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venerdì 2 maggio 2014

Le ipotesi in cui la modifica dell’inquadramento previdenziale assume efficacia retroattiva

Nella sentenza n.8558 dell’11 aprile 2014  la Corte di Cassazione è intervenuta sulla controversa questione della retroattività, nei limiti della prescrizione quinquennale, del diverso inquadramento  di un’impresa disposto dall’Inps ai fini contributivi.

Nella sentenza in commento la Suprema Corte ha ricordato la normativa di riferimento, richiamando  la disposizione di cui all’art.3, comma 8, della Legge n.335/1995, in base alla quale i provvedimenti di variazione della classificazione dei datori di lavoro, adottati d’ufficio dall’Inps o su richiesta  dell’azienda, producono effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di variazione o della richiesta dell’interessato, con esclusione dei casi in cui l’inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro.

In merito alla richiamata disposizione di legge, la Cassazione ha fatto ricorso all’indirizzo ormai consolidato che attribuisce una valenza generale  alla citata norma, nella parte in cui dispone  l’efficacia dei provvedimenti di variazione della classificazione dei datori di lavoro dal periodo di paga in corso. Conseguentemente, tale limite risulta  applicabile ad ogni ipotesi di rettifica di precedenti inquadramenti operata dall’Istituto Previdenziale.

L’efficacia delle stesse variazioni dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di variazione, anche per quanto riguarda le variazioni disposte a seguito di richiesta dell’azienda, risulta funzionale all’esigenza di non far ricadere sui datori di lavoro le conseguenze di eventuali ritardi dell’Ente Previdenziale nell’adeguamento della classificazione all’effettiva attività svolta dall’azienda.

La norma esclude espressamente  l’efficacia ex nunc  nei casi in cui l’inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro.

La ragione di una simile esclusione risiede nell’imputabilità del mancato adeguamento della posizione contributiva alla responsabilità del datore di lavoro, condizione dalla quale deriva l’estensione della deroga anche alle ipotesi  di omessa comunicazione agli Enti Previdenziali delle variazioni dell’attività aziendale.

Si tratta di una  conclusione che risulta conforme alla precedente pronuncia della Corte di legittimità (1), nella quale è stato affermato che il caso della mancata comunicazione dell’azienda che  abbia assunto caratteristiche tali da comportare una diversa classificazione ai fini previdenziali, deve  essere  equiparato alle ipotesi delle dichiarazioni inesatte, in quanto una simile condotta si traduce in  una discrasia tra l’effettività della situazione e le dichiarazioni sulle quali era stata assegnata la classificazione iniziale.

La soluzione adottata dalla Suprema Corte appare imposta dall’interpretazione della richiamata  normativa, orientata al rispetto dei principi affermati dalla Corte Costituzionale in merito alle generali caratteristiche del nostro sistema previdenziale, per il quale il legislatore, a garanzia del  rispetto dei principi  di uguaglianza e di solidarietà, deve  operare le scelte politiche di propria competenza,tenendo conto dei vincoli che l’art.81 della Costituzione  ha predisposto al fine di procurare agli Enti Previdenziali la disponibilità dei mezzi finanziari occorrenti all’erogazione delle prestazioni di competenza.

Proprio per far fronte a  queste esigenze, gli Enti Previdenziali  sono stati infatti dotati dei poteri di indagine e di certificazione, che  devono essere esercitati nel rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede, applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, così come risulta dall’art. 3, comma 8, in oggetto che, nello stabilire che  le disposte variazioni di classificazione dei datori di lavoro hanno efficacia ex nunc, vuole evitare di imporre ai datori di lavoro le conseguenze di eventuali ritardi imputabili all’Ente  sulla corrispondenza della classificazione previdenziale alla effettiva attività esercitata.

La Cassazione ha concluso ribadendo come le due condotte delle inesatte dichiarazioni del datore di lavoro sull’attività svolta e dell’omessa comunicazione dei mutamenti intervenuti nell’attività stessa,  debbano necessariamente essere equiparate, sia sotto il profilo sanzionatorio, che in merito alla efficacia retroattiva della variazione della classificazione conseguentemente disposta dall’Inps.

Valerio Pollastrini


(1)   - Cass., Sentenza  n.1338 del 17 febbraio 1999;

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