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lunedì 7 aprile 2014

Assoggettamento a contribuzione delle indennità corrisposte ai trasfertisti

Nella sentenza  n.5289 del 6 marzo 2014 la Corte di Cassazione ha analizzato il diverso trattamento contributivo riservato alle indennità erogate in favore dei trasferisti fissi, rispetto a quelle corrisposte invece ai lavoratori in trasferta occasionale.

Il caso al vaglio della Suprema Corte è quello che ha visto un’azienda rivolgersi al Giudice del lavoro in opposizione al verbale di accertamento con il quale l’Inps le aveva  contestato il mancato assoggettamento  a contribuzione, nella misura del 50%, delle indennità specifiche versate ai dipendenti trasferisti.

Si tratta degli emolumenti  erogati in favore dei lavoratori che effettuano la prestazione in luoghi sempre variabili ed assoggettati, ai sensi dell’art.41 comma 6 del Testo Unico delle Imposte Dirette (1), alla contribuzione previdenziale nella misura del 50% del loro ammontare, anche se corrisposti con continuità.

Sia il Tribunale di Livorno che la Corte di Appello di Firenze avevano rigettato la domanda proposta dal ricorrente.

In particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale in ordine al sopra citato articolo del Tuir, nella parte in cui, a differenza di quanto previsto per le indennità di trasferta, non esonera dalla contribuzione le indennità erogate ai c.d. “trasferisti fissi”.

La Corte del merito aveva infatti rilevato la diversa funzione dei due istituti. Mentre la trasferta costituisce uno spostamento temporaneo, occasionale e contingente del luogo di abituale svolgimento della prestazione lavorativa, i trasferisti  hanno invece l’obbligo contrattuale di spostarsi continuamente. L’indennità erogata in favore di tali lavoratori  assolve, pertanto, alla funzione di  compensare il disagio patito costantemente dalla lontananza dalla propria sede.

Contro la sentenza di Appello, l’azienda aveva proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che le somme corrisposte ai trasfertisti sarebbero ricomprese nell’indennità di trasferta ed avrebbero la stessa natura di tale indennità come confermato dall’art. 9 ter della legge n. 166 del 1991, secondo cui nell’indennità di trasferta sono ricomprese anche le indennità spettanti ai lavoratori tenuti per contratto ad un’attività lavorativa in luoghi variabili e sempre diversi da quelli della sede aziendale.

In base a tale assunto, a detta del ricorrente,  la differenzazione dei due istituti ai fini contributivi non troverebbe alcuna giustificazione.

La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte ha ritenuto infondate le censure proposte dall’azienda.

Gli ermellini hanno ricordato come la stessa Corte Costituzionale avesse già affrontato la questione (2) e, confermando la legittimità del diverso trattamento dei due istituti, aveva osservato che la trasferta in senso stretto - postulando la predeterminazione di un luogo fisso per la prestazione lavorativa ed un mutamento meramente provvisorio del luogo stesso (cosiddette missioni) - non è ravvisabile sia quando ci si trovi di fronte alla diversa situazione di un effettivo “trasferimento” del dipendente in altra sede di lavoro, sia quando - pur con fondamentale riferimento ad una sede aziendale fissa- la prestazione di lavoro, per sua natura, si svolga normalmente fuori della sede stessa.

In relazione a questo secondo caso, la Cassazione ha costantemente affermato che la retribuzione imponibile comprende integralmente quanto corrisposto ai  “trasfertisti”, in quanto correlato alla causa tipica e normale del rapporto.

La Corte di legittimità ha dunque ribadito che i compensi erogati a questi lavoratori non rientrano nell’alveo dell’indennità  di trasferta, ma in quello della retribuzione corrispondente alle  attività lavorative caratterizzate da un continuo movimento del dipendente, necessario per raggiungere  località diverse, determinabili sulla base delle opere da eseguire ovvero per la natura dell’attività (come quella di trasporto), oggetto stesso del rapporto di lavoro.

A proposito delle  indennità relative alle trasferte occasionali, la Cassazione ha invece ricordato che la disciplina normativa o collettiva che ne escluda, in tutto o in parte, l’assoggettamento a contribuzione, non necessariamente deve essere rispettata anche   dal legislatore tributario, il quale è tenuto a seguire propri criteri, fondati essenzialmente sul principio della capacità contributiva, e - con riferimento al reddito di lavoro dipendente - sul principio generale della onnicomprensività di “tutti i compensi, comunque denominati”.

Tornando al caso di specie, la Suprema Corte ha concluso affermando che la sostanziale differenza tra l’istituto dell’indennità di trasferta e quello dell’indennità dovuta ai c.d. trasferisti giustifica il diverso trattamento anche ai fini contributivi.

Per tali motivi la Cassazione ha rigettato il ricorso ed ha condannato l’azienda al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in 3.000,00 € per compensi professionali ed in 100,00 € per esborsi, oltre accessori di legge.

Valerio Pollastrini

 
(1)    D.P.R. n.317/1986;
(2)   - Corte Cost. sentenza n.239 del 1993; 

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