Chi siamo


MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


venerdì 7 marzo 2014

Risoluzione del contratto per mutuo consenso

Nella sentenza n.4589 del 27 febbraio 2014 la Corte di Cassazione ha escluso la sussistenza di una risoluzione consensuale per mutuo consenso in seguito alla cessazione di un illegittimo contratto di lavoro a tempo determinato.

La pronuncia in commento prende le mosse dalla sentenza con la quale la Corte di Appello di Cagliari, riformando la sentenza di primo grado, aveva accertato la nullità dei contratti a termine con i quali in Banco di Sardegna aveva formalizzato dal 1992 al 1995 il rapporto di lavoro con una dipendente.

In particolare, la nullità del termine era stata rilevata dopo che la Corte aveva accertato che la stipulazione dei contratti fosse avvenuta  dopo che la lavoratrice aveva già iniziato a lavorare.

Per tale motivo la Corte territoriale aveva disposto la  trasformazione dei rapporti, fin dal 1992, in un unico contratto a tempo indeterminato ed aveva conseguentemente riconosciuto il diritto  della lavoratrice ad essere riassunta, con la condanna del Banco al  pagamento in suo favore  delle retribuzioni a decorrere dal luglio 2007.

Il Giudice di Appello aveva escluso che tra le parti fosse intervenuta una risoluzione consensuale del rapporto in seguito all’inerzia della lavoratrice, che aveva accettato senza rilievi  il TFR e  che, successivamente, aveva svolto prestazioni lavorative in favore di altri soggetti.

Dall’istruttoria, infatti,  era emerso che, dopo la cessazione dell’ultimo rapporto avvenuta nel 1995, la lavoratrice aveva richiesto di essere riassunta sia nel 1997 che nel 2004. Le prove testimoniali avevano inoltre    attestato che la lavoratrice fosse solita recarsi presso il Banco di Sardegna chiedendo se vi fossero concorsi o possibilità di assunzione anche a tempo determinato,  manifestando con ciò il proprio interesse alla prosecuzione del rapporto.

Il datore di lavoro aveva proposto ricorso in Cassazione, censurando Corte di merito per non aver attribuito rilevanza all’inerzia della lavoratrice, accompagnata da ulteriori indici che avrebbero confermato una risoluzione per mutuo consenso del rapporto di lavoro.

Secondo il Banco di Sardegna la richiesta espressa dall’allora ex lavoratrice di concludere un nuovo contratto ed il disinteresse della stessa per i contratti stipulati 12 anni prima dimostravano la precedente risoluzione del rapporto.

La pronuncia della Cassazione
Nel rigettare il ricorso dell’azienda, la Suprema Corte ha rilevato la correttezza con la quale il Giudice di Appello si fosse uniformato ai principi più volte espressi dalla giurisprudenza di legittimità in base ai quali il lasso di tempo trascorso tra la cessazione del contratto a termine intercorso tra le parti e l’instaurazione del giudizio non costituiscono prova della volontà delle parti di risolvere consensualmente il rapporto.

La Cassazione ha ribadito che, in merito alla sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.

Si tratta, quest’ultima, di una valutazione riservata al Giudice di merito, le cui conclusioni, in mancanza vizi logici o errori di diritto, non sono censurabili in sede di legittimità (1).

Grava inoltre sul datore di lavoro che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso l’onere di provare le circostanze rivelatrici di una  chiara e certa volontà delle parti di porre fine definitivamente ad ogni rapporto di lavoro (2).

Per la Corte di legittimità le visite presso la banca durante le quali  la lavoratrice aveva chiesto informazioni  sulla possibilità di assunzione costituivano la manifestazione di un interesse all’assunzione, incompatibile con la supposta risoluzione consensuale del rapporto.

Di contro, la percezione del TFR e le prestazioni  a tempo determinato rese in favore di altri datori di lavoro non potevano  costituire elementi idonei a provare una certa cd univoca volontà della lavoratrice di risolvere il rapporto di lavoro.

Per tali ragioni la Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda ed ha condannato il Banco di Sardegna a pagare le spese del  giudizio di legittimità, liquidate in  100.00 € per esborsi e 5.000,00 € per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Valerio Pollastrini
 

(1)   - v. ad es. Cass. 11-11- 2009 n. 23872, Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11-12- 2001 n. 15621;

(2)   - v. ad es. Cass. 2-12-2002 n. 17070;

Nessun commento:

Posta un commento