Una
cittadina extracomunitaria si era rivolta al Tribunale di Bergamo chiedendo che
venisse accertata la condotta antidiscriminatoria posta in essere a suo danno dal
Comune di Treviglio e dall’Inps, consistente nel mancato riconoscimento del
c.d. assegno comunale di maternità.
La
ricorrente, in sostanza, aveva dedotto la lesione del diritto soggettivo alla parità
di trattamento da parte della Pubblica Amministrazione.
Tale diritto costituisce principio generale dell’ordinamento giuridico interno (1), comunitario (2) e internazionale (3) ed è oggetto di specifica previsione e tutela nei D.Lgs.
286/1998 e 215/2003.
L’art.
43 del D.lgs. 286/1998, dopo avere definito come discriminatorio «ogni
comportamento che direttamente o indirettamente, comporti una distinzione,
esclusione, restrizione o preferenza basata ... sull’origine nazionale o etnica
e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o compromettere il
riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei
diritti umani e delle libertà fondamentali», qualifica come “atto di
discriminazione” (4) il rifiuto «di fornire l’accesso ai servizi
sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in
Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero».
Ai
sensi dell’art. 1 del D.lgs. 215/2003,
la parità di trattamento tra le persone deve essere attuata indipendentemente
dalla razza e dall’origine etnica.
La
parità di trattamento si applica (5) «a tutti i soggetti, sia nel settore
pubblico che privato» ed è «suscettibile di tutela giurisdizionale».
Le
disposizioni di cui ai D.lgs. 286/1998 e 215/2003, quindi, sanciscono il diritto a non subire discriminazioni, da
qualsiasi soggetto provengano e in qualsiasi modo si manifestino.
Le
norme suddette pongono dunque uno specifico e tassativo divieto di trattamenti
discriminatori.
Nel
caso in cui la Pubblica Amministrazione contravvenga a tale divieto, è
esperibile la tutela giurisdizionale davanti al giudice ordinario, al quale, a
mente degli artt. 2 all. E l. 2248/1865, 102 e 113 Cost., è attribuita la
tutela dei diritti soggettivi (6).
Passando
al merito, il Tribunale di Bergamo ha ricordato come, ai sensi dell’art. 74 del
D.lgs. 151/2001, «per ogni figlio nato dal 1 gennaio 2001, o per ogni minore in
affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento dalla stessa data, alle
donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o in possesso di carta di
soggiorno, che non beneficiano dell’ordinaria indennità di maternità, è
concesso un assegno di maternità ...».
L’art.
19 del D.lgs. 30/2007 prevede che: «fatte salve le disposizioni specifiche
espressamente previste dal Trattato CE e dal diritto derivato, ogni cittadino
dell’Unione che risiede nel territorio nazionale gode di pari trattamento
rispetto ai cittadini italiani nel campo di applicazione del Trattato.
Il
beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di
uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di
soggiorno permanente.
Per
effetto dell’entrata in vigore del D.lgs. 30/2007, il Tribunale ha precisato
che la lista delle beneficiarie
dell’assegno di maternità comunale, già contemplata nell’art. 74 del D.lgs.
151/2001, è stata integrata con l’inclusione delle familiari di cittadini
italiani e comunitari che si trovino nelle condizioni per il riconoscimento
almeno della Carta di Soggiorno.
Nel
caso di specie, la ricorrente, nel momento in cui aveva presentato la domanda,
si trovava certamente nelle condizioni per ottenere il documento di soggiorno: era
in Italia da almeno tre mesi; era in possesso di passaporto o documento
equivalente; era moglie e madre di cittadini italiani ed era iscritta
all’anagrafe come familiare di cittadini italiani.
D’altra
parte, la cittadina straniera, all’epoca, si trovava in Italia regolarmente, a nulla rilevando la
successiva scadenza del suo permesso di soggiorno.
La
sussistenza delle condizioni reddituali risultava inoltre attestata dalla documentazione presentata al
Comune.
Il
giudicante ha quindi concluso ritenendo discriminatoria la condotta del Comune di
Treviglio e dell’INPS volta a negare il beneficio in questione alla ricorrente
e, per tale ragione, ha ordinato al
Comune di Treviglio la cessazione di tale condotta, mediante il riconoscimento
della prestazione richiesta, con condanna dell’INPS al pagamento dell’assegno dalla data di
presentazione dell’istanza.
Valerio
Pollastrini
(1)
-
artt. 2 e 3 Cost.;
(2)
-
artt. 12 e 13 Trattato CE, art. 6 Trattato UE, art. 21 Carta dei diritti
fondamentali dell’UE;
(3)
- art. 14 CEDU,
art. 1 prot. 12 CEDU, artt. 1, 2, 7 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo;
(4) - D.lgs. 286/1998, art. 43,co.2, lett. c);
(5) - D.lgs. 215/2003, art.3;
(6)
-
così, Trib. Bergamo, ord. 27-11-2009; Trib. Bergamo, ord. 17-5-2010, in proc. n.
476/2010;
Nessun commento:
Posta un commento