Nella
sentenza in commento la Suprema Corte ha ricordato la normativa di riferimento,
richiamando la disposizione di cui
all’art.3, comma 8, della Legge n.335/1995, in base alla quale i provvedimenti di
variazione della classificazione dei datori di lavoro, adottati d’ufficio dall’Inps
o su richiesta dell’azienda, producono
effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di
variazione o della richiesta dell’interessato, con esclusione dei casi in cui l’inquadramento
iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro.
In
merito alla richiamata disposizione di legge, la Cassazione ha fatto ricorso all’indirizzo
ormai consolidato che attribuisce una valenza generale alla citata norma, nella parte in cui dispone l’efficacia dei provvedimenti di variazione
della classificazione dei datori di lavoro dal periodo di paga in corso. Conseguentemente,
tale limite risulta applicabile ad ogni
ipotesi di rettifica di precedenti inquadramenti operata dall’Istituto Previdenziale.
L’efficacia
delle stesse variazioni dal periodo di paga in corso alla data di notifica del
provvedimento di variazione, anche per quanto riguarda le variazioni disposte a
seguito di richiesta dell’azienda, risulta funzionale all’esigenza di non far
ricadere sui datori di lavoro le conseguenze di eventuali ritardi dell’Ente
Previdenziale nell’adeguamento della classificazione all’effettiva attività
svolta dall’azienda.
La
norma esclude espressamente l’efficacia ex nunc nei casi in cui l’inquadramento iniziale sia
stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro.
La
ragione di una simile esclusione risiede nell’imputabilità del mancato adeguamento
della posizione contributiva alla responsabilità del datore di lavoro,
condizione dalla quale deriva l’estensione della deroga anche alle ipotesi di omessa comunicazione agli Enti Previdenziali
delle variazioni dell’attività aziendale.
Si
tratta di una conclusione che risulta
conforme alla precedente pronuncia della Corte di legittimità (1), nella quale è
stato affermato che il caso della mancata comunicazione dell’azienda che abbia assunto caratteristiche tali da comportare
una diversa classificazione ai fini previdenziali, deve essere equiparato
alle ipotesi delle dichiarazioni inesatte, in quanto una simile condotta si
traduce in una discrasia tra
l’effettività della situazione e le dichiarazioni sulle quali era stata assegnata
la classificazione iniziale.
La
soluzione adottata dalla Suprema Corte appare imposta dall’interpretazione
della richiamata normativa, orientata al
rispetto dei principi affermati dalla Corte Costituzionale in merito alle
generali caratteristiche del nostro sistema previdenziale, per il quale il legislatore,
a garanzia del rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà, deve operare le scelte politiche di propria competenza,tenendo
conto dei vincoli che l’art.81 della Costituzione ha predisposto al fine di procurare agli Enti
Previdenziali la disponibilità dei mezzi finanziari occorrenti all’erogazione delle
prestazioni di competenza.
Proprio
per far fronte a queste esigenze, gli
Enti Previdenziali sono stati infatti
dotati dei poteri di indagine e di certificazione, che devono essere esercitati nel rispetto dei
principi generali di correttezza e buona fede, applicabili alla stregua dei
principi di imparzialità e di buon andamento, così come risulta dall’art. 3,
comma 8, in oggetto che, nello stabilire che le disposte variazioni di classificazione dei
datori di lavoro hanno efficacia ex nunc,
vuole evitare di imporre ai datori di lavoro le conseguenze di eventuali
ritardi imputabili all’Ente sulla
corrispondenza della classificazione previdenziale alla effettiva attività
esercitata.
La
Cassazione ha concluso ribadendo come le due condotte delle inesatte
dichiarazioni del datore di lavoro sull’attività svolta e dell’omessa
comunicazione dei mutamenti intervenuti nell’attività stessa, debbano necessariamente essere equiparate, sia
sotto il profilo sanzionatorio, che in merito alla efficacia retroattiva della
variazione della classificazione conseguentemente disposta dall’Inps.
Valerio
Pollastrini
(1)
-
Cass., Sentenza n.1338 del 17 febbraio
1999;
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