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mercoledì 21 maggio 2014

Elementi di prova per la configurazione del mobbing

Secondo la definizione elaborata ormai da anni dalla giurisprudenza di legittimità, per mobbing si intende la condotta,  protratta nel tempo, attraverso la quale  il datore di lavoro ponga intenzionalmente in essere degli abusi ai danni del dipendente.

Nella sentenza n.10424 del 14 maggio 2014 la Corte di Cassazione ha ricordato che, per ottenere il risarcimento del danno da mobbing, il lavoratore ha l’onere di provare che una simile condotta sia stata esercitata nei suoi confronti da un superiore gerarchico.

Il caso di specie è giunto all’attenzione della Suprema Corte dopo che il Tribunale e  la Corte di Appello avevano rigettato la richiesta di risarcimento avanzata da   un impiegato dell'Agenzia delle Entrate.

Confermando quanto disposto nei primi due gradi di giudizio, la Cassazione ha sottolineato che nella vicenda in commento non fosse stata raggiunta la prova della condotta mobbizzante.

Gli ermellini hanno ricordato che, affinché la fattispecie vessatoria possa  ritenersi configurata, il dipendente deve dimostrare  una serie di elementi, tra i quali,   il nesso eziologico intercorrente tra la condotta del datore di lavoro  ed il danno subito alla salute e/o alla personalità, nonché l'intento persecutorio e  la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio.

 
Valerio Pollastrini

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