Il
caso prende le mosse dalla pronuncia con la quale la Corte di Appello di Roma,
in riforma della sentenza del Tribunale di Viterbo, aveva accolto le opposizioni
proposte dal Ministero avverso i decreti
ingiuntivi emessi a favore di alcuni dipendenti, ritenendo infondata la pretesa
di ottenere il compenso relativo alle
festività coincise con la domenica.
La
Corte territoriale aveva infatti rilevato che la gravata sentenza avesse
accolto la domanda alla luce dell'art. 5, terzo comma, della legge n. 260/1949 (1) ma che, sul
punto, fosse intervenuta la Legge n.266/2005 (2) che, all’art. 1, comma 224, di
interpretazione autentica, aveva elencato il citato art.5 tra le disposizioni
inapplicabili al Pubblico Impiego, una volta stipulati i CCNL per il
quadriennio 98/01.
A
seguito di detto intervento legislativo, stante la natura interpretativa della
norma o comunque il suo contenuto innovativo ma con efficacia retroattiva, la
Corte del merito aveva quindi stabilito che, una volta stipulati i contratti
collettivi del quadriennio 1994/1997 o, al più tardi, dal momento della
sottoscrizione dei contratti collettivi del quadriennio 1998/2001, fosse inevitabile
il rigetto delle domande dei lavoratori.
Contro
questa sentenza, i lavoratori avevano adito la Corte di Cassazione, lamentando la
violazione dell'art.1, comma 224, della
Legge n.266 del 23 dicembre 2005.
Essi notavano come la sentenza impugnata avesse rigettato le loro domande in
applicazione del comma 224 ora cit., il quale ha negato ai pubblici impiegati il compenso per le festività civili nazionali
ricadenti di domenica.
I
ricorrenti avevano però osservato che
tale disposizione, per il contenuto letterale della sua seconda parte, avesse
efficacia retroattiva, "salva
l'esecuzione dei giudicati", formatisi appunto fino alla data dell’entrata
in vigore della stessa.
Secondo
i lavoratori, sul piano costituzionale questa efficacia retroattiva non sarebbe
giustificata da una finalità realmente interpretativa della disposizione, la
quale attribuisce alla norma interpretata, non già uno dei significati possibili, bensì
un significato del tutto nuovo.
Il
fatto che la Corte costituzionale (3) abbia escluso ogni illegittima disparità di
trattamento tra dipendenti pubblici e privati, costituirebbe, inoltre, una
circostanza certamente influente sulla giustificazione della detta retroattività.
I
ricorrenti avevano quindi sollevato la questione di legittimità costituzionale del
comma 224 cit., poiché la prevista retroattività violerebbe il divieto di
ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, ossia
influirebbe sulla definizione delle controversie giudiziarie in corso, ledendo
l'autonomia e l’indipendenza della magistratura, nonché il principio di imparzialità della
pubblica amministrazione.
La
Suprema Corte ha ritenuto fondata la questione avente ad oggetto l'art.1, comma
224, della Legge n.266/2005, questione
consistente nello stabilire se l'efficacia che il citato comma 224 debba
esplicare sui processi pendenti violi il diritto dei lavoratori, parti private,
all'equo processo, tutelato dall'art.6 della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo (CEDU) e, indirettamente, dall'art.117, primo comma, della
Costituzione italiana.
La
rilevanza, a detta della Cassazione, risulta evidente dalla necessità della
diretta applicazione della disposizione richiamata nella presente controversia.
Quanto
alla non manifesta infondatezza, la Corte ha riepilogato l'intero contenuto
della disposizione: "Tra le
disposizioni riconosciute inapplicabili dall'articolo 69, comma 1, secondo
periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a seguito della stipulazione
dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997 è ricompreso l'articolo 5,
terzo comma, della legge 27 maggio 1949, n. 260 in materia di retribuzione
nelle festività civili nazionali ricadenti di domenica. È fatta salva
l'esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della
presente legge".
Il
citato art. 69 recita a sua volta " gli
accordi sindacali recepiti in decreti del Presidente della Repubblica e le
norme generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla data del 13
gennaio 1994 e non abrogate, costituiscono, limitatamente agli istituti del
rapporto di lavoro, la disciplina di cui all'articolo 2, comma 2. Tali
disposizioni sono inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti
collettivi del quadriennio 1994-1997, in relazione ai soggetti e alle materie
dagli stessi contemplati. Tali disposizioni cessano in ogni caso di produrre
effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento,
dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001".
Per
la Cassazione, l'espressa applicazione della legge n.266 del 2005 ai processi ancora pendenti alla data della
sua entrata in vigore, esclude ogni possibilità di negare l'efficacia
retroattiva della norma.
La
cosiddetta interpretazione adeguatrice, pertanto, trova il suo limite nell’analisi
letterale della disposizione in commento.
Del
resto, in passato, anche la giurisprudenza aveva affermato l'efficacia retroattiva del comma
224 (4).
Gli
ermellini hanno aggiunto l’irrilevanza sulla presente questione della sentenza
con la quale la Corte Costituzionale aveva negato il contrasto del comma 224 con il
principio di eguaglianza, nella specie tra lavoratori dipendenti pubblici e
privati.
Per
la Cassazione, sono gli stessi precedenti della Corte Costituzionale a
confermare che la questione debba essere risolta dal vaglio di
costituzionalità.
A
partire dalle sentenze n.348 e n.349 del 2007, è stato ritenuto costantemente
che le norme della CEDU - nel
significato ad esse attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo,
specificamente istituita per darne interpretazione ed applicazione (5) - integrano,
quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall'art.117
Cost., comma 1, nella parte in cui impone la conformazione della legislazione
interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.
La
Corte costituzionale ha affermato che nel caso in cui una norma interna
contrasti con una norma della CEDU, il giudice nazionale comune, ricorrendo a
tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica (6), debba preventivamente
verificare la praticabilità di un'interpretazione della prima conforme alla
norma convenzionale.
Qualora
da questa verifica emergesse un esito negativo e, dunque il contrasto non possa essere risolto in via
interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la norma interna,
né farne applicazione per via del contrasto con la CEDU e pertanto con la
Costituzione, deve denunciare la rilevata incompatibilità proponendo questione
di legittimità costituzionale.
Sempre
il Giudice delle leggi ha affermato che, sollevata la questione di legittimità
costituzionale, il giudice comune - dopo aver accertato che il denunciato
contrasto tra norma interna e norma della CEDU sussista e non possa essere
risolto in via interpretativa - è chiamato a verificare se la norma della
Convenzione - norma che si colloca pur sempre ad un livello sub-costituzionale
- si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione. In
questa ipotesi, deve essere esclusa l'idoneità della norma convenzionale ad
integrare il parametro costituzionale considerato.
Più
precisamente, secondo la Corte Costituzionale (7), la verifica del
contrasto fra norma interna e norma CEDU non può portare ad una violazione di
norme costituzionali interne, con la conseguenza che la norma CEDU, nel momento
in cui integri il primo comma dell’art. 117 Cost. come norma interposta, debba
formare oggetto di bilanciamento secondo le valutazioni di costituzionalità
svolte ordinariamente dalla stessa Corte.
Ciò
induce a prospettare la possibilità di un bilanciamento tra il sacrificio
economico imposto al lavoratore, anche con efficacia retroattiva ossia anche
con lesione della posizione processuale e necessità di equilibrio del bilancio
dello Stato, da assicurare tenendo conto della fase avversa del ciclo economico.
Secondo
la Cassazione, tale questione di bilanciamento, nel caso di specie, appare tuttavia di dubbio esito, non risultando neppure approssimativamente la complessiva spesa
necessaria a soddisfare quei crediti dei pubblici impiegati. Ulteriore ragione
per richiedere il giudizio della Corte costituzionale.
Nella
già citata pronuncia n.264 del 2012 la Corte Costituzionale ha rilevato che
l'impostazione della giurisprudenza ECU risulta sostanzialmente coincidente con
i principi enunciati dalla stessa Corte con riguardo al divieto di
retroattività della legge, che, pur costituendo valore fondamentale di civiltà
giuridica, non riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art.
25 Cost..
Il
legislatore, nel rispetto di tale previsione, può dunque emanare disposizioni retroattive, anche di
interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione
nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale. La
richiamata disposizione convenzionale, come applicata dalla Corte Europea,
integra, quindi, pianamente il parametro dell'articolo 117, primo comma, della
Costituzione.
Alla
luce dei citati principi, elaborati dalla giurisprudenza CEDU in riferimento
all'interpretazione dell'art.6 della Convenzione, la Cassazione ha ritenuto sussistente
il dubbio di legittimità costituzionale dell’art.1, comma 224, della Legge n.266/2005,
stante l’impossibilità di adottare un'interpretazione della disposizione in
esame conforme alla Convenzione.
Intervenuta
nel corso del giudizio, la norma ne aveva infatti determinato la modifica dell'esito
favorevole ai ricorrenti in base alla
giurisprudenza consolidata favorevole al riconoscimento in favore dei dipendenti pubblici del diritto ad un
compenso aggiuntivo in caso di coincidenza della festività con la domenica.
L'applicazione
della legge in questione si è tradotta nel privare i ricorrenti di un emolumento
che avrebbero potuto pretendere, risultando così decisiva sull'esito dei
processi in corso.
Per
tutti i richiamati motivi, la Corte di legittimità ha dichiarato rilevante e
non manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art.1, comma 224, della Legge n.266/2005.
Conseguentemente,
la Cassazione ha disposto la sospensione del procedimento, ordinando l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Valerio
Pollastrini
(1)
-
come modificato dall'art.1 della Legge n.90/1954;
(2)
-
legge finanziaria 2006;
(3)
–
Corte Costituzionale, Sentenza n.146/2008;
(4)
-
Cass., Sentenza n.6736/2010; Cass., Sentenza n.14048/2009; Cass., Sentenza
n.4667/2008;
(5)
-
art.32, par.1, della Convenzione;
(6)
–
Corte Costituzionale, Sentenze n.93/2010,
n.113/2011, n.311/2009 e
n.239/2009;
(7)
-
Corte Costituzionale, Sentenza n.264/2012;
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