Nel
caso di specie, la Corte di Appello, riformando la pronuncia del Tribunale,
aveva accolto la domanda con la quale un lavoratore aveva chiesto il risarcimento
del danno per il mancato godimento dei riposi settimanali e giornalieri.
La
Corte del merito aveva quindi condannato l’azienda al complessivo pagamento, in
favore del ricorrente, di 1.563,88 €, dei quali, 1.362,53 € per mancati riposi giornalieri
e 201,35 € per mancati riposi
settimanali, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, dalle singole
scadenze al saldo.
In
particolare, in merito alla
determinazione della durata dei riposi giornaliero e settimanale nell’ambito
del lavoro discontinuo, quale quello di vigilanza svolto dal dipendente in questione, il giudicante non
aveva condiviso l'interpretazione avanzata dalla società sulla derogabilità
della normativa generale nelle ipotesi di cambio di squadra. Tale circostanza,
infatti, non poteva ritenersi riferita al cambio di turno dell'intera squadra
di appartenenza del lavoratore, circostanza verificatasi nella specie.
La
Corte, dunque, ha ribadito la validità della disciplina generale che prevede un
riposo di undici ore per ogni giorno di lavoro, un riposo settimanale di
ventiquattro ore consecutive alla fine del riposo settimanale e un riposo di
trentacinque ore complessive, spettante ad ogni cambio di turno, alla fine del
turno settimanale, dal passaggio dal terzo al primo turno o dal terzo al secondo.
La
soppressione del riposo settimanale, impedendo al lavoratore di recuperare le proprie energie
psico-fisiche e dedicare del tempo ad attività culturali o ricreative, si era
pertanto tradotta in un danno, liquidato nella misura pari al 50% della complessiva
retribuzione giornaliera nell'ipotesi di soppressione di undici ore e del 15%
nell'ipotesi di soppressione di tre ore.
La
Corte del merito aveva escluso ogni valenza alla deduzione dell’azienda
relativa alla fruizione, da parte del lavoratore, di successivi maggiori riposi.
Contro
la sentenza del merito, il datore di lavoro aveva proposto ricorso per
Cassazione.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha premesso che, come correttamente osservato
dal Giudice del secondo grado, nel
disciplinare il riposo giornaliero e quello settimanale, gli artt. 7 e 9 del
D.Lgs. n.66/2003, che contemplano un
periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola coincidente
con la domenica, da cumulare con le previste undici ore di riposo giornaliero,
si riferiscono anche ai lavori discontinui, quali quello di vigilanza.
La
Cassazione ha proseguito, ricordando che eventuali deroghe all'anzidetta disciplina possono
essere introdotte solamente dalla contrattazione
collettiva o attraverso specifici accordi nazionali.
In
mancanza di siffatta previsione derogatoria devono pertanto valere i principi
sopra enunciati.
Per
escludere il diritto riconosciuto nella sentenza appella non rileva il richiamo
alla fruizione successiva di riposi maggiori, essendo il termine di riferimento
quello del giorno e della settimana.
La
Suprema Corte ha poi escluso che la fattispecie in commento rientrasse in
quella contemplata nel comma 2, lett. a), dell'art.9 del D.Lgs. n.66/2003, che
annovera tra le eccezioni al principio sancito nel comma 1, le attività di lavoro a
turni con riferimento ai casi in cui il lavoratore cambi squadra e non possa
usufruire, tra la fine del servizio di
una squadra e l'inizio di quello della squadra successiva, di periodi di riposo
giornaliero o settimanale.
Sul
punto, interpretando correttamente la norma, la Corte di Appello aveva ritenuto che il caso oggetto di giudizio fosse diverso da
quello realizzatosi nella fattispecie di cambio di squadra, trattandosi invece di
cambio del turno da parte della intera squadra che, come tale, presuppone una
programmazione ispirata al rispetto delle regole generali sull'orario di lavoro.
Inoltre,
dal momento che il cambio di turno
avveniva ogni sette giorni, la società
era tenuta al rispetto della normativa disciplinante il diritto al periodo di
riposo.
Per
le richiamate ragione la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso .
Valerio
Pollastrini
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