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venerdì 9 maggio 2014

Individuazione del responsabile dell’infortunio nella società di capitali

Nella sentenza n.4968 del 31 gennaio 2014 la Corte di Cassazione ha affermato che, nelle imprese gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni e all’ igiene del lavoro a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione.

Nel caso di specie, il legale rappresentante di una società per azioni era stato chiamato in giudizio penale per l’omessa adozione dei necessari accorgimenti  per la sicurezza dei lavoratori impegnati nell'utilizzo delle attrezzature di sollevamento di carichi  e, in particolare, per avere omesso di assicurarsi che tali operazioni venissero correttamente progettate nonché adeguatamente controllate ed eseguite.

Secondo la tesi accusatoria, la condotta aziendale aveva causato le lesioni subite da un lavoratore che, mentre stava sollevando un fusto metallico del peso di 830 Kg. senza utilizzare gli appositi accessori, era stato colpito al volto da una trave di legno sospinta dal peso del fusto sganciatosi improvvisamente dai sostegni, riportando conseguenze fisiche che avevano scaturito una malattia guaribile dopo oltre quaranta giorni, con conseguente incapacità, per tale periodo, di attendere alle normali occupazioni.

Per tali ragioni,  il Tribunale aveva riconosciuto  l'imputato colpevole del reato ascrittogli, condannandolo alla pena di tre mesi di reclusione, sospesa ex art. 163 del codice penale,  ed al risarcimento dei danni alla parte civile da liquidarsi in separata sede.

Il giudicante aveva riconosciuto nel legale rappresentante della società il soggetto investito della qualifica di datore di lavoro, escludendo che la delega in materia di prevenzione infortuni e di igiene del lavoro, attribuita con una delibera assembleare ad altro componente del consiglio, potesse essere considerato un valido atto di conferimento ad altro soggetto degli obblighi di prevenzione e sorveglianza del datore di lavoro.

Al riguardo, il Tribunale aveva osservato  che la delega fosse priva del requisito di specificità in ordine ai compiti attribuiti, non preventivamente e dettagliatamente indicati. Il soggetto delegato era risultato privo della necessaria capacità tecnica  e nell’atto non vi era alcun riferimento al potere di spesa di quest’ultimo ed alla sua piena autonomia decisionale, nonché alla disponibilità di mezzi adeguati in relazione alla natura e complessità dell'incarico, disponibilità che invece era continuata a sussistere  in capo al rappresentante legale.

Indipendentemente dai requisiti della delega, al datore di lavoro era in ogni caso addebitabile la mancata valutazione del rischio e la negligente redazione del documento di valutazione dei rischi.

Questa decisione era stata successivamente confermata dalla Corte di Appello che, a sua volta, aveva posto in evidenza come la qualità di datore di lavoro fosse stata attestata  più volte dall’imputato legale rappresentante  in diversi atti e documenti della società.

Dall’analisi di un verbale dell’assemblea dei soci, la Corte del merito aveva rilevato che,  nella definizione del contenuto delle deleghe attribuite ai vari componenti del consiglio di amministrazione, non era stata fatta nessuna menzione ai poteri di gestione e di spesa attribuiti al delegato, a cui, invece, era stato conferito  il potere di generale direzione dello stabilimento, attraverso il quale, semmai, aveva assunto la qualità di preposto, con conseguente mantenimento, nella figura del presidente, dei poteri di gestione dell'impresa, comprensivi degli atti di straordinaria amministrazione e senza limiti di spesa.

Inoltre,  la ridotta capacità tecnica del delegato si era tradotta nella  mancata rilevazione del rischio insito nella movimentazione dei gusci dallo stesso progettata.

In ogni caso, il conferimento  del ruolo di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione  non era sufficiente ad investire il soggetto preposto della  qualità di delegato alla sicurezza.

Nello stabilimento nel quale si era verificato  l’infortunio  operavano 27 dipendenti e non 40, come dedotto dall’azienda, pertanto, anche le dimensioni dell'impresa non consentivano  di attribuire rilevanza al principio di affidamento al fine dell'esonero della responsabilità.

Sulla base delle richiamate considerazioni, la Corte di Appello aveva escluso che il dovere di vigilanza e di controllo del legale rappresentante della società fossero venuti meno  attraverso la nomina del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, al quale erano stati affidati i compiti  di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare le misure preventive e protettive e le procedure di sicurezza relative alle varie attività aziendali.

Contro la sentenza della Corte di Appello, il legale rappresentante dell’azienda aveva proposto ricorso per Cassazione, contestando l’attribuita   qualifica di datore di lavoro ed il conseguente riconoscimento, a suo carico, della posizione di garanzia in relazione all'incidente accaduto al dipendente.

In proposito, il ricorrente aveva evidenziato  che la Corte di Appello non aveva tenuto conto della organizzazione effettiva dell’azienda, limitandosi invece a considerare solo quella formale, in base alla quale lo stesso era stato individuato come datore di lavoro della struttura.

Al di là della regolarità o meno della delega, la tesi dell’imputato sarebbe a suo dire avvalorata dal fatto che il direttore della struttura, che tra l’altro ricopriva già tale mansione da diversi anni, era anche componente del consiglio di amministrazione  e che lo stesso, con una delibera dell'assemblea dei soci, era stato incaricato a sovraintendere all'attività dello stabilimento e ad accertare che i lavori fossero stati predisposti e condotti nel rispetto delle normative in materia di infortuni e di igiene sul lavoro.

Sempre secondo il ricorrente, allo stesso direttore erano stati  attribuiti  i poteri di organizzazione dello stabilimento ed i poteri illimitati di spesa all'interno dell'azienda, per l’esercizio dei quali  non doveva essere preventivamente autorizzato dall’imputato.

Nell’individuare nel legale rappresentante il datore di lavoro della società, la Corte di Appello, dunque, non avrebbe tenuto conto dell’organizzazione di fatto presente nella gestione dell’azienda, limitandosi, invece, ad attribuire rilevanza al mero dato formale della firma apposta dall’imputato sul documento di valutazione rischi.

L’imputato aveva poi posto in evidenza che, conformemente al principio di diritto costantemente affermato dalla Corte di Cassazione, la  veste sostanziale di datore di lavoro doveva essere attribuita al direttore dello stabilimento e consigliere di amministrazione.

Richiamando un precedente della giurisprudenza di legittimità (1), il legale rappresentante aveva precisato che  nelle persone giuridiche e segnatamente nelle società di capitali il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari di poteri decisionali e di spesa all'interno dell'azienda e quindi con i vertici dell'azienda stessa, quali il presidente del consiglio d'amministrazione, l'amministratore delegato o un componente del consiglio d'amministrazione al quale siano state attribuite le relative funzioni o nel preposto ad un determinato stabilimento. Nell'eventualità di una ripartizione di funzioni e di compiti nell'ambito del consiglio d'amministrazione ai sensi dell'articolo 2381 c.c., dei fatti illeciti compiuti dall'amministratore delegato o dal preposto ad un determinato stabilimento, risponde solo quest'ultimo, salvo che gli altri amministratori abbiano dolosamente omesso di vigilare o, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli per la società o dell'inidoneità del delegato, non siano intervenuti”.

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ricordando come la Suprema Corte avesse già avuto modo di statuire che, nelle imprese gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni ed igiene sul lavoro, posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione. 

Anche di fronte alla presenza di una eventuale delega di gestione conferita ad uno o più amministratori, specifica e comprensiva dei poteri di deliberazione e spesa, tale situazione può ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita agli ulteriori componenti del consiglio, ma non escluderla interamente, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio della delega.

Si tratta di un assunto pienamente confortato da quanto previsto, in merito alle Spa, nell'art.2392 c.c. vigente all'epoca dei fatti, in base al quale, nel prevedere che, nella gestione della società, gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo, stabilisce che, anche se taluni compiti sono attribuiti ad uno o più amministratori, gli altri componenti sono solidalmente responsabili in caso di mancata vigilanza sul generale andamento della gestione.

Quanto poi alla validità della delega in presenza di difetti strutturali o di processo dell’azienda, la Cassazione ha  tenuto a precisare che,  in presenza di strutture aziendali complesse, la delega di funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi ai deleganti, sole se scaturiti da occasionali disfunzioni.

Nel caso in cui tali eventi  sono determinati da difetti strutturali aziendali e del processo produttivo,  invece, permane la responsabilità dei vertici aziendali e quindi di tutti i componenti del consiglio di amministrazione.

Diversamente opinando, si violerebbe il principio del divieto di totale derogabilità della posizione di garanzia, che attribuisce pur sempre a carico del delegante gli obblighi di vigilanza ed intervento sostitutivo.

La Suprema Corte ha quindi concluso che, anche in presenza di una  delega  ad uno o più amministratori di specifiche attribuzioni in materia di igiene del lavoro, la posizione di garanzia degli altri componenti del consiglio non viene meno, pur in presenza di una struttura aziendale complessa ed organizzata, con riferimento a ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle lavorazioni che attengono direttamente alla sfera di responsabilità del datore di lavoro.

Ciò è quanto accaduto nel caso in esame, nel quale è stato riscontrato che la violazione delle disposizioni a tutela della sicurezza dei lavoratori hanno riguardato un aspetto strutturale e permanente del processo produttivo interno allo stabilimento  e, in particolare, un momento molto delicato, come quello del sollevamento dei gusci, mai sottoposto ad adeguata attenzione e del quale  non si era tenuto conto nel documento di valutazione dei rischi.

In definitiva, tale violazione  non poteva essere imputata ad un fattore contingente e occasionale o comunque non prevedibile, rivelandosi talmente grave e "strutturale", da investire compiti e decisioni di alto livello aziendale non delegabili e proprie di tutti i membri del consiglio di amministrazione ed, in ogni caso, obblighi di sorveglianza e denuncia gravanti su ciascuno dei suoi componenti.

Valerio Pollastrini


(1)   – Cass., Sentenza n.12370 del 9 marzo 2005;

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