Il
caso al vaglio della Suprema Corte è quello che ha visto un’azienda rivolgersi
al Giudice del lavoro in opposizione al verbale di accertamento con il quale l’Inps
le aveva contestato il mancato
assoggettamento a contribuzione, nella
misura del 50%, delle indennità specifiche versate ai dipendenti trasferisti.
Si
tratta degli emolumenti erogati in
favore dei lavoratori che effettuano la prestazione in luoghi sempre variabili
ed assoggettati, ai sensi dell’art.41 comma 6 del Testo Unico delle Imposte Dirette
(1), alla contribuzione
previdenziale nella misura del 50% del loro ammontare, anche se corrisposti con
continuità.
Sia
il Tribunale di Livorno che la Corte di Appello di Firenze avevano rigettato la
domanda proposta dal ricorrente.
In
particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto manifestamente infondata la
questione di illegittimità costituzionale in ordine al sopra citato articolo
del Tuir, nella parte in cui, a differenza di quanto previsto per le indennità
di trasferta, non esonera dalla contribuzione le indennità erogate ai c.d. “trasferisti
fissi”.
La
Corte del merito aveva infatti rilevato la diversa funzione dei due istituti. Mentre
la trasferta costituisce uno spostamento temporaneo, occasionale e contingente
del luogo di abituale svolgimento della prestazione lavorativa, i trasferisti hanno invece l’obbligo contrattuale di
spostarsi continuamente. L’indennità erogata in favore di tali lavoratori assolve, pertanto, alla funzione di compensare il disagio patito costantemente
dalla lontananza dalla propria sede.
Contro
la sentenza di Appello, l’azienda aveva proposto ricorso in Cassazione, sostenendo
che le somme corrisposte ai trasfertisti sarebbero ricomprese nell’indennità di
trasferta ed avrebbero la stessa natura di tale indennità come confermato
dall’art. 9 ter della legge n. 166 del 1991, secondo cui nell’indennità di
trasferta sono ricomprese anche le indennità spettanti ai lavoratori tenuti per
contratto ad un’attività lavorativa in luoghi variabili e sempre diversi da quelli
della sede aziendale.
In
base a tale assunto, a detta del ricorrente, la differenzazione dei due istituti ai fini
contributivi non troverebbe alcuna giustificazione.
La pronuncia
della Cassazione
La
Suprema Corte ha ritenuto infondate le censure proposte dall’azienda.
Gli
ermellini hanno ricordato come la stessa Corte Costituzionale avesse già affrontato
la questione (2) e, confermando
la legittimità del diverso trattamento dei due istituti, aveva osservato che la
trasferta in senso stretto - postulando la predeterminazione di un luogo fisso
per la prestazione lavorativa ed un mutamento meramente provvisorio del luogo
stesso (cosiddette missioni) - non è ravvisabile sia quando ci si trovi di
fronte alla diversa situazione di un effettivo “trasferimento” del dipendente
in altra sede di lavoro, sia quando - pur con fondamentale riferimento ad una
sede aziendale fissa- la prestazione di lavoro, per sua natura, si svolga
normalmente fuori della sede stessa.
In
relazione a questo secondo caso, la Cassazione ha costantemente affermato che
la retribuzione imponibile comprende integralmente quanto corrisposto ai “trasfertisti”, in quanto correlato alla causa
tipica e normale del rapporto.
La
Corte di legittimità ha dunque ribadito che i compensi erogati a questi
lavoratori non rientrano nell’alveo dell’indennità di trasferta, ma in quello della retribuzione corrispondente
alle attività lavorative caratterizzate
da un continuo movimento del dipendente, necessario per raggiungere località diverse, determinabili sulla base
delle opere da eseguire ovvero per la natura dell’attività (come quella di
trasporto), oggetto stesso del rapporto di lavoro.
A
proposito delle indennità relative alle
trasferte occasionali, la Cassazione ha invece ricordato che la disciplina
normativa o collettiva che ne escluda, in tutto o in parte, l’assoggettamento a
contribuzione, non necessariamente deve essere rispettata anche dal legislatore tributario, il quale è tenuto
a seguire propri criteri, fondati essenzialmente sul principio della capacità
contributiva, e - con riferimento al reddito di lavoro dipendente - sul
principio generale della onnicomprensività di “tutti i compensi, comunque denominati”.
Tornando
al caso di specie, la Suprema Corte ha concluso affermando che la sostanziale
differenza tra l’istituto dell’indennità di trasferta e quello dell’indennità
dovuta ai c.d. trasferisti giustifica il diverso trattamento anche ai fini
contributivi.
Per
tali motivi la Cassazione ha rigettato il ricorso ed ha condannato l’azienda al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in 3.000,00 € per
compensi professionali ed in 100,00 € per esborsi, oltre accessori di legge.
Valerio
Pollastrini
(1)
–
D.P.R. n.317/1986;
(2)
-
Corte Cost. sentenza n.239 del 1993;
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