata attuazione del suddetto obbligo di informazione, pertanto, palesa la piena sussistenza dell’elemento soggettivo necessario per la configurabilità della contravvenzione contestata all’imprenditore, con la contestuale esclusione  della possibilità di ipotizzare la buona fede o l’errore scusabile, invocati nell’atto di impugnazione.

Per tutte le richiamate motivazioni, la Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la condanna dell’imprenditore.

Valerio Pollastrini

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