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venerdì 7 marzo 2014

Dimissioni durante la maternità – Diritto all’indennità sostitutiva del preavviso

La lavoratrice che rassegni le dimissioni durante il periodo nel quale sussiste il divieto di licenziamento in seguito alla maternità ha diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, indipendentemente dalle ragioni che l’hanno indotta al recesso. E’ quanto disposto dalla Corte di Cassazione nella sentenza n.4919 del 3 marzo 2014.

Nel caso in commento, una lavoratrice che aveva rassegnato le dimissioni durante il periodo di operatività del divieto di licenziamento, conseguente al parto gemellare, si era rivolta al Tribunale di Reggio Emilia per ottenere il pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso, con regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale.

Sia il Giudice di primo grado che la Corte di Appello di Bologna avevano accolto le richieste della dipendente.

La Corte di merito, in particolare, aveva affermato  che l’interpretazione letterale della norma di riferimento subordina il diritto alle indennità previste da disposizioni di legge unicamente al fatto delle dimissioni rassegnate nel corso del periodo nel quale sussiste il divieto di licenziamento.

In merito al quadro normativo di riferimento occorre ricordare che con il D.Lgs. 151/2001 il legislatore ha  inteso rafforzare la tutela prevista nel caso di dimissioni in periodo di gravidanza della lavoratrice e nel periodo successivo al parto,  estendendo anzi il beneficio anche in favore  del lavoratore che avesse fruito del congedo di paternità ed ai casi di adozione e di affidamento.

L’art. 55 del decreto citato condiziona inoltre  la risoluzione del rapporto alla convalida delle dimissioni da parte del servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e precisa espressamente che il lavoratore o lavoratrice non sono tenuti al preavviso.

La norma si basa sulla presunzione che le dimissioni nel periodo di divieto non siano da ritenere frutto di una libera e volontaria scelta, ma coartate dalle esigenze di allevare la prole.

Tale  orientamento è stato ribadito e confermato nella vigenza della nuova normativa. Se il legislatore avesse voluto accogliere conclusioni diverse rispetto a quelle esposte nella sentenza di merito, avrebbe indubbiamente provveduto ad una diversa formulazione dell’art. 55, esplicitando i limiti e le condizioni di operatività del principio di equiparazione delle dimissioni al licenziamento.

La ratio di rafforzamento della tutela della lavoratrice madre risulta dunque incompatibile  con quanto affermato dal datore di lavoro che aveva sostenuto la necessità di sottoporre a condizioni e limiti l’eventuale diritto della stessa al preavviso, come, ad esempio, il fatto che la lavoratrice senza intervallo di tempo dalle dimissioni avesse iniziato un nuovo lavoro non  meno vantaggioso, sia sul piano patrimoniale che non patrimoniale del precedente.

Del resto, anche l’art. 104 del C.C.N.L. del  Commercio, applicabile al caso di specie, ribadisce il diritto della dipendente all’indennità sostitutiva del preavviso per il solo fatto di aver rassegnato le dimissioni durante il periodo oggetto di tutela, senza limiti o condizioni di sorta.

La società si era rivolta alla Corte di Cassazione, osservando che l’estensione della tutela in materia di dimissioni anche al padre lavoratore ed ai casi di adozione ed affidamento non rafforzerebbe la tutela, ma disporrebbe una semplice estensione della stessa, e che il D.Lgs. 151/2001 rappresenterebbe l’esito di una evoluzione legislativa con la quale sono stati estesi al padre lavoratore ed ai genitori adottivi i diritti in precedenza spettanti solo alla madre a protezione preminente degli interessi della prole.

Anche la previsione della necessità di convalida delle dimissioni da parte del servizio ispettivo del Ministero Lavoro,  secondo la ricorrente, sarebbe   uno strumento finalizzato alla verifica della volontarietà, autenticità e spontaneità del recesso della prestatrice di lavoro rispetto alla presunzione di non spontaneità del recesso stesso, sicché tale imposizione di verifica esterna non può essere considerata come rafforzamento della presunzione di non spontaneità, ma come dimostrazione del carattere relativo della presunzione stessa, con valorizzazione dei motivi delle dimissioni, che potrebbero essere dovute anche alla maggiore convenienza di passare ad altro impiego.

La relatività della presunzione di non spontaneità delle dimissioni,  sempre secondo la tesi aziendale,  comporterebbe la possibilità di provare la spontaneità e l’autenticità delle stesse,  escludendo, pertanto, il diritto  all’indennità di preavviso qualora il datore riuscisse a provare che la lavoratrice, dopo le dimissioni, abbia immediatamente iniziato  un nuovo lavoro  non meno vantaggioso del precedente sul piano patrimoniale o non patrimoniale.

La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, ricordando che la norma di cui all’art. 55 del D.Lgs. n. 151 del 26 marzo 2001 non possiede un contenuto innovativo rispetto alla precedente previsione di cui all’art. 12 della Legge  n. 1204 del 30 dicembre 1971, essendosi limitata soltanto ad estendere al padre lavoratore ed ai casi di affidamento e di adozione le medesime tutele, deponendo, invece, nel senso dell’introduzione di deroghe al principio dell’assolutezza della presunzione di non spontaneità delle dimissioni presentate durante il  periodo di divieto di licenziamento sia il comma 4 dell’art. 55 che il successivo comma 5°.

La Cassazione ha poi sottolineato che la disposizione di cui al comma 1 dell’art. 55 del D.Lgs. citato è perentoria nello stabilire che, in caso di dimissioni volontarie durante il periodo per cui è previsto il divieto di licenziamento, competono le indennità previste in caso di licenziamento e l’obbligo di corresponsione di tali indennità viene esteso dai successivi due commi ai casi del lavoratore padre che abbia fruito del congedo di paternità e nei casi di adozione e di affidamento nei limiti, in tale ultimo caso, di un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.

Ciò che risulta, invece, di carattere innovativo è la previsione dell’obbligo di convalida della dimissioni presentate nei periodi indicati dal comma 4° da parte del servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio, previsione seguita dalla specificazione che “a detta convalida è condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro”.

Quest’ultima precisazione consente di ritenere che il primo comma stabilisce la inderogabilità dell’obbligo di corrispondere le indennità ivi previste, in ogni caso, laddove il quarto comma prevede, ove intervenga la convalida delle dimissioni presentate da parte della lavoratrice o da parte dei soggetti destinatari della estensione di tutela, che possano ritenersi efficaci a fini risolutori del rapporto le dimissioni così presentate.

Né rileva ai fini di quanto sostenuto dalla società, che il quinto comma dell’art. 55 D.Lgs. 151/2001 cit. prevede la mancanza di obbligo di preavviso da parte della lavoratrice o del lavoratore in caso di dimissioni. Tale esonero è, invero, un ulteriore elemento a conforto del carattere assoluto della presunzione di non spontaneità delle dimissioni rassegnate nel periodo di divieto, poiché denota l’intenzione del legislatore di tutelare in modo ancora più netto il lavoratore che si trovi in un periodo di particolare disagio rispetto alla prosecuzione della precedente occupazione lavorativa.

Deve, dunque, anche con riferimento all’interpretazione del primo comma dell’art. 55 della nuova normativa, darsi continuità all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale non può attribuirsi rilevanza al motivo delle dimissioni presentate in periodo di divieto di licenziamento, anche nell’ipotesi in cui le stesse risultino preordinate all’assunzione della lavoratrice (ed ora anche dei soggetti alla stessa equiparati) alle dipendenze di altro datore di lavoro (1).

Per le motivazioni sopra esposte la Corte di Cassazione ha confermato  il diritto della lavoratrice all’indennità di preavviso ed ha condannato l’azienda al pagamento delle spese del processo di legittimità, liquidate 100,00 € per esborsi ed in 3.000,00 € per compensi professionali, oltre accessori come per legge.

Valerio Pollastrini


(1)   - cfr. Cass., 22 ottobre 1991, n. 11164; Cass., 24 agosto 1995, n. 8970;

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