In
alternativa, in seguito al provvedimento di custodia cautelare, l’Ente può sospendere in via cautelativa il lavoratore
fino all’esito del giudizio penale ed avviare il procedimento disciplinare solo dopo l’esito della sentenza.
Si
tratta, quest’ultima, di un’opzione che garantisce al dipendente una maggiore
garanzia e che, pertanto, non può penalizzare
il prudente comportamento tenuto dell’azienda, specie in virtù dell’interesse
generale che la Pubblica Amministrazione è chiamata a tutelare.
Il
caso posto all’attenzione della Suprema Corte è quello di un operatore tecnico di cucina e dispensa alle
dipendenze dell’Azienda Ospedaliera Universitaria OORR San Giovanni di Dio e
Ruggi D’Aragona, arrestato con l’accusa di usura ed estorsione.
In
conseguenza del provvedimento cautelare, l’azienda aveva sospeso il lavoratore
dal servizio, decidendo di attendere la conclusione del processo penale prima
di iniziare l’azione disciplinare.
Dopo
la condanna in primo grado a 4 anni e 20 giorni di reclusione più una multa, il
lavoratore aveva patteggiato in Appello la pena di 3 anni e 10 giorni di
reclusione, oltre 1.600,00 € di ammenda.
In
seguito ad indulto, la Corte di Appello di Salerno aveva revocato l’ordine di
esecuzione della pena residua di 11 mesi ed 1 giorno di reclusione.
Allegando
copia di tale ultimo provvedimento, il lavoratore aveva presentato all’Azienda
Ospedaliera la richiesta di riassunzione in servizio.
In
quel momento, l’azienda aveva però dato inizio al procedimento disciplinare
attraverso la convocazione del dipendente. Dopo l’audizione, la procedura di contestazione era
stata sospesa in attesa che il lavoratore inoltrasse all’Amministrazione una copia della sentenza di Appello. Richiesta
alla quale il ricorrente aveva ritenuto di non adempiere.
L’azienda
aveva quindi disposto il licenziamento del dipendente, previa un preavviso di
quattro mesi.
Il
lavoratore aveva impugnato il recesso dinnanzi al Tribunale di Salerno, prima
in via d’urgenza, poi con ricorso ordinario, ma
entrambi i ricorsi erano stati rigettati.
Successivamente,
anche la Corte di Appello di Salerno aveva confermato la legittimità del
recesso ed il dipendente aveva quindi adito la Corte di Cassazione, contestando
al Giudice di merito di aver raggiunto la propria decisione ignorando la
decisiva circostanza circa l’avvenuta conoscenza dei fatti da parte dell’azienda
sin dal momento del suo arresto. Sul punto il lavoratore lamentava la mancata
ammissione dei mezzi istruttori finalizzati a provare tale conoscenza, nonché
la mancata valutazione dei documenti allegati costituiti dagli articoli comparsi
su tre quotidiani locali.
Quale
fondamento della tesi sostenuta, il ricorrente
aveva richiamato la giurisprudenza di legittimità, in base alla quale il
termine per avviare il procedimento disciplinare a carico di dipendenti
pubblici decorre dalla sentenza solamente se attraverso di essa l’Amministrazione
venga a conoscenza dei fatti. Rimanendo preclusa questa possibilità nel caso di
una conoscenza risalente ad un periodo precedente.
La pronuncia
della Cassazione
Nel
respingere il ricorso, la Suprema Corte ha preliminarmente ricordato come l’accertamento
del preciso momento nel quale l’azienda
fosse venuta a conoscenza del reato rientra tra le competenze riservate al Giudice di merito, la cui
decisione, se adeguatamente motivata, non può essere oggetto di riesame da
parte della Cassazione.
La
Corte di Appello aveva correttamente distinto tra conoscenza del fatto della
sottoposizione del dipendente a custodia cautelare, in seguito alla quale era
stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, dalla conoscenza della
condanna definitiva dello stesso, che ne aveva giustificato il licenziamento.
In
particolare, le norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento
disciplinare ed effetti del giudicato nei confronti dei dipendenti delle
amministrazioni pubbliche (1), prevedono che
il lavoratore può essere licenziato a seguito di una sentenza penale
irrevocabile di condanna.
La
richiamata disposizione di legge chiarisce che l’azienda, dopo aver dato inizio
al procedimento disciplinare, possa poi
sospenderlo in attesa della sentenza penale.
In
alternativa, la Pubblica Amministrazione può tuttavia procedere alla
sospensione cautelare del lavoratore in
relazione al provvedimento di custodia cautelare a suo carico ed attendere l’esito
del giudizio penale prima di iniziare il procedimento disciplinare.
A
proposito della seconda opzione, la Cassazione ha affermato che tale scelta,
fornendo al dipendente maggiori garanzie, non può penalizzare il comportamento
prudente dell’azienda, soprattutto in virtù
dell’interesse generale che la Pubblica Amministrazione è obbligata a
tutelare.
L’attesa
di una sentenza irrevocabile prima di iniziare il procedimento disciplinare consente
all’azienda una conoscenza del fatto in tutte le sue componenti, materiali e
giuridiche, indispensabili ai fini di un’esaustiva valutazione dell’accaduto,
in quanto la sussistenza del reato viene compiutamente accertata con la
sentenza che conclude il processo e non con il provvedimento di custodia
cautelare.
Tornando
al caso di specie, la Suprema Corte ha inoltre rilevato che il ricorrente non
aveva fornito la prova della conoscenza dei fatti da parte dell’azienda sin dal
momento della custodia cautelare, risultando a tal fine insufficiente che
notizia degli stessi era apparsa sugli organi di stampa.
Valerio
Pollastrini
(1)
-
art. 5 della Legge n.97 del 27 marzo 2001;
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