In
proposito, l'art. 10-bis del D.Lgs.
n.74/2000 (1) recita
testualmente: “è punito con la reclusione
da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la
presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute
risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare
superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta”.
Nel
merito, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il principio in
base al quale, mentre molte delle condotte penalmente sanzionate dal suddetto DLgs.
n.74/200 richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo
specifico di evadere le imposte, per quanto riguarda, invece, la specifica
fattispecie dell’omesso versamento delle ritenute, questa specifica direzione
della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo della norma e,
pertanto, tale omissione è punita a titolo di dolo generico (2).
Conseguentemente,
a detta delle Cassazione, il reato di specie può dirsi consumato attraverso la
semplice coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate
nella soglia dei cinquantamila euro.
I
giudici di legittimità hanno ricordato che il debito nei confronti del Fisco,
relativo al versamento delle ritenute, è collegato con quello della erogazione
degli emolumenti ai collaboratori.
Dal
momento stesso in cui il datore di lavoro eroga le retribuzioni ai propri
dipendenti, sorge a suo carico l'obbligo di accantonare le somme dovute
all’Erario, ragione per cui l’imprenditore deve ripartire le risorse disponibili
per far fronte all'obbligazione tributaria.
Tale
assunto esclude che la crisi di liquidità possa essere invocata dall’impresa
per escludere la colpevolezza del datore di lavoro, ove non si dimostri che la
tale condizione non dipenda dalla scelta di non adempiere alla esigenza
predetta (3).
La
vicenda in commento è giunta al vaglio della Cassazione dopo che il Tribunale
di Bergamo aveva assolto l'imputato sul presupposto che lo stesso, pur non avendo
versato, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale
di sostituto d'imposta per l’anno 2006, ritenute per un ammontare superiore alla soglia di punibilità,
aveva dovuto far fronte a consistenti
pagamenti verso fornitori, oltre ad acquistare una gru, necessaria per lo svolgimento
dell'attività, e non era riuscito a
riscuotere crediti verso terzi.
Soltanto
nel 2009, dopo aver venduto i mezzi, l’azienda era riuscita a provvedere al
pagamento dovuto, maggiorato delle sanzioni, per un ammontare complessivo di 71.448,54
€.
Tale
circostanza aveva indotto il Tribunale
di Bergamo ad assolvere l’imprenditore, ritenuto impossibilitato ad effettuare
il pagamento nei termini di legge e,
dunque, non punibile per difetto dell'elemento
psicologico del reato.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha però sconfessato la pronuncia del
giudicante del merito, affermando che, per la sussistenza del reato de quo, è sufficiente il riscontro della
coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate,
risultando, invece, irrilevante il fine perseguito dall'agente ed, in
particolare, la circostanza se il comportamento illecito sia dettato dallo
scopo specifico di evadere le imposte (4).
In
casi analoghi la Cassazione ha più volte precisato (5) come la
situazione di colui che non versa l'imposta si risolve, di regola, in una
condotta cosciente e volontaria, la quale, si articola progressivamente con il
mancato accantonamento delle somme trattenute, con l'omesso versamento entro le
scadenze mensili ed, infine, con la prosecuzione della condotta omissiva fino
al termine ultimo fissato dalla norma penale.
Il
sostituto di imposta, nel corrispondere il compenso dovuto ai lavoratori, è
obbligato a trattenere una determinata
percentuale degli emolumenti per poi versarla all’Erario entro il sedici del
mese successivo. A tale proposito, è stato sottolineato (6) che le condizioni in grado di escludere
legittimamente l'assenza dell'elemento soggettivo o la sussistenza della
scriminante della forza maggiore, quale conseguenza di una improvvisa ed
imprevista situazione di illiquidità, risultano assai limitate.
Per
quanto riguarda il caso di specie, l’imprenditore aveva dedotto a propria
giustificazione il pagamento delle
retribuzioni ai dipendenti, la
salvaguardia dei livelli occupazionali, il pagamento dei debiti ai fornitori per
evitare il fallimento della società e la mancata riscossione di crediti vantati
e documentati, anche nei confronti dello Stato. Tutte condizioni che, però, la
Cassazione ha ritenuto non sufficienti
per l’assoluzione del datore di lavoro dal reato di specie.
La
Suprema Corte ha chiarito che tale decisione,
non si pone in contrasto con la più recente giurisprudenza della stessa
Cassazione (7) che, in
astratto, non esclude possibili casi nei quali l'assenza del dolo o l'assoluta impossibilità
di adempiere all'obbligazione tributaria possano essere legittimamente invocate
dall’imprenditore.
Tuttavia,
perché ciò si verifichi, è necessario il
datore di lavoro non si limiti a fornire la prova della riconducibilità dell’omissione
contributiva alla crisi economica che ha investito l'azienda, ma deve, altresì,
dimostrare che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile ricorrendo ad altre misure, come, ad esempio, attraverso il
ricorso al credito bancario.
In
sostanza, per giovarsi in concreto di tale esimente, evidentemente riconducibile
alla forza maggiore, l’imprenditore è chiamato a dimostrare di non essere
riuscito, per cause indipendenti dalla sua volontà e a
lui non imputabili, a reperire le risorse necessarie per il corretto e puntuale
adempimento delle obbligazioni tributarie (8).
Nel
cassare il ricorso, la Cassazione ha escluso che le suddette circostanze
fossero state provate dall’imprenditore, dal momento che i pagamenti verso i
fornitori e l’acquisto di una gru, espressioni della libera scelta
imprenditoriali, sulla cui condivisibilità non spetta alla Corte giudicare, non
provano l'illiquidità e la crisi, atte a consentire la mancata realizzazione della
fattispecie penale prevista per l’omissione del versamento all'Erario nei
termini sopra richiamati.
Valerio
Pollastrini
(1)
–
Introdotto dall’art. 1, comma 414, della Legge n.311 del 30 dicembre 2004, (Legge
finanziaria per l'anno 2005);
(2)
–
Cass., Sez. Unite, Sentenza n.37425 del 28 marzo 2013;
(3)
–
Cass., Sentenza n.37528 del 12 giugno 2013;
(4)
–
Cass., Sentenza n.13100 del 19 gennaio
2011; Cass., Sentenza n.25875 del 26 maggio 2010;
(5)
–
Cass., Sentenza n.5467 del 5 dicembre 2013; Cass., Sentenza n.15416 dell'8 gennaio 2014;
(6)
–
Cass., Sentenza n.15416/2014;
(7)
–
Cass., Sentenza n.10813 del 6 febbraio 2014; Cass., Sentenza n.5467 del 5
dicembre 2013;
(8)
–
Cass., Sentenza n.5467/14;
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