Nel caso in
commento, una lavoratrice che aveva rassegnato le dimissioni durante il periodo
di operatività del divieto di licenziamento, conseguente al parto gemellare, si
era rivolta al Tribunale di Reggio Emilia per ottenere il pagamento dell’indennità
sostitutiva del preavviso, con regolarizzazione della posizione contributiva e
previdenziale.
Sia il
Giudice di primo grado che la Corte di Appello di Bologna avevano accolto le
richieste della dipendente.
La Corte di
merito, in particolare, aveva affermato
che l’interpretazione letterale della norma di riferimento subordina il
diritto alle indennità previste da disposizioni di legge unicamente al fatto
delle dimissioni rassegnate nel corso del periodo nel quale sussiste il divieto
di licenziamento.
In merito al
quadro normativo di riferimento occorre ricordare che con il D.Lgs. 151/2001 il
legislatore ha inteso rafforzare la
tutela prevista nel caso di dimissioni in periodo di gravidanza della
lavoratrice e nel periodo successivo al parto,
estendendo anzi il beneficio anche in favore del lavoratore che avesse fruito del congedo
di paternità ed ai casi di adozione e di affidamento.
L’art. 55 del
decreto citato condiziona inoltre la
risoluzione del rapporto alla convalida delle dimissioni da parte del servizio
ispettivo del Ministero del Lavoro e precisa espressamente che il lavoratore o lavoratrice
non sono tenuti al preavviso.
La norma si
basa sulla presunzione che le dimissioni nel periodo di divieto non siano da
ritenere frutto di una libera e volontaria scelta, ma coartate dalle esigenze
di allevare la prole.
Tale orientamento è stato ribadito e confermato
nella vigenza della nuova normativa. Se il legislatore avesse voluto accogliere
conclusioni diverse rispetto a quelle esposte nella sentenza di merito, avrebbe
indubbiamente provveduto ad una diversa formulazione dell’art. 55, esplicitando
i limiti e le condizioni di operatività del principio di equiparazione delle
dimissioni al licenziamento.
La ratio di
rafforzamento della tutela della lavoratrice madre risulta dunque incompatibile
con quanto affermato dal datore di
lavoro che aveva sostenuto la necessità di sottoporre a condizioni e limiti l’eventuale
diritto della stessa al preavviso, come, ad esempio, il fatto che la
lavoratrice senza intervallo di tempo dalle dimissioni avesse iniziato un nuovo
lavoro non meno vantaggioso, sia sul
piano patrimoniale che non patrimoniale del precedente.
Del resto,
anche l’art. 104 del C.C.N.L. del Commercio,
applicabile al caso di specie, ribadisce il diritto della dipendente all’indennità
sostitutiva del preavviso per il solo fatto di aver rassegnato le dimissioni
durante il periodo oggetto di tutela, senza limiti o condizioni di sorta.
La società
si era rivolta alla Corte di Cassazione, osservando che l’estensione della
tutela in materia di dimissioni anche al padre lavoratore ed ai casi di adozione
ed affidamento non rafforzerebbe la tutela, ma disporrebbe una semplice estensione
della stessa, e che il D.Lgs. 151/2001 rappresenterebbe l’esito di una evoluzione
legislativa con la quale sono stati estesi al padre lavoratore ed ai genitori
adottivi i diritti in precedenza spettanti solo alla madre a protezione preminente
degli interessi della prole.
Anche la
previsione della necessità di convalida delle dimissioni da parte del servizio
ispettivo del Ministero Lavoro, secondo
la ricorrente, sarebbe uno strumento finalizzato alla verifica della
volontarietà, autenticità e spontaneità del recesso della prestatrice di lavoro
rispetto alla presunzione di non spontaneità del recesso stesso, sicché tale
imposizione di verifica esterna non può essere considerata come rafforzamento
della presunzione di non spontaneità, ma come dimostrazione del carattere
relativo della presunzione stessa, con valorizzazione dei motivi delle
dimissioni, che potrebbero essere dovute anche alla maggiore convenienza di
passare ad altro impiego.
La
relatività della presunzione di non spontaneità delle dimissioni, sempre secondo la tesi aziendale, comporterebbe la possibilità di provare la
spontaneità e l’autenticità delle stesse, escludendo, pertanto, il diritto all’indennità di preavviso qualora il datore
riuscisse a provare che la lavoratrice, dopo le dimissioni, abbia immediatamente
iniziato un nuovo lavoro non meno vantaggioso del precedente sul piano
patrimoniale o non patrimoniale.
La pronuncia della Cassazione
La Suprema
Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, ricordando che la norma di cui
all’art. 55 del D.Lgs. n. 151 del 26 marzo 2001 non possiede un contenuto
innovativo rispetto alla precedente previsione di cui all’art. 12 della Legge n. 1204 del 30 dicembre 1971, essendosi
limitata soltanto ad estendere al padre lavoratore ed ai casi di affidamento e
di adozione le medesime tutele, deponendo, invece, nel senso dell’introduzione
di deroghe al principio dell’assolutezza della presunzione di non spontaneità
delle dimissioni presentate durante il periodo di divieto di licenziamento sia il
comma 4 dell’art. 55 che il successivo comma 5°.
La
Cassazione ha poi sottolineato che la disposizione di cui al comma 1 dell’art.
55 del D.Lgs. citato è perentoria nello stabilire che, in caso di dimissioni
volontarie durante il periodo per cui è previsto il divieto di licenziamento,
competono le indennità previste in caso di licenziamento e l’obbligo di
corresponsione di tali indennità viene esteso dai successivi due commi ai casi
del lavoratore padre che abbia fruito del congedo di paternità e nei casi di
adozione e di affidamento nei limiti, in tale ultimo caso, di un anno
dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.
Ciò che
risulta, invece, di carattere innovativo è la previsione dell’obbligo di
convalida della dimissioni presentate nei periodi indicati dal comma 4° da
parte del servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per
territorio, previsione seguita dalla specificazione che “a detta convalida è
condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro”.
Quest’ultima
precisazione consente di ritenere che il primo comma stabilisce la
inderogabilità dell’obbligo di corrispondere le indennità ivi previste, in ogni
caso, laddove il quarto comma prevede, ove intervenga la convalida delle
dimissioni presentate da parte della lavoratrice o da parte dei soggetti destinatari
della estensione di tutela, che possano ritenersi efficaci a fini risolutori
del rapporto le dimissioni così presentate.
Né rileva ai
fini di quanto sostenuto dalla società, che il quinto comma dell’art. 55 D.Lgs.
151/2001 cit. prevede la mancanza di obbligo di preavviso da parte della
lavoratrice o del lavoratore in caso di dimissioni. Tale esonero è, invero, un
ulteriore elemento a conforto del carattere assoluto della presunzione di non
spontaneità delle dimissioni rassegnate nel periodo di divieto, poiché denota
l’intenzione del legislatore di tutelare in modo ancora più netto il lavoratore
che si trovi in un periodo di particolare disagio rispetto alla prosecuzione
della precedente occupazione lavorativa.
Deve,
dunque, anche con riferimento all’interpretazione del primo comma dell’art. 55
della nuova normativa, darsi continuità all’orientamento giurisprudenziale
secondo il quale non può attribuirsi rilevanza al motivo delle dimissioni
presentate in periodo di divieto di licenziamento, anche nell’ipotesi in cui le
stesse risultino preordinate all’assunzione della lavoratrice (ed ora anche dei
soggetti alla stessa equiparati) alle dipendenze di altro datore di lavoro (1).
Per le
motivazioni sopra esposte la Corte di Cassazione ha confermato il diritto della lavoratrice all’indennità di preavviso
ed ha condannato l’azienda al pagamento delle spese del processo di
legittimità, liquidate 100,00 € per esborsi ed in 3.000,00 € per compensi
professionali, oltre accessori come per legge.
Valerio
Pollastrini
(1) - cfr. Cass., 22 ottobre 1991, n.
11164; Cass., 24 agosto 1995, n. 8970;
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