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venerdì 25 aprile 2014

Esclusione della natura pubblica della società per azioni costituita dai Comuni

Nella sentenza n.9204 del 23 aprile 2014 la Corte di Cassazione ha precisato che la costituzione di una società attraverso il capitale pubblico, di per se  non ne attesta la natura pubblica.

Il caso di specie è giunto all’attenzione della Cassazione dopo che la Corte di Appello di Firenze, confermando la sentenza di primo grado emessa  dal Tribunale,  aveva annullato il provvedimento con il quale l’Inps, ai fini previdenziali ed assistenziali, aveva attribuito ad una società il numero di matricola e la classificazione nel settore terziario (1), nella classe intermediari (2),  nella categoria locazione di beni immobili propri e sublocazione, con chiusura della relativa posizione contributiva.

La Corte del merito aveva ritenuto l’azienda  un Ente Pubblico, in quanto  costituita dai 33 Comuni della Provincia di Firenze per la gestione in forma associata delle funzioni attinenti all’edilizia residenziale pubblica. Funzioni già espletate dagli Istituti autonomi case popolari (IACP) e poi dalle Aziende territoriali per l’edilizia residenziale pubblica (Ater) e trasferite alle Regioni ed ai Comuni.

Secondo il Giudice di Appello al personale delle disciolte Aziende territoriale per l’edilizia residenziale trasferito alla società ricorrente, che aveva optato per il mantenimento dell’iscrizione all’Inpdap, dovevano essere applicati gli istituti propri della gestione previdenziale pubblica.

Conseguentemente, il giudicante aveva escluso che la società fosse soggetta al pagamento dei contributi per malattia, assegni familiari, maternità e fondo di garanzia in favore dell’Inps, per il versamento dei quali l’Istituto aveva disposto l’apertura di una specifica posizione contributiva.

Contro questa sentenza l’Inps aveva ricorso in Cassazione, contestando il disposto annullamento della   posizione contributiva aperta dall’Istituto, in accoglimento della tesi aziendale in relazione alla  sua natura di organismo di diritto pubblico, in quanto costituita con capitale interamente pubblico e per le finalità di pubblica utilità perseguite.

Secondo la società la natura pubblica ne condizionava l’assoggettamento al corrispondente regime previdenziale, al quale non si applicano  i c.d. “contributi minori”, quali quelli per malattia, maternità, trattamento di fine rapporto, CUAF. Vale a dire, le prestazioni per le quali  l’Inps, in relazione ai dipendenti ex Ater transitati alla società e che avevano optato in base all’art 5 della L n 274/1991 per il mantenimento dell’iscrizione all’Inpdap, aveva invitato la società ad aprire la specifica posizione contributiva.

In proposito, l’Istituto Previdenziale aveva rilevato come,  ai sensi dell’articolo 49 della legge n.88 del 1989,   la classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali e assistenziali riguarda tutti i datori di lavoro, sia pubblici che privati, e, nel caso di specie, l’inquadramento era stato effettuato in base alla concreta attività esercitata dalla società.

L’Inps aveva giustificato la propria pretesa sulla base delle seguenti ulteriori considerazioni:

-         Con riferimento ai contributi di malattia: la dizione generica di datori di lavoro e lavoratori non consente l’esonero contributivo per i datori di lavoro pubblici.

-         Con riferimento ai contributi per maternità:  il TU tace in merito  ai rapporti di lavoro subordinato privato e  tali erano i rapporti dei dipendenti dell’Ater transitati nella società.

-         Con riferimento ai contributi per il Fondo di garanzia del Tfr:  le espressioni utilizzate, generiche e senza distinzioni, tra datori di lavoro privati e pubblici non consentono l’esclusione dell’azienda dall’obbligo di pagamento.

-         Con riferimento ai contributi CUAF: per ottenere l’esonero sarebbe stato comunque  necessario dimostrare il pagamento diretto degli assegni familiari.

L’Inps aveva infine  contestato specificatamente le argomentazioni addotte dalla Corte territoriale ai fini  dell’asserita natura pubblica dell’azienda.

La pronuncia della Cassazione
Per dirimere la questione, la Suprema Corte ha compiuto  una lunga disamina della normativa di riferimento, affermando che, ai fini dell’accertamento dell’obbligo contributivo di cui è causa, fosse necessario analizzare la Legge Regionale n.77/1998, con la quale la Regione Toscana ha provveduto a riorganizzare la materia dell’edilizia residenziale.

Detta legge, dopo aver disciplinato le funzioni e i compiti della Regione e dei Comuni, ha stabilito lo scioglimento e la liquidazione degli Ater (3) e, con l’attribuzione del patrimonio a questi ultimi facente capo ai Comuni (4), ha previsto che “Le funzioni attinenti al recupero, alla manutenzione e alla gestione amministrativa del patrimonio destinato all’ERP (Edilizia residenziale pubblica) già in proprietà dei comuni e del patrimonio toro attribuito ai sensi dell’art. 3, comma 1, nonché quelle attinenti a nuove realizzazioni sono esercitate dai Comuni stessi in forma associata nei livelli ottimali di esercizio, individuati con la procedura di cui al presente articolo”.

La norma dispone poi che i Comuni gestiscano le altre funzioni preferibilmente in forma associata, nel rispetto del principio di economicità e dei criteri di efficienza ed efficacia.

L’articolo 6, intitolato “forme associate”, ha quindi previsto che i Comuni stabiliscano, mediante apposita conferenza, l’esercizio in forma associata delle citate funzioni, provvedendo altresì alla costituzione del soggetto affidatario.

L’art 7 della legge dispone l’assegnazione del personale Ater ai soggetti individuati per l’esercizio delle funzioni e stabilisce che i rapporti di lavoro siano disciplinati dal CCNL degli addetti al settore.

La Cassazione ha precisato che la richiamata normativa si inserisce nel processo di riforma del settore (5) comportante la trasformazione degli enti di edilizia residenziale pubblica spesso in enti economici o all’istituzione di una molteplicità di enti riformati ai quali sono state attribuite svariate denominazioni (Aziende, Agenzie ecc) tutte dirette a porre in risalto il nuovo ruolo imprenditoriale attribuito agli enti”.

La Suprema Corte, a proposito dell’assetto istituzionale, ha ricordato come, in un primo momento, le scelte dei legislatori regionali non si erano discostate troppo dalla forma tradizionale propria degli Iacp,, aventi natura di enti pubblici, dotati di organizzazione, amministrazione e contabilità autonome, ruolo strumentale dell’ente rispetto alla Regione che ne esercita il controllo.

Molte leggi regionali, per effetto della disposta trasformazione dei suddetti enti in enti pubblici economici, hanno previsto la loro possibile partecipazione a consorzi, società miste ed altre forme di raggruppamento temporaneo, a volte anche per fini non istituzionali.

Queste condizioni hanno causato  notevoli difficoltà per stabilire quanto, nei nuovi enti, fosse rimasto pubblico e quanto  privato.

Tornando al  caso in esame, la Cassazione ha rilevato che,  in applicazione della disposizione della Legge Regionale, secondo cui le funzioni attinenti al recupero, alla manutenzione e alla gestione amministrativa del patrimonio destinato all’ERP (Edilizia residenziale pubblica), già in proprietà dei Comuni, nonché quelle attinenti a nuove realizzazioni, siano esercitate dai Comuni stessi in forma associata, era stata costituita l’azienda tra i 33 Comuni della Provincia di Firenze.

La Cassazione ha però ritenuto non condivisibile l’assunto con il quale la Corte di Appello aveva sostenuto che la riconducibilità dell’azienda ad un Ente Pubblico ne determinasse la mancata applicazione della normativa previdenziale relativa ai c.d. “contributi minori” per il personale proveniente dai disciolti Ater che avessero optato per il mantenimento dell’iscrizione all’Inpdap.

La forma prescelta per lo svolgimento della gestione dell’edilizia residenziale pubblica era stata quella della società per azioni, nella quale l’Amministrazione  esercitava il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, dovendosi escludere, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario,  che la mera partecipazione da parte dell’Ente pubblico fosse idonea a determinare la natura dell’organismo attraverso cui la gestione del servizio pubblico era stata attuata.

La partecipazione pubblica alla società non costituisce infatti un tratto caratterizzante e determinante per attestarne la natura pubblica. Ciò, nella fattispecie in esame, risulta confermato dallo statuto dell’azienda che, all’art. 6, prevede la possibilità di cedere a soggetti terzi, pubblici o privati, una quota, comunque inferiore al 50% del capitale, delle azioni.

Secondo la Cassazione, dunque, non sussiste alcuna apprezzabile deviazione rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali.

A tale proposito la Suprema Corte ha richiamato quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità (6),  sulla circostanza che “dal punto di vista previdenziale e pensionistico il personale dello Iacp è stato iscritto all’Inpdap, gestione ex CPDEL, mentre a mano a mano che venivano disposte le suddette trasformazioni , i dipendenti degli enti e strutture sostitutive degli IACP sono stati iscritti all’Inps per l’assicurazione IVS, cd. previdenza maggiore”.

Fino a quando gli IACP sono rimasti pubbliche amministrazioni, le prestazioni per malattia  e per la maternità degli operai, relative alla c.d. “previdenza minore”, sono state regolate dal regime proprio di tali amministrazioni, in base al quale il corrispondente trattamento economico deve essere corrisposto direttamente dalle amministrazioni o enti di appartenenza.

Sempre con riguardo alla “previdenza minore”,  nulla è stato invece espressamente disposto in riferimento ai dipendenti degli enti e delle strutture sostitutive degli Iacp, ma, come regola generale, per l’assicurazione IVS in favore degli iscritti all’Inps, è sempre lo stesso Istituto a provvedere all’erogazione delle relative prestazioni, grazie ai contributi versati dai datori di lavoro.

Nel silenzio della legge, pertanto, la Suprema Corte ritiene debba farsi riferimento a tale regola generale, che assolve anche all’esigenza di applicare a tutti i dipendenti dei suddetti enti,  comunque denominati e configurati, la medesima disciplina  previdenziale.

Per individuare quali fossero le caratteristiche sostanziali dell’ente pubblico, la Corte di Appello aveva richiamato  la normativa comunitaria e la nozione di organismo pubblico contenuta nella disciplina degli appalti, sul presupposto che detta normativa fornisse una nozione unitaria di organismo pubblico.

Si è peraltro osservato che l’oggetto del servizio pubblico locale dell’attività, esercitata mediante società di diritto privato, e la partecipazione pubblica alla stessa, avesse rilievo ai fini diversi da quelli previdenziali, preoccupandosi il legislatore comunitario e quello nazionale di introdurre misure  antitrust, miranti ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, attraverso la riduzione o l’eliminazione dei vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese per favorire la concorrenza (7).

Pertanto,  la circostanza che  la pubblica amministrazione provveda in proprio al perseguimento di scopi pubblici, attribuendo l’appalto o il servizio  ad altra entità mediante il sistema dell’affidamento diretto, c.d. in house providing, cioè senza gara, non muta la natura giuridica privata della società con riguardo alle ricadute previdenziali dei rapporti di lavoro, ma assume rilievo nell’ordinamento nazionale e comunitario con riguardo al mercato e alla tutela della concorrenza.

Parimenti, stante il denaro pubblico utilizzato, non costituisce un indice della natura pubblica dell’ente il controllo esercitato su di esse dalla Corte dei Conti, così come irrilevanti risultano i vincoli di finanza pubblica, atteso che l’impegno di capitale pubblico impone il rispetto dei principi di imparzialità, di economicità e di buon andamento della pubblica amministrazione.

Infine, con riferimento ai cosiddetti contributi minori, la stessa Corte di legittimità in passato aveva avuto modo di confermare l’obbligo della loro corresponsione all’Inps per le società con partecipazione maggioritaria dell’ente locale (8).

Per tutte le riportate considerazioni, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, prescrivendo al giudice del rinvio  la decisione sulla sussistenza o meno delle singole obbligazioni contributive e della loro misura e decorrenza, alla luce della statuizione di cui sopra con la quale  è stata esclusa la natura pubblica dell’azienda in oggetto.

Valerio Pollastrini

 
(1)   - Commercio, servizi, professionisti ed altri;
(2)   - Immobiliari, agenzie di viaggio, logistica eccetera;
(3)   -Agenzie Regionali Territoriali per l’Edilizia;  
(4)   - Art 5,  comma 1, della Legge Regionale n.77/1998;
(5)   - Cass., Sentenza n.2756/2014;
(6)   - Cass., Sentenza n.2756/2014;
(7)   - Corte Cost., Sentenza n.430/2007; Cass., Sentenza n.28022/2013;
(8)   - Cass., Sentenze n.19087, n.20818, n.20819 e n.22318 del 2013;

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