Il
caso giunto al vaglio della Suprema Corte è quello di un’infermiera generica
alle dipendenze della ASL n.X Basso
Molise, che aveva sostenuto di aver
svolto dal marzo 2002 fino alla data del suo pensionamento, avvenuto nel
gennaio 2006, attività riconducibili al superiore profilo di “infermiere
professionale”.
Per
tale ragione la lavoratrice si era rivolta al Tribunale di Larino chiedendo la
condanna della ASL al pagamento delle differenze retributive derivanti dalle
superiori mansioni svolte di fatto.
Riscontrata
l’assenza di un provvedimento di assegnazione alle mansioni del superiore
profilo professionale, il Tribunale aveva respinto la domanda.
La
Corte di Appello di Campobasso, accertato che la dipendente aveva
effettivamente svolto in modo ordinario e continuativo l’attività propria della
superiore qualifica di infermiere professionale, ne aveva invece accolto la
domanda, giudicando irrilevante l’assenza di un formale atto di assegnazione.
Contro
la sentenza di secondo grado, la Asl aveva proposto ricorso in Cassazione,
sostenendo che i principi enunciati dalle Sezioni Unite (1) con riguardo all’esercizio di mansioni superiori conferite
con atto illegittimo non fossero estendibili alla diversa ipotesi di
svolgimento di fatto di mansioni in assenza di un provvedimento di
conferimento.
La pronuncia
della Cassazione
La
Suprema Corte ha ritenuto destituite di fondamento le censure proposte dall’Azienda
Sanitaria, ricordando, preliminarmente,
come l’art. 56 del D.Lgs. n.29 del 3 febbraio 1993 (2) esclude che
dallo svolgimento delle mansioni superiori possa conseguire l’automatica
attribuzione della qualifica superiore. Tuttavia, la richiamata sentenza delle
Sezioni Unite deve essere interpretata nel senso che, al di fuori dei casi consentiti, l’impiegato
al quale siano state assegnate mansioni superiori ha diritto, in conformità
alla giurisprudenza della Corte Costituzionale (3), ad una retribuzione
proporzionata e sufficiente secondo quanto disposto dall’art. 36 Cost.
Secondo
la Suprema Corte, la portata applicativa
di tale principio non può essere limitata al caso in cui le mansioni superiori
siano svolte in esecuzione di un provvedimento di assegnazione nullo.
Sulla
base dei principi espressi dalla Corte Costituzionale, le Sezioni Unite (4) hanno già rilevato come l’obbligo di commisurare il
trattamento economico del dipendente alla quantità del lavoro effettivamente
prestato esuli dalla eventuale irregolarità dell’atto o dalla sua assenza.
La
condizione di illegalità nella quale il dipendente verrebbe a trovarsi nel caso
dell’esecuzione di mansioni superiori senza un atto formale di assegnazione,
non sarebbe sufficiente ad escluderlo dalla tutela in commento. Nella violazione
della mera legalità non può infatti ravvisarsi quella illiceità che si
riscontra, invece, nel contrasto “con norme fondamentali e generali e con i
principi basilari pubblicistici dell’ordinamento”, che conduce invece alla
negazione di ogni tutela del lavoratore (5).
L’applicabilità
anche al Pubblico Impiego dell’art. 36 Cost., nella parte in cui attribuisce al
lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità
del lavoro prestato, è stata più volte ribadita dalla Corte Costituzionale, che
ha escluso che tale riconoscimento possa
essere negato a causa dell’eventuale illegittimità del provvedimento di
assegnazione del dipendente a mansioni superiori rispetto a quelle della
qualifica di appartenenza (6).
In
virtù del principio di equa retribuzione sancito dall’art. 36 Cost. (7), neppure la
normativa che dispone l’accesso agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni
mediante pubblico concorso risulta incompatibile con il diritto dell’impiegato,
assegnato a mansioni superiori a percepire
il trattamento economico previsto per la corrispondente qualifica.
Parimenti,
la Cassazione ha richiamato i precedenti della Corte Costituzionale (8) nel ribadire
come il diritto ad un’equa retribuzione non può essere negato neanche al
lavoratore assegnato a mansioni superiori al di fuori delle procedure
prescritte per l’accesso agli impieghi ed alle qualifiche pubbliche. Le
violazioni in merito alle procedure di assegnazione di mansioni superiori comportano,
infatti, la responsabilità disciplinare e patrimoniale del dirigente preposto alle gestione
dell’organizzazione del lavoro.
Volendo
riassumere, il diritto alla retribuzione commisurata alle mansioni svolte di
fatto non può essere subordinato all’esistenza di un provvedimento del
superiore gerarchico che ne disponga l’assegnazione al dipendente, tranne nel
caso in cui l’espletamento di tali
mansioni sia stato perfezionato all’insaputa o contro la volontà dell’Ente, oppure
in seguito ad una fraudolenta collusione
tra lavoratore e dirigente (9).
Alla
stregua dei principi sopra esposti, la Corte di Cassazione ha escluso che nel
caso di specie ricorrano i presupposti per giustificare l’esclusione della
dipendente dal diritto alla retribuzione
proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato.
La
Cassazione ha dunque concluso rigettando
il ricorso aziendale ed ha altresì condannato la ASL n.X Basso Molise al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in 4.000,00 € per
compensi professionali, in 100,00 € per esborsi, oltre I.V.A. e C.P.A..
Valerio
Pollastrini
(1)
–
Cass., Sezioni Unite, sentenza n.25837/2007;
(2)
-
ora art.52 del D.Lgs. n.165 del 30 marzo 2001;
(3)
-
tra le altre, C.Cost., sentenza n.908
del 1988; C.Cost., sentenza n.57 del 1989; C.Cost, sentenza n.236 del 1992; C.Cost,
sentenza n.296 del 1990;
(4)
-
Cass., S.U., sentenza n.27887 del 2009;Cass., S.U., sentenza n.25837 dell’11
dicembre 2007;
(5)
–
C.Cost., sentenza n.296 del 19 giugno 1990;
(6)
–
C. Cost., sentenza n.57/1989; C.Cost., sentenza n.296/1990; C.Cost., sentenza
n.236/1992; C.Cost., sentenza n.101/1995; C.Cost., sentenza n.115/2003;
C.Cost., sentenza n.229/2003;
(7)
–
C.Cost., sentenza n.236 del 27 maggio
1992;
(8)
–
Cass. S.U., sentenza n.25837 del 2007;
(9)
-
Cass., sentenza n.27887 del 2009;
(10)
-
Cass., sentenza n.14599 del 12 luglio 2005; Cass., sentenza n.
14590/2005; Cass., sentenza n.25546 del 30 novembre 2006; Cass., sentenza n.4391
del 26 febbraio 2007; Cass., sentenza n.20518 del 28 luglio 2008; Cass.,
sentenza n.5070 del 3 marzo 2009;
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