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venerdì 11 aprile 2014

Cittadini extracomunitari – Diritto all’assegno comunale di maternità

Con ordinanza del 30 marzo 2014, il Tribunale di Bergamo ha ritenuto discriminatoria la condotta con la quale un’amministrazione locale e  l’INPS avevano negato ad una cittadina extracomunitaria il diritto al c.d. “assegno di maternità”.

Una cittadina extracomunitaria si era rivolta al Tribunale di Bergamo chiedendo che venisse accertata la condotta antidiscriminatoria posta in essere a suo danno dal Comune di Treviglio e dall’Inps, consistente nel mancato riconoscimento del c.d. assegno comunale di maternità.

La ricorrente, in sostanza, aveva dedotto  la lesione del diritto soggettivo alla parità di trattamento da parte  della Pubblica Amministrazione. Tale diritto costituisce principio generale dell’ordinamento giuridico interno (1),  comunitario (2) e internazionale (3) ed è  oggetto di specifica previsione e tutela nei D.Lgs. 286/1998 e 215/2003.

L’art. 43 del D.lgs. 286/1998, dopo avere definito come discriminatorio «ogni comportamento che direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata ... sull’origine nazionale o etnica e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali», qualifica come “atto di discriminazione” (4)  il rifiuto «di fornire l’accesso ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero».

Ai sensi dell’art. 1 del  D.lgs. 215/2003, la parità di trattamento tra le persone deve essere attuata indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.

La parità di trattamento si applica (5) «a tutti i soggetti, sia nel settore pubblico che privato» ed è «suscettibile di tutela giurisdizionale».

Le disposizioni di cui ai D.lgs. 286/1998 e 215/2003, quindi, sanciscono  il diritto a non subire discriminazioni, da qualsiasi soggetto provengano e in qualsiasi modo si manifestino.

Le norme suddette pongono dunque uno specifico e tassativo divieto di trattamenti discriminatori.

Nel caso in cui la Pubblica Amministrazione contravvenga a tale divieto, è esperibile la tutela giurisdizionale davanti al giudice ordinario, al quale, a mente degli artt. 2 all. E l. 2248/1865, 102 e 113 Cost., è attribuita la tutela dei diritti soggettivi (6).

Passando al merito, il Tribunale di Bergamo ha ricordato come, ai sensi dell’art. 74 del D.lgs. 151/2001, «per ogni figlio nato dal 1 gennaio 2001, o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento dalla stessa data, alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o in possesso di carta di soggiorno, che non beneficiano dell’ordinaria indennità di maternità, è concesso un assegno di maternità ...».

L’art. 19 del D.lgs. 30/2007 prevede che: «fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal Trattato CE e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede nel territorio nazionale gode di pari trattamento rispetto ai cittadini italiani nel campo di applicazione del Trattato.

Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.

Per effetto dell’entrata in vigore del D.lgs. 30/2007, il Tribunale ha precisato che  la lista delle beneficiarie dell’assegno di maternità comunale, già contemplata nell’art. 74 del D.lgs. 151/2001, è stata integrata con l’inclusione delle familiari di cittadini italiani e comunitari che si trovino nelle condizioni per il riconoscimento almeno della Carta di Soggiorno.

Nel caso di specie, la ricorrente, nel momento in cui aveva presentato la domanda, si trovava certamente nelle condizioni per ottenere il documento di soggiorno: era in Italia da almeno tre mesi; era in possesso di passaporto o documento equivalente; era moglie e madre di cittadini italiani ed era iscritta all’anagrafe come familiare di cittadini italiani.

D’altra parte, la cittadina straniera, all’epoca, si trovava  in Italia regolarmente, a nulla rilevando la successiva scadenza del suo permesso di soggiorno.

 
La sussistenza delle condizioni reddituali risultava inoltre  attestata dalla documentazione presentata al Comune.

Il giudicante ha quindi concluso ritenendo  discriminatoria la condotta del Comune di Treviglio e dell’INPS volta a negare il beneficio in questione alla ricorrente e, per tale ragione,  ha ordinato al Comune di Treviglio la cessazione di tale condotta, mediante il riconoscimento della prestazione richiesta, con condanna dell’INPS  al pagamento dell’assegno dalla data di presentazione dell’istanza.

Valerio Pollastrini

 
(1)   - artt. 2 e 3 Cost.;
(2)   - artt. 12 e 13 Trattato CE, art. 6 Trattato UE, art. 21 Carta dei diritti fondamentali dell’UE;
(3)   - art. 14 CEDU, art. 1 prot. 12 CEDU, artt. 1, 2, 7 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo;
(4)   - D.lgs. 286/1998, art. 43,co.2, lett. c);
(5)   - D.lgs. 215/2003, art.3;
(6)   - così, Trib. Bergamo, ord. 27-11-2009; Trib. Bergamo, ord. 17-5-2010, in proc. n. 476/2010;

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