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domenica 13 aprile 2014

Pubblico Impiego – Diritto al compenso aggiuntivo per le festività coincidenti con la domenica

Nella sentenza n.1040 del 5 novembre 2013-20 gennaio 2014 la Corte di Cassazione ha ritenuto manifestamente fondata la questione costituzionale sollevata da alcuni lavoratori del Ministero della Giustizia, in riferimento alla norma che nega ai dipendenti pubblici un compenso aggiuntivo per le festività coincidenti con la domenica.

Il caso prende le mosse dalla pronuncia con la quale la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Viterbo, aveva accolto le opposizioni proposte dal Ministero  avverso i decreti ingiuntivi emessi a favore di alcuni dipendenti, ritenendo infondata la pretesa di ottenere il compenso  relativo alle festività coincise con la domenica.

La Corte territoriale aveva infatti rilevato che la gravata sentenza avesse accolto la domanda alla luce dell'art. 5, terzo comma, della legge n. 260/1949 (1) ma che, sul punto, fosse intervenuta la Legge n.266/2005 (2) che, all’art. 1, comma 224, di interpretazione autentica, aveva elencato il citato art.5 tra le disposizioni inapplicabili al Pubblico Impiego, una volta stipulati i CCNL per il quadriennio 98/01.

A seguito di detto intervento legislativo, stante la natura interpretativa della norma o comunque il suo contenuto innovativo ma con efficacia retroattiva, la Corte del merito aveva quindi stabilito che, una volta stipulati i contratti collettivi del quadriennio 1994/1997 o, al più tardi, dal momento della sottoscrizione dei contratti collettivi del quadriennio 1998/2001, fosse inevitabile il rigetto delle domande dei lavoratori.

Contro questa sentenza, i lavoratori avevano adito la Corte di Cassazione, lamentando la violazione dell'art.1, comma 224, della  Legge  n.266 del 23 dicembre 2005. Essi notavano come la sentenza impugnata avesse rigettato le loro domande in applicazione del comma 224 ora cit., il quale ha negato ai pubblici impiegati  il compenso per le festività civili nazionali ricadenti di domenica.

I ricorrenti avevano però osservato  che tale disposizione, per il contenuto letterale della sua seconda parte, avesse efficacia retroattiva,  "salva l'esecuzione dei giudicati", formatisi appunto fino alla data dell’entrata in vigore della stessa.

Secondo i lavoratori, sul piano costituzionale questa efficacia retroattiva non sarebbe giustificata da una finalità realmente interpretativa della disposizione, la quale attribuisce alla norma interpretata,  non già uno dei significati possibili, bensì un significato del tutto nuovo.

Il fatto che   la Corte costituzionale (3) abbia  escluso ogni illegittima disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati, costituirebbe, inoltre, una circostanza certamente influente sulla giustificazione  della detta retroattività.

I ricorrenti avevano quindi sollevato la  questione di legittimità costituzionale del comma 224 cit., poiché la prevista retroattività violerebbe il divieto di ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, ossia influirebbe sulla definizione delle controversie giudiziarie in corso, ledendo l'autonomia e l’indipendenza della magistratura,  nonché il principio di imparzialità della pubblica amministrazione.

La Suprema Corte ha ritenuto fondata la questione avente ad oggetto l'art.1, comma 224,  della Legge n.266/2005, questione consistente nello stabilire se l'efficacia che il citato comma 224 debba esplicare sui processi pendenti violi il diritto dei lavoratori, parti private, all'equo processo, tutelato dall'art.6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e, indirettamente, dall'art.117, primo comma, della Costituzione italiana.

La rilevanza, a detta della Cassazione, risulta evidente dalla necessità della diretta applicazione della disposizione richiamata nella presente controversia.

Quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte ha riepilogato l'intero contenuto della disposizione: "Tra le disposizioni riconosciute inapplicabili dall'articolo 69, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997 è ricompreso l'articolo 5, terzo comma, della legge 27 maggio 1949, n. 260 in materia di retribuzione nelle festività civili nazionali ricadenti di domenica. È fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge".

Il citato art. 69 recita a sua volta " gli accordi sindacali recepiti in decreti del Presidente della Repubblica e le norme generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla data del 13 gennaio 1994 e non abrogate, costituiscono, limitatamente agli istituti del rapporto di lavoro, la disciplina di cui all'articolo 2, comma 2. Tali disposizioni sono inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994-1997, in relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplati. Tali disposizioni cessano in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento, dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001".

Per la Cassazione, l'espressa applicazione della legge n.266 del 2005  ai processi ancora pendenti alla data della sua entrata in vigore, esclude ogni possibilità di negare l'efficacia retroattiva della norma.

La cosiddetta interpretazione adeguatrice, pertanto, trova il suo limite nell’analisi letterale della disposizione in commento.

Del resto, in passato, anche la giurisprudenza aveva  affermato l'efficacia retroattiva del comma 224 (4).

Gli ermellini hanno aggiunto l’irrilevanza sulla presente questione della sentenza con la quale la Corte Costituzionale  aveva negato il contrasto del comma 224 con il principio di eguaglianza, nella specie tra lavoratori dipendenti pubblici e privati.

Per la Cassazione, sono gli stessi precedenti della Corte Costituzionale a confermare che la questione debba essere risolta dal vaglio di costituzionalità.

A partire dalle sentenze n.348 e n.349 del 2007, è stato ritenuto costantemente che  le norme della CEDU - nel significato ad esse attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per darne interpretazione ed applicazione (5) - integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall'art.117 Cost., comma 1, nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.

La Corte costituzionale ha affermato che nel caso in cui una norma interna contrasti con una norma della CEDU, il giudice nazionale comune, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica (6), debba preventivamente verificare la praticabilità di un'interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale.

Qualora da questa verifica emergesse un esito negativo e, dunque  il contrasto non possa essere risolto in via interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la norma interna, né farne applicazione per via del  contrasto con la CEDU e pertanto con la Costituzione, deve denunciare la rilevata incompatibilità proponendo questione di legittimità costituzionale.

Sempre il Giudice delle leggi ha affermato che, sollevata la questione di legittimità costituzionale, il giudice comune - dopo aver accertato che il denunciato contrasto tra norma interna e norma della CEDU sussista e non possa essere risolto in via interpretativa - è chiamato a verificare se la norma della Convenzione - norma che si colloca pur sempre ad un livello sub-costituzionale - si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione. In questa ipotesi, deve essere esclusa l'idoneità della norma convenzionale ad integrare il parametro costituzionale considerato.

Più precisamente, secondo la Corte Costituzionale (7), la verifica del contrasto fra norma interna e norma CEDU non può portare ad una violazione di norme costituzionali interne, con la conseguenza che la norma CEDU, nel momento in cui integri il primo comma dell’art. 117 Cost. come norma interposta, debba formare oggetto di bilanciamento secondo le valutazioni di costituzionalità svolte ordinariamente dalla stessa Corte.

Ciò induce a prospettare la possibilità di un bilanciamento tra il sacrificio economico imposto al lavoratore, anche con efficacia retroattiva ossia anche con lesione della posizione processuale e necessità di equilibrio del bilancio dello Stato, da assicurare tenendo conto della fase avversa del ciclo economico.

Secondo la Cassazione, tale questione di bilanciamento, nel caso di specie,  appare tuttavia di dubbio esito,  non risultando  neppure approssimativamente la complessiva spesa necessaria a soddisfare quei crediti dei pubblici impiegati. Ulteriore ragione per richiedere il giudizio della Corte costituzionale.

Nella già citata pronuncia n.264 del 2012 la Corte Costituzionale ha rilevato che l'impostazione della giurisprudenza ECU risulta sostanzialmente coincidente con i principi enunciati dalla stessa Corte con riguardo al divieto di retroattività della legge, che, pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25 Cost..

Il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può dunque  emanare disposizioni retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale. La richiamata disposizione convenzionale, come applicata dalla Corte Europea, integra, quindi, pianamente il parametro dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione.

Alla luce dei citati principi, elaborati dalla giurisprudenza CEDU in riferimento all'interpretazione dell'art.6 della Convenzione, la Cassazione ha ritenuto sussistente il dubbio di legittimità costituzionale dell’art.1, comma 224, della Legge n.266/2005, stante l’impossibilità di adottare un'interpretazione della disposizione in esame conforme alla Convenzione.

Intervenuta nel corso del giudizio, la norma ne aveva infatti determinato la modifica dell'esito  favorevole ai ricorrenti in base alla giurisprudenza consolidata favorevole al riconoscimento in favore  dei dipendenti pubblici del diritto ad un compenso aggiuntivo in caso di coincidenza della festività con la domenica.

L'applicazione della legge in questione si è tradotta nel privare i ricorrenti di un emolumento che avrebbero potuto pretendere, risultando così decisiva sull'esito dei processi in corso.

Per tutti i richiamati motivi, la Corte di legittimità ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata  la questione di legittimità costituzionale dell’art.1, comma 224, della Legge n.266/2005.

Conseguentemente, la Cassazione ha disposto la sospensione del procedimento, ordinando l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

Valerio Pollastrini

 

(1)   - come modificato dall'art.1 della Legge n.90/1954;
(2)   - legge finanziaria 2006;
(3)   – Corte Costituzionale, Sentenza n.146/2008;
(4)   - Cass., Sentenza n.6736/2010; Cass., Sentenza n.14048/2009; Cass., Sentenza n.4667/2008;
(5)   - art.32, par.1, della Convenzione;
(6)   – Corte Costituzionale, Sentenze n.93/2010,  n.113/2011, n.311/2009  e n.239/2009;
(7)   - Corte Costituzionale, Sentenza n.264/2012;

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