Il
caso di specie è giunto all’attenzione della giudice di legittimità dopo che la
Corte di Appello di Napoli, riformando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto
illegittimo il licenziamento disposto nei confronti di un lavoratore al quale l’azienda
aveva contestato delle assenze ingiustificate.
La
Corte del merito, pertanto, aveva ordinato all’azienda la riassunzione del
dipendente o, in alternativa, la
corresponsione in suo favore dell’indennità
risarcitoria equivalente all’importo di quattro
mensilità retributive.
Il
datore di lavoro era stato condannato anche
al pagamento della somma di circa
28.954,00 €, oltre accessori, per il lavoro
straordinario svolto dal ricorrente, per somme dovute alla Cassa edile a titolo
di ferie, tredicesima mensilità e festività, nonché per trattamento di fine
rapporto.
In
particolare, la Corte di Appello aveva motivato la declaratoria di
illegittimità dell’atto di recesso con il difetto della prova circa le assenze
oggetto di contestazione disciplinare, mentre, con riferimento alle differenze
retributive domandate, i testimoni escussi avevano confermato l’espletamento di
straordinario continuativo, il cui corrispondente valore monetario era stato
quantificato dalla disposta consulenza
tecnica di ufficio.
Contro
questa sentenza, l’azienda aveva adito la Cassazione, contestando alla
pronuncia del merito la mancata considerazione che le assenze non autorizzate erano
state oggetto di specifica contestazione disciplinare, rispetto alla quale il
dipendente non aveva fornito alcuna giustificazione.
Sempre
in base alla tesi di parte ricorrente, il datore di lavoro avrebbe soltanto
l’onere di provare l’assenza del lavoratore nella sua oggettività, spettando invece
a quest’ultimo la prova della giustificazione dell’assenza.
Nel
rigettare il ricorso, la Suprema Corte ha affermato come la sentenza impugnata avesse correttamente
ritenuto illegittimo il recesso in difetto della prova delle assenze oggetto di
contestazione.
Sul
punto, la stessa Corte di legittimità aveva già osservato (1) che, nel caso
in cui la giusta causa di recesso sia costituita dalla assenza ingiustificata
del lavoratore dal servizio, il datore di lavoro può limitarsi a provare
l'assenza nella sua oggettività, mentre grava sul dipendente l'onere di provare
gli elementi che possono giustificare l'assenza e, in particolare, la sua
dipendenza da causa a lui non imputabile.
Peraltro,
sempre la giurisprudenza aveva avuto modo di precisare (2) che solo la
pacifica verificazione dell’assenza esonera il datore di lavoro all'onere della
prova impostogli dalla legge, comportando, dall'altra parte, che il lavoratore
inadempiente possa liberarsi della responsabilità dimostrando la non imputabilità
della mancata prestazione.
Tornando
al caso di specie, la Suprema Corte ha evidenziato che dagli atti del giudizio
non erano emersi elementi idonei ad attestare le asserite assenze. Né,
parimenti, poteva dirsi sufficiente per dimostrare la condotta contestata al
lavoratore, la mera indicazione delle
assenze nell’atto del procedimento disciplinare, con la conseguente irrilevanza
della mancata adduzione di giustificazioni da parte del lavoratore nella fase
dell’addebito.
Tali
considerazioni hanno indotto la Cassazione ad affermare la correttezza della
sentenza impugnata che, in relazione alle dette acquisizione probatorie, aveva escluso
la sussistenza di una giusta causa o di
un giustificato motivo di licenziamento.
A
proposito dei crediti retributivi, l’azienda aveva poi dedotto tra i motivi di
ricorso che la sentenza di Appello
avesse accolto la richiesta del lavoratore, considerando come percepita una
retribuzione inferiore rispetto a quella indicata dalle buste paga e negando l’efficacia solutoria dei pagamenti effettuati
alla Cassa edile. Inoltre, sempre a detta del datore di lavoro, il ricorrente non avrebbe provato
l’espletamento del lavoro straordinario, oltre al fatto che il giudice del
merito avrebbe trascurato l’avvenuta percezione di somme a tal uopo indicate specificamente.
Si
tratta di contestazioni ritenute inammissibili dalla Cassazione, in quanto
prive di allegazione del passaggio letterale
contenuto nella relazione con la quale il consulente tecnico di ufficio avrebbe considerato come percepite somme
inferiori rispetto a quelle indicate nelle buste paga o nei documenti prodotti
ritualmente.
Il datore di lavoro aveva poi omesso di indicare il contenuto specifico del documento
della Cassa edile che attesterebbe la corresponsione di date somme, così come
non erano state trascritte le dichiarazioni testimoniali che l’azienda aveva
asserito non essere state correttamente valutate ai fini della determinazione
dello straordinario. Prove testimoniali, tra l’altro, non censurate motivatamente.
La
Cassazione ha ricordato che, qualora con il ricorso al giudice di legittimità
venga dedotta l'omessa od insufficiente motivazione della sentenza di merito
per l'asserita mancata valutazione di risultanze processuali – ad es. un documento,
le deposizioni testimoniali, le
dichiarazioni di parte o gli accertamenti del consulente tecnico - è già stata affermata (3) la necessità che il ricorrente precisi la risultanza che egli assume decisiva e non
valutata (o insufficientemente valutata).
Per
altro verso, la giurisprudenza ha costantemente affermato (4) che la parte che
addebiti alla consulenza tecnica d'ufficio lacune di accertamento o errori di
valutazione, oppure si dolga di erronei apprezzamenti in essa contenuti, ha
l'onere di trascrivere integralmente nel ricorso per Cassazione almeno i
passaggi salienti non condivisi e di riportare
il contenuto specifico delle
critiche sollevate.
In
sostanza, le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza del merito devono possedere
un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di
apprezzarne la decisività.
Per
tutte le richiamate ragioni, la Cassazione ha rigettato il ricorso ed ha
condannato il datore di lavoro al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate in 3.500,00 € per
compensi, 100,00 € per spese, oltre accessori di legge.
Valerio
Pollastrini
(1)
–
Cass., Sentenza n.2988 del 7 febbraio 2011;
(2)
–
Cass., Sentenza n.8720 del 9 aprile 2009;
(3)
–
Cass., Sentenza n.17308 del 30 agosto 2004; Cass., Sentenza n.8388 del 12
giugno 2002;
(4)
–
Cass., Sentenza n.13845 del 13 giugno 2007;
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