In
seguito ad un’ispezione, l’Istituto Previdenziale aveva ritenuto che il
rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, intercorso tra l’impresa
ed una lavoratrice tra il 1996 ed il 2004, avesse in realtà “celato” un
contratto di lavoro subordinato.
Dopo
aver disposto la conversione del rapporto, l’Inps aveva richiesto al datore di
lavoro il pagamento delle differenze contributive.
In
seguito alla ricezione della cartella esattoriale, l’azienda aveva proposto
opposizione dinnanzi al Giudice del lavoro.
Dopo
il rigetto del Tribunale di Bergamo, la Corte di Appello di Brescia, riformando
la sentenza di primo grado, ritenendo che quello intercorso tra le parti fosse
un rapporto di lavoro autonomo, aveva accolto la domanda del ricorrente.
La
Corte territoriale aveva preliminarmente accertato che l’impresa e la lavoratrice avevano stipulato
nel 1996 un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, annuale,
prorogabile anno, avente ad oggetto le prestazioni di “assistenza amministrativa e contabile e rapporti con professionisti
esterni”.
Queste
le altre condizioni contrattuali:
-
Nessuna
prefissione di orario;
-
Compenso
annuo lordo di 1.000.000 di lire;
-
Prestazioni
da svolgere in azienda.
Il
Giudice del merito aveva escluso che le indicate mansioni potessero assumere un ruolo
significativo ai fini dell’accertamento della natura subordinata o autonoma del
rapporto, risultando, tra l’altro, che le stesse, in passato, erano state delegate
dall’azienda a professionisti esterni.
Ai
fini della corretta qualificazione, era dunque risultata decisiva l’analisi delle
modalità di esecuzione della prestazione, descritte dalla lavoratrice nel corso
di due diverse dichiarazioni. La prima, rilasciata nel corso dell’ispezione,
con la quale aveva affermato che le mansioni svolte durante il rapporto di
collaborazione fossero identiche a quelle esercitate nel corso di un successivo
rapporto di lavoro subordinato. La seconda, rettificatrice della precedente,
rilasciata durante la fase istruttoria.
Una
testimone aveva inoltre affermato in
giudizio che i periodi di ferie venivano stabiliti in modo che la stessa teste
e la lavoratrice potessero alternarsi e sostituirsi.
La
Corte di Appello aveva ritenuto che le dichiarazioni rese all’ispettore dalla
lavoratrice fossero generiche e non contrastanti con quelle fornite successivamente, avendo quest’ultime meglio
chiarito i mutamenti della prestazione prima e dopo la sua assunzione
come subordinata, circostanze, anch’esse,
confermate dalla teste.
Il
giudicante aveva perciò ritenuto che l’Inps non avesse fornito la prova della
subordinazione.
Contro
la pronuncia di Appello, l’Istituto aveva dunque adito la Cassazione,
contestando alla Corte territoriale di aver privilegiato le dichiarazioni rese
in via istruttoria dalla lavoratrice e dalla teste sull’assenza di vincoli orari, sulla circostanza che le mansioni svolte
richiedessero una grande esperienza e che le prestazioni rese dalle due non
fossero fungibili.
A
detta dell’Inps, la Corte di Appello avrebbe dovuto invece incentrare la
propria analisi sulla semplicità e ripetitività delle mansioni svolte. Il cui
contenuto, sempre secondo la tesi dell’Istituto, non era connaturato da un elevato grado
intellettuale.
La pronuncia
della Cassazione
La
Suprema Corte ha ritenuto infondate le
censure promosse dall’Inps.
In
particolare, la Cassazione ha rilevato come il Giudice di merito avesse fornito un’adeguata e corretta spiegazione delle
ragioni che l’avevano indotto ad escludere la sussistenza del rapporto di
lavoro subordinato e di come fosse giunto ad un simile convincimento in seguito
ad un completo accertamento di tutte le circostanze di fatto emerse
dall’istruttoria.
La
Suprema Corte ha ricordato come, secondo il consolidato principio più volte
ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, l’elemento che contraddistingue
il rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo è quello dell’assoggettamento
del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro.
Per
gli ermellini risulta dunque insindacabile il percorso logico seguito dalla
Corte di Appello, che aveva escluso la sussistenza della subordinazione tenendo
conto del principio sopra richiamato.
La
Suprema Corte ha poi rammentato la volontà delle parti, manifestata nella
conclusione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa,
annuale e prorogabile, avente ad oggetto l’assistenza amministrativa e
contabile e rapporti con professionisti esterni, nonché le dichiarazioni rese
dalla lavoratrice in sede di ispezione e poi davanti al Giudice, nonché quelle rilasciate della testimone.
Si
tratta di dichiarazioni che, analizzate nel loro complesso, consentono di ritenere attendibile quanto
affermato dalle stesse in sede di istruttoria e maggiormente chiarificatrici,
rispetto a quelle rilasciate all’ispettore, delle caratteristiche della prestazione svolta.
Per
tutte le richiamate considerazioni la Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Inps.
Valerio
Pollastrini
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