Nel
caso di specie, il legale rappresentante di una società per azioni era stato
chiamato in giudizio penale per l’omessa adozione dei necessari accorgimenti per la sicurezza dei lavoratori impegnati
nell'utilizzo delle attrezzature di sollevamento di carichi e, in particolare, per avere omesso di
assicurarsi che tali operazioni venissero correttamente progettate nonché
adeguatamente controllate ed eseguite.
Secondo
la tesi accusatoria, la condotta aziendale aveva causato le lesioni subite da
un lavoratore che, mentre stava sollevando un fusto metallico del peso di 830
Kg. senza utilizzare gli appositi accessori, era stato colpito al volto da una
trave di legno sospinta dal peso del fusto sganciatosi improvvisamente dai sostegni,
riportando conseguenze fisiche che avevano scaturito una malattia guaribile
dopo oltre quaranta giorni, con conseguente incapacità, per tale periodo, di
attendere alle normali occupazioni.
Per
tali ragioni, il Tribunale aveva
riconosciuto l'imputato colpevole del reato
ascrittogli, condannandolo alla pena di tre mesi di reclusione, sospesa ex art.
163 del codice penale, ed al
risarcimento dei danni alla parte civile da liquidarsi in separata sede.
Il
giudicante aveva riconosciuto nel legale rappresentante della società il
soggetto investito della qualifica di datore di lavoro, escludendo che la
delega in materia di prevenzione infortuni e di igiene del lavoro, attribuita
con una delibera assembleare ad altro componente del consiglio, potesse essere
considerato un valido atto di conferimento ad altro soggetto degli obblighi di
prevenzione e sorveglianza del datore di lavoro.
Al
riguardo, il Tribunale aveva osservato
che la delega fosse priva del requisito di specificità in ordine ai
compiti attribuiti, non preventivamente e dettagliatamente indicati. Il
soggetto delegato era risultato privo della necessaria capacità tecnica e nell’atto non vi era alcun riferimento al
potere di spesa di quest’ultimo ed alla sua piena autonomia decisionale, nonché
alla disponibilità di mezzi adeguati in relazione alla natura e complessità
dell'incarico, disponibilità che invece era continuata a sussistere in capo al rappresentante legale.
Indipendentemente
dai requisiti della delega, al datore di lavoro era in ogni caso addebitabile
la mancata valutazione del rischio e la negligente redazione del documento di
valutazione dei rischi.
Questa
decisione era stata successivamente confermata dalla Corte di Appello che, a
sua volta, aveva posto in evidenza come la qualità di datore di lavoro fosse
stata attestata più volte dall’imputato
legale rappresentante in diversi atti e
documenti della società.
Dall’analisi
di un verbale dell’assemblea dei soci, la Corte del merito aveva rilevato che, nella definizione del contenuto delle deleghe
attribuite ai vari componenti del consiglio di amministrazione, non era stata
fatta nessuna menzione ai poteri di gestione e di spesa attribuiti al delegato,
a cui, invece, era stato conferito il potere
di generale direzione dello stabilimento, attraverso il quale, semmai, aveva
assunto la qualità di preposto, con conseguente mantenimento, nella figura del
presidente, dei poteri di gestione dell'impresa, comprensivi degli atti di
straordinaria amministrazione e senza limiti di spesa.
Inoltre,
la ridotta capacità tecnica del delegato
si era tradotta nella mancata
rilevazione del rischio insito nella movimentazione dei gusci dallo stesso
progettata.
In
ogni caso, il conferimento del ruolo di
Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione non era sufficiente ad investire il soggetto
preposto della qualità di delegato alla
sicurezza.
Nello
stabilimento nel quale si era verificato
l’infortunio operavano 27
dipendenti e non 40, come dedotto dall’azienda, pertanto, anche le dimensioni
dell'impresa non consentivano di
attribuire rilevanza al principio di affidamento al fine dell'esonero della
responsabilità.
Sulla
base delle richiamate considerazioni, la Corte di Appello aveva escluso che il
dovere di vigilanza e di controllo del legale rappresentante della società
fossero venuti meno attraverso la nomina
del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, al quale erano stati
affidati i compiti di effettuare la
valutazione dei rischi e di elaborare le misure preventive e protettive e le
procedure di sicurezza relative alle varie attività aziendali.
Contro
la sentenza della Corte di Appello, il legale rappresentante dell’azienda aveva
proposto ricorso per Cassazione, contestando l’attribuita qualifica di datore di lavoro ed il
conseguente riconoscimento, a suo carico, della posizione di garanzia in
relazione all'incidente accaduto al dipendente.
In
proposito, il ricorrente aveva evidenziato che la Corte di Appello non aveva tenuto conto
della organizzazione effettiva dell’azienda, limitandosi invece a considerare
solo quella formale, in base alla quale lo stesso era stato individuato come
datore di lavoro della struttura.
Al
di là della regolarità o meno della delega, la tesi dell’imputato sarebbe a suo
dire avvalorata dal fatto che il direttore della struttura, che tra l’altro
ricopriva già tale mansione da diversi anni, era anche componente del consiglio
di amministrazione e che lo stesso, con
una delibera dell'assemblea dei soci, era stato incaricato a sovraintendere
all'attività dello stabilimento e ad accertare che i lavori fossero stati
predisposti e condotti nel rispetto delle normative in materia di infortuni e
di igiene sul lavoro.
Sempre
secondo il ricorrente, allo stesso direttore erano stati attribuiti
i poteri di organizzazione dello stabilimento ed i poteri illimitati di
spesa all'interno dell'azienda, per l’esercizio dei quali non doveva essere preventivamente autorizzato
dall’imputato.
Nell’individuare
nel legale rappresentante il datore di lavoro della società, la Corte di
Appello, dunque, non avrebbe tenuto conto dell’organizzazione di fatto presente
nella gestione dell’azienda, limitandosi, invece, ad attribuire rilevanza al
mero dato formale della firma apposta dall’imputato sul documento di
valutazione rischi.
L’imputato
aveva poi posto in evidenza che, conformemente al principio di diritto costantemente
affermato dalla Corte di Cassazione, la veste
sostanziale di datore di lavoro doveva essere attribuita al direttore dello
stabilimento e consigliere di amministrazione.
Richiamando
un precedente della giurisprudenza di legittimità (1), il legale
rappresentante aveva precisato che “nelle persone giuridiche e segnatamente
nelle società di capitali il datore di lavoro si identifica con i soggetti
effettivamente titolari di poteri decisionali e di spesa all'interno
dell'azienda e quindi con i vertici dell'azienda stessa, quali il presidente
del consiglio d'amministrazione, l'amministratore delegato o un componente del
consiglio d'amministrazione al quale siano state attribuite le relative
funzioni o nel preposto ad un determinato stabilimento. Nell'eventualità di una
ripartizione di funzioni e di compiti nell'ambito del consiglio
d'amministrazione ai sensi dell'articolo 2381 c.c., dei fatti illeciti compiuti
dall'amministratore delegato o dal preposto ad un determinato stabilimento, risponde
solo quest'ultimo, salvo che gli altri amministratori abbiano dolosamente
omesso di vigilare o, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli per la
società o dell'inidoneità del delegato, non siano intervenuti”.
Investita
della questione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ricordando
come la Suprema Corte avesse già avuto modo di statuire che, nelle imprese
gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli
infortuni ed igiene sul lavoro, posti dalla legge a carico del datore di
lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di
amministrazione.
Anche
di fronte alla presenza di una eventuale delega di gestione conferita ad uno o
più amministratori, specifica e comprensiva dei poteri di deliberazione e
spesa, tale situazione può ridurre la portata della posizione di garanzia
attribuita agli ulteriori componenti del consiglio, ma non escluderla
interamente, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di
controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel
caso di mancato esercizio della delega.
Si
tratta di un assunto pienamente confortato da quanto previsto, in merito alle
Spa, nell'art.2392 c.c. vigente all'epoca dei fatti, in base al quale, nel prevedere
che, nella gestione della società, gli amministratori devono adempiere i doveri
ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo, stabilisce che, anche se
taluni compiti sono attribuiti ad uno o più amministratori, gli altri
componenti sono solidalmente responsabili in caso di mancata vigilanza sul generale
andamento della gestione.
Quanto
poi alla validità della delega in presenza di difetti strutturali o di processo
dell’azienda, la Cassazione ha tenuto a
precisare che, in presenza di strutture
aziendali complesse, la delega di funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi
ai deleganti, sole se scaturiti da occasionali disfunzioni.
Nel
caso in cui tali eventi sono determinati
da difetti strutturali aziendali e del processo produttivo, invece, permane la responsabilità dei vertici
aziendali e quindi di tutti i componenti del consiglio di amministrazione.
Diversamente
opinando, si violerebbe il principio del divieto di totale derogabilità della
posizione di garanzia, che attribuisce pur sempre a carico del delegante gli
obblighi di vigilanza ed intervento sostitutivo.
La
Suprema Corte ha quindi concluso che, anche in presenza di una delega ad uno o più amministratori di specifiche
attribuzioni in materia di igiene del lavoro, la posizione di garanzia degli
altri componenti del consiglio non viene meno, pur in presenza di una struttura
aziendale complessa ed organizzata, con riferimento a ciò che attiene alle
scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle
lavorazioni che attengono direttamente alla sfera di responsabilità del datore
di lavoro.
Ciò
è quanto accaduto nel caso in esame, nel quale è stato riscontrato che la
violazione delle disposizioni a tutela della sicurezza dei lavoratori hanno
riguardato un aspetto strutturale e permanente del processo produttivo interno
allo stabilimento e, in particolare, un
momento molto delicato, come quello del sollevamento dei gusci, mai sottoposto
ad adeguata attenzione e del quale non
si era tenuto conto nel documento di valutazione dei rischi.
In
definitiva, tale violazione non poteva
essere imputata ad un fattore contingente e occasionale o comunque non prevedibile,
rivelandosi talmente grave e "strutturale", da investire compiti e
decisioni di alto livello aziendale non delegabili e proprie di tutti i membri
del consiglio di amministrazione ed, in ogni caso, obblighi di sorveglianza e
denuncia gravanti su ciascuno dei suoi componenti.
Valerio
Pollastrini
(1)
–
Cass., Sentenza n.12370 del 9 marzo 2005;
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