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sabato 29 marzo 2014

Pubblico Impiego: conseguenze sul rapporto di lavoro della condanna penale del dipendente

Nella sentenza n.1923 del 29 gennaio 2014 la Corte di Cassazione ha chiarito che, nell’ambito di un rapporto di Pubblico Impiego,  l’Amministrazione possa iniziare il procedimento disciplinare a carico di un dipendente, per poi sospenderlo in attesa della sentenza che chiude il processo penale nel quale lo stesso risulti imputato.

In alternativa, in seguito al provvedimento di custodia cautelare, l’Ente può  sospendere in via cautelativa il lavoratore fino all’esito del giudizio penale ed avviare il procedimento disciplinare  solo dopo l’esito della sentenza.

Si tratta, quest’ultima, di un’opzione che garantisce al dipendente una maggiore garanzia e che, pertanto,  non può penalizzare il prudente comportamento tenuto dell’azienda, specie in virtù dell’interesse generale che la Pubblica Amministrazione è chiamata a tutelare.

Il caso posto all’attenzione della Suprema Corte è quello di un  operatore tecnico di cucina e dispensa alle dipendenze dell’Azienda Ospedaliera Universitaria OORR San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona, arrestato   con l’accusa di usura ed estorsione.

In conseguenza del provvedimento cautelare, l’azienda aveva sospeso il lavoratore dal servizio, decidendo di attendere la conclusione del processo penale prima di iniziare l’azione disciplinare.

Dopo la condanna in primo grado a 4 anni e 20 giorni di reclusione più una multa, il lavoratore aveva patteggiato in Appello la pena di 3 anni e 10 giorni di reclusione, oltre 1.600,00 € di ammenda.

In seguito ad indulto, la Corte di Appello di Salerno aveva revocato l’ordine di esecuzione della pena residua di 11 mesi ed 1 giorno  di reclusione.

Allegando copia di tale ultimo provvedimento, il lavoratore aveva presentato all’Azienda Ospedaliera la richiesta di riassunzione in servizio.

In quel momento, l’azienda aveva però dato inizio al procedimento disciplinare attraverso la convocazione del dipendente. Dopo  l’audizione, la procedura di contestazione era stata sospesa in attesa che il lavoratore inoltrasse all’Amministrazione una  copia della sentenza di Appello. Richiesta alla quale il ricorrente aveva ritenuto di non adempiere.

L’azienda aveva quindi disposto il licenziamento del dipendente, previa un preavviso di quattro mesi.

Il lavoratore aveva impugnato il recesso dinnanzi al Tribunale di Salerno, prima in via d’urgenza, poi con ricorso ordinario, ma  entrambi i ricorsi erano stati rigettati.

Successivamente, anche la Corte di Appello di Salerno aveva confermato la legittimità del recesso ed il dipendente aveva quindi adito la Corte di Cassazione, contestando al Giudice di merito di aver raggiunto la propria decisione ignorando la decisiva circostanza circa l’avvenuta conoscenza dei fatti da parte dell’azienda sin dal momento del suo arresto. Sul punto il lavoratore lamentava la mancata ammissione dei mezzi istruttori finalizzati a provare tale conoscenza, nonché la mancata valutazione dei documenti allegati costituiti dagli articoli comparsi su tre quotidiani locali.

Quale fondamento della  tesi sostenuta, il ricorrente aveva richiamato la giurisprudenza di legittimità, in base alla quale il termine per avviare il procedimento disciplinare a carico di dipendenti pubblici decorre dalla sentenza solamente se attraverso di essa l’Amministrazione venga a conoscenza dei fatti. Rimanendo preclusa questa possibilità nel caso di una conoscenza risalente ad un periodo precedente.

La pronuncia della Cassazione
Nel respingere il ricorso, la Suprema Corte ha preliminarmente ricordato come l’accertamento del preciso momento nel quale  l’azienda fosse venuta a  conoscenza del reato rientra tra le competenze  riservate al Giudice di merito, la cui decisione, se adeguatamente motivata, non può essere oggetto di riesame da parte della Cassazione.

La Corte di Appello aveva correttamente distinto tra conoscenza del fatto della sottoposizione del dipendente a custodia cautelare, in seguito alla quale era stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, dalla conoscenza della condanna definitiva dello stesso, che ne aveva giustificato il licenziamento.

In particolare, le norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche (1), prevedono che  il lavoratore può essere licenziato a seguito di una sentenza penale irrevocabile di condanna.

La richiamata disposizione di legge chiarisce che l’azienda, dopo aver dato inizio al procedimento disciplinare, possa  poi sospenderlo in attesa della sentenza penale.

In alternativa, la Pubblica Amministrazione può tuttavia procedere alla sospensione cautelare del lavoratore  in relazione al provvedimento di custodia cautelare a suo carico ed attendere l’esito del giudizio penale  prima di  iniziare il procedimento disciplinare.

A proposito della seconda opzione, la Cassazione ha affermato che tale scelta, fornendo al dipendente maggiori garanzie, non può penalizzare il comportamento prudente dell’azienda, soprattutto in virtù  dell’interesse generale che la Pubblica Amministrazione è obbligata a tutelare.

L’attesa di una sentenza irrevocabile prima di iniziare il procedimento disciplinare consente all’azienda una conoscenza del fatto in tutte le sue componenti, materiali e giuridiche, indispensabili ai fini di un’esaustiva valutazione dell’accaduto, in quanto la sussistenza del reato viene compiutamente accertata con la sentenza che conclude il processo e non con il provvedimento di custodia cautelare.

Tornando al caso di specie, la Suprema Corte ha inoltre rilevato che il ricorrente non aveva fornito la prova della conoscenza dei fatti da parte dell’azienda sin dal momento della custodia cautelare, risultando a tal fine insufficiente che notizia degli stessi era apparsa sugli organi di stampa.

Valerio Pollastrini


(1)   - art. 5 della Legge n.97 del 27 marzo 2001;

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