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domenica 6 aprile 2014

Pubblico Impiego: lavoratore adibito, di fatto, a mansioni superiori - Conseguenze

Nell’ambito del Pubblico Impiego, con la sentenza n.796 del 16 gennaio 2014 la Corte di Cassazione ha ribadito che il diritto del lavoratore ad una retribuzione commisurata alle mansioni superiori effettivamente svolte non è condizionato all’esistenza di un provvedimento del dirigente che ne disponga l’assegnazione.

Il caso giunto al vaglio della Suprema Corte è quello di un’infermiera generica alle dipendenze  della ASL n.X Basso Molise,  che aveva sostenuto di aver svolto dal marzo 2002 fino alla data del suo pensionamento, avvenuto nel gennaio 2006, attività riconducibili al superiore profilo di “infermiere professionale”.

Per tale ragione la lavoratrice si era rivolta al Tribunale di Larino chiedendo la condanna della ASL al pagamento delle differenze retributive derivanti dalle superiori mansioni svolte di fatto.

Riscontrata l’assenza di un provvedimento di assegnazione alle mansioni del superiore profilo professionale, il Tribunale aveva respinto la domanda.

La Corte di Appello di Campobasso, accertato che la dipendente aveva effettivamente svolto in modo ordinario e continuativo l’attività propria della superiore qualifica di infermiere professionale, ne aveva invece accolto la domanda, giudicando irrilevante l’assenza di un formale atto di assegnazione.

Contro la sentenza di secondo grado, la Asl aveva proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che i principi enunciati dalle Sezioni Unite (1) con riguardo  all’esercizio di mansioni superiori conferite con atto illegittimo non fossero estendibili alla diversa ipotesi di svolgimento di fatto di mansioni in assenza di un provvedimento di conferimento.

La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte ha ritenuto destituite di fondamento le censure proposte dall’Azienda Sanitaria, ricordando, preliminarmente, come l’art. 56 del D.Lgs. n.29 del 3 febbraio 1993 (2) esclude che dallo svolgimento delle mansioni superiori possa conseguire l’automatica attribuzione della qualifica superiore. Tuttavia, la richiamata sentenza delle Sezioni Unite deve essere interpretata nel senso che,  al di fuori dei casi consentiti, l’impiegato al quale siano state assegnate mansioni superiori ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte Costituzionale (3), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente secondo quanto disposto dall’art. 36 Cost.

Secondo la Suprema Corte,  la portata applicativa di tale principio  non può essere limitata al caso in cui le mansioni superiori siano svolte in esecuzione di un provvedimento di assegnazione nullo.

Sulla base dei principi espressi dalla Corte Costituzionale,  le Sezioni Unite (4) hanno già  rilevato come l’obbligo di commisurare il trattamento economico del dipendente alla quantità del lavoro effettivamente prestato esuli dalla eventuale irregolarità dell’atto o dalla sua assenza.

La condizione di illegalità nella quale il dipendente verrebbe a trovarsi nel caso dell’esecuzione di mansioni superiori senza un atto formale di assegnazione, non sarebbe sufficiente ad escluderlo dalla tutela in commento. Nella violazione della mera legalità non può infatti ravvisarsi quella illiceità che si riscontra, invece, nel contrasto “con norme fondamentali e generali e con i principi basilari pubblicistici dell’ordinamento”, che conduce invece   alla negazione di ogni tutela del lavoratore (5).

L’applicabilità anche al Pubblico Impiego dell’art. 36 Cost., nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, è stata più volte ribadita dalla Corte Costituzionale, che ha escluso che  tale riconoscimento possa essere negato a causa dell’eventuale illegittimità del provvedimento di assegnazione del dipendente a mansioni superiori rispetto a quelle della qualifica di appartenenza (6).

In virtù del principio di equa retribuzione sancito dall’art. 36 Cost. (7), neppure la normativa che dispone l’accesso agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni mediante pubblico concorso risulta incompatibile con il diritto dell’impiegato, assegnato a mansioni superiori  a percepire il trattamento economico previsto per la corrispondente qualifica.

Parimenti, la Cassazione ha richiamato i precedenti della Corte Costituzionale (8) nel ribadire come il diritto ad un’equa retribuzione non può essere negato neanche al lavoratore assegnato a mansioni superiori al di fuori delle procedure prescritte per l’accesso agli impieghi ed alle qualifiche pubbliche. Le violazioni in merito alle procedure di  assegnazione di mansioni superiori comportano, infatti, la responsabilità disciplinare e patrimoniale  del dirigente preposto alle gestione dell’organizzazione del lavoro.

Volendo riassumere, il diritto alla retribuzione commisurata alle mansioni svolte di fatto non può essere subordinato all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico che ne disponga l’assegnazione al dipendente, tranne nel caso in cui l’espletamento di tali mansioni sia stato perfezionato all’insaputa o contro la volontà dell’Ente, oppure in seguito ad una  fraudolenta collusione tra lavoratore e dirigente (9).

Alla stregua dei principi sopra esposti, la Corte di Cassazione ha escluso che nel caso di specie ricorrano i presupposti per giustificare l’esclusione della dipendente dal diritto alla retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato.

La Cassazione ha dunque concluso  rigettando il ricorso aziendale ed ha altresì condannato la ASL n.X Basso Molise al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in 4.000,00 € per compensi professionali, in 100,00 € per esborsi, oltre I.V.A. e C.P.A..

Valerio Pollastrini

 

(1)   – Cass., Sezioni Unite, sentenza n.25837/2007;
(2)   - ora art.52 del D.Lgs. n.165 del 30 marzo 2001;
(3)   - tra le altre, C.Cost., sentenza  n.908 del 1988; C.Cost., sentenza n.57 del 1989; C.Cost, sentenza n.236 del 1992; C.Cost, sentenza  n.296 del 1990;
(4)   - Cass., S.U., sentenza n.27887 del 2009;Cass., S.U., sentenza n.25837 dell’11 dicembre 2007;
(5)   – C.Cost., sentenza n.296 del 19 giugno 1990;
(6)   – C. Cost., sentenza n.57/1989; C.Cost., sentenza n.296/1990; C.Cost., sentenza n.236/1992; C.Cost., sentenza n.101/1995; C.Cost., sentenza n.115/2003; C.Cost., sentenza n.229/2003;
(7)   – C.Cost., sentenza  n.236 del 27 maggio 1992;
(8)   – Cass. S.U., sentenza  n.25837 del 2007;
(9)   - Cass., sentenza  n.27887 del 2009;
(10)                      - Cass., sentenza   n.14599 del 12 luglio 2005; Cass., sentenza n. 14590/2005; Cass., sentenza n.25546 del 30 novembre 2006; Cass., sentenza n.4391 del 26 febbraio 2007; Cass., sentenza n.20518 del 28 luglio 2008; Cass., sentenza n.5070 del 3 marzo 2009;

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