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domenica 18 maggio 2014

La situazione di crisi non assolve il datore di lavoro dal reato di omesso versamento delle ritenute dei dipendenti

Nella sentenza n.20266 del 15 maggio 2014 la Corte di Cassazione ha escluso che lo stato di necessità possa giustificare l’omesso versamento da parte del datore di lavoro delle ritenute dei dipendenti.

In proposito, l'art. 10-bis  del D.Lgs. n.74/2000 (1) recita testualmente: “è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta”.

Nel merito, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il principio in base al quale, mentre molte delle condotte penalmente sanzionate dal suddetto DLgs. n.74/200 richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, per quanto riguarda, invece, la specifica fattispecie dell’omesso versamento delle ritenute, questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo della norma e, pertanto, tale omissione è punita a titolo di dolo generico (2).

Conseguentemente, a detta delle Cassazione, il reato di specie può dirsi consumato attraverso la semplice coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nella soglia dei cinquantamila euro.

I giudici di legittimità hanno ricordato che il debito nei confronti del Fisco, relativo al versamento delle ritenute, è collegato con quello della erogazione degli emolumenti ai collaboratori.

Dal momento stesso in cui il datore di lavoro eroga le retribuzioni ai propri dipendenti, sorge a suo carico l'obbligo di accantonare le somme dovute all’Erario, ragione per cui l’imprenditore deve ripartire le risorse disponibili per far fronte all'obbligazione tributaria.

Tale assunto esclude che la crisi di liquidità possa essere invocata dall’impresa per escludere la colpevolezza del datore di lavoro, ove non si dimostri che la tale condizione non dipenda dalla scelta di non adempiere alla esigenza predetta (3).

La vicenda in commento è giunta al vaglio della Cassazione dopo che il Tribunale di Bergamo aveva assolto  l'imputato  sul presupposto che lo stesso, pur non avendo versato, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta per l’anno 2006, ritenute  per un ammontare superiore alla soglia di punibilità,  aveva dovuto far fronte a consistenti pagamenti verso fornitori, oltre ad acquistare  una gru, necessaria per lo svolgimento dell'attività,  e non era riuscito a riscuotere crediti verso terzi.

Soltanto nel 2009, dopo aver venduto i mezzi, l’azienda era riuscita a provvedere al pagamento dovuto, maggiorato delle sanzioni, per un ammontare complessivo di 71.448,54 €.

Tale circostanza aveva indotto  il Tribunale di Bergamo ad assolvere l’imprenditore, ritenuto impossibilitato ad effettuare il pagamento nei termini di legge  e, dunque, non punibile  per difetto dell'elemento psicologico del reato.

Investita della questione, la Suprema Corte ha però sconfessato la pronuncia del giudicante del merito, affermando che, per la sussistenza del reato de quo, è sufficiente il riscontro della coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate, risultando, invece, irrilevante il fine perseguito dall'agente ed, in particolare, la circostanza se il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte (4).

In casi analoghi la Cassazione ha più volte precisato (5) come la situazione di colui che non versa l'imposta si risolve, di regola, in una condotta cosciente e volontaria, la quale, si articola progressivamente con il mancato accantonamento delle somme trattenute, con l'omesso versamento entro le scadenze mensili ed, infine, con la prosecuzione della condotta omissiva fino al termine ultimo fissato dalla norma penale.

Il sostituto di imposta, nel corrispondere il compenso dovuto ai lavoratori, è obbligato  a trattenere una determinata percentuale degli emolumenti per poi versarla all’Erario entro il sedici del mese successivo. A tale proposito, è stato  sottolineato (6)  che le condizioni in grado di escludere legittimamente l'assenza dell'elemento soggettivo o la sussistenza della scriminante della forza maggiore, quale conseguenza di una improvvisa ed imprevista situazione di illiquidità, risultano assai limitate.

Per quanto riguarda il caso di specie, l’imprenditore aveva dedotto a propria giustificazione il  pagamento delle retribuzioni ai dipendenti,  la salvaguardia  dei livelli occupazionali,  il pagamento dei debiti ai fornitori per evitare il fallimento della società e la mancata riscossione di crediti vantati e documentati, anche nei confronti dello Stato. Tutte condizioni che, però, la Cassazione ha ritenuto non  sufficienti per l’assoluzione del datore di lavoro  dal reato di specie.

La Suprema Corte ha chiarito che tale decisione,   non si pone in contrasto con la più recente giurisprudenza della stessa Cassazione (7) che, in astratto, non esclude possibili casi  nei quali  l'assenza del dolo o l'assoluta impossibilità di adempiere all'obbligazione tributaria possano essere legittimamente invocate dall’imprenditore.

Tuttavia, perché  ciò si verifichi, è necessario il datore di lavoro non si limiti a fornire la prova della riconducibilità dell’omissione contributiva alla crisi economica che ha investito l'azienda, ma deve, altresì, dimostrare che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile  ricorrendo ad altre  misure, come, ad esempio, attraverso il ricorso al credito bancario.

In sostanza, per giovarsi in concreto di tale esimente, evidentemente riconducibile alla forza maggiore, l’imprenditore è chiamato a dimostrare di non essere riuscito,   per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili, a reperire le risorse necessarie per il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie (8).

Nel cassare il ricorso, la Cassazione ha escluso che le suddette circostanze fossero state provate dall’imprenditore, dal momento che i pagamenti verso i fornitori e l’acquisto di una gru, espressioni della libera scelta imprenditoriali, sulla cui condivisibilità non spetta alla Corte giudicare, non provano l'illiquidità e la crisi, atte a consentire la mancata realizzazione della fattispecie penale prevista per l’omissione del versamento all'Erario nei termini sopra richiamati.

Valerio Pollastrini

 
(1)   – Introdotto dall’art. 1, comma 414, della Legge n.311 del 30 dicembre 2004, (Legge finanziaria per l'anno 2005);
(2)   – Cass., Sez. Unite, Sentenza n.37425 del 28 marzo 2013;
(3)   – Cass., Sentenza n.37528 del 12 giugno 2013;
(4)   – Cass., Sentenza n.13100  del 19 gennaio 2011; Cass., Sentenza n.25875 del   26 maggio 2010;
(5)   – Cass., Sentenza n.5467 del 5 dicembre 2013; Cass., Sentenza  n.15416 dell'8 gennaio 2014; 
(6)   – Cass., Sentenza n.15416/2014;
(7)   – Cass., Sentenza n.10813 del 6 febbraio 2014; Cass., Sentenza n.5467 del 5 dicembre 2013;
(8)   – Cass., Sentenza n.5467/14;

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