Il
caso in commento è quello di un lavoratore, responsabile della qualità e del
coordinamento delle risorse operative, licenziato per giustificato motivo
oggettivo derivante dalla contrazione dell’attività commerciale.
Il Tribunale di Milano aveva dichiarato
illegittimo il licenziamento, condannando la società a reintegrare il
dipendente nel posto di lavoro, nonché al pagamento delle retribuzioni maturate
dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegra ed al
versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
Tale
decisione era stata successivamente confermata dalla Corte di Appello di Milano
che, con riguardo al recesso, aveva osservato che il dipendente, era stato
dapprima demansionato e successivamente licenziato per soppressione del posto
di lavoro.
Tale
licenziamento doveva considerarsi illegittimo dal momento che il datore di
lavoro non aveva fornito la prova né che il posto fosse stato soppresso, né
della contrazione dell’attività commerciale. Le mansioni affidate al dipendente erano infatti state
attribuite ad altra persona e la società
aveva continuato ad assumere, anche se con contratti atipici, altro personale.
Rispetto
alla sentenza di primo grado, la Corte di merito
aveva sottratto dalle retribuzioni spettanti al lavoratore la somma di 2.515.00 €, equivalente ai redditi
d’impresa dallo stesso percepiti nelle
more della declaratoria dell’illegittimità del recesso.
L’azienda
aveva impugnato la sentenza di Appello dinnanzi alla Cassazione, sostenendo che
la qualificazione professionale del lavoratore in seguito licenziato esulasse
dalle mansioni assegnate ad altra
dipendente.
Le
mansioni di responsabile della qualità e
del coordinamento delle risorse operative sarebbero state del tutto marginali,
rispetto alla principale attività svolta dal lavoratore di ricerca e sviluppo
della clientela di natura commerciale.
A
differenza di quanto affermato dalla Corte di merito, l’azienda aveva poi
sostenuto di aver fornito la prova documentale e testimoniale della soppressione
del posto di lavoro del dipendente e della ristrutturazione del settore
commerciale nell’ambito di un più ampio processo di razionalizzazione di tutte
le strutture della società, finalizzato ad ottimizzare i costi.
Il
datore di lavoro riteneva inoltre di aver provato come, dopo il licenziamento,
le mansioni del lavoratore ricorrente
erano state ridistribuite tra il personale già in forza al momento del recesso.
La
prova sarebbe stata fornita anche sulle seguenti altre circostanze:
-
effettiva
contrazione dell’attività commerciale;
-
nessuno
dei collaboratori di cui si era avvalsa la società dopo il licenziamento del
lavoratore aveva svolto le mansioni commerciali di quest’ultimo;
-
le
mansioni di carattere non commerciale assegnate al predetto dipendente, oltre
ad avere carattere marginale, erano state assegnate ad altra dipendente su
richiesta dello stesso lavoratore;
- il
distacco a Roma del medesimo era stato determinato dall’esigenza di sviluppare
nuovi mercati nel centro Italia e, al contempo, di conservarne il più a lungo
possibile il posto di lavoro.
La pronuncia
della Cassazione
La
Suprema Corte, dopo aver ricordato come il licenziamento per giustificato
motivo oggettivo sia dettato da ragioni inerenti all’attività produttiva,
all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, ha chiarito che la valutazione delle esigenze
tecnico-economiche e delle ragioni di carattere produttivo-organizzativo
compete esclusivamente al datore di lavoro, senza che il Giudice possa
sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, atteso che tale
scelta sia espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art.
41 della Costituzione.
La
Cassazione ha però proseguito affermando che l’accertamento della reale sussistenza
delle anzidette esigenze e ragioni
spetta invece al Giudice. Al rigurardo, occorre tener conto del consolidato
orientamento giurisprudenziale che impone al datore di lavoro di provare, anche
attraverso elementi presuntivi o indiziari, l’impossibilità di adibire
utilmente il lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte o in posti di lavoro confacenti alle sue
mansioni (1).
La
Suprema Corte, con riguardo alle assunzioni di nuovo personale successivamente
al licenziamento, ha poi affermato che il datore di lavoro è obbligato ad
indicare e dimostrare le assunzioni effettuate, il relativo periodo, le
qualifiche e le mansioni affidate ai nuovi assunti e le ragioni per cui tali
mansioni non siano da ritenersi equivalenti a quelle svolte dal lavoratore
licenziato, tenuto conto della professionalità raggiunta dal lavoratore
medesimo.
Tali
elementi debbono essere presi in considerazione nell’analisi valutativa compiuta
dal Giudice che, se adeguatamente motivata, come nel caso di specie, è
incensurabile in sede di legittimità.
La
Corte di Appello aveva correttamente
accertato la mancata dimostrazione da parte del ricorrente della soppressione
del posto di lavoro del dipendente licenziato
Nei
confronti del lavoratore era stato attuato un progressivo demansionamento sino
al momento del recesso ed anche le mansioni commerciali gli erano state
sottratte con le motivazioni, del tutto generiche, relative all’esigenza di
aprire nuovi mercati.
Le
mansioni di responsabile della qualità e di coordinamento delle risorse
operative erano state inoltre attribuite ad altra dipendente e l’azienda non
aveva fornito alcuna prova della supposta contrazione dell’attività
commerciale, posto che la società dal 2003 al 2005 aveva continuato ad
assumere, anche se con contratti atipici, varie persone.
Alla
stregua di tali accertamenti la Corte di legittimità ha ritenuto prive di
fondamento le censure mosse alla impugnata sentenza, avendo il Giudice di Appello
fornito esaurientemente conto delle ragioni del suo convincimento, con
motivazione immune da vizi e senza incorrere in omissioni o contraddizioni.
Per
tutte le ragione sopra riportate, la Cassazione ha rigettato il ricorso
aziendale ed ha inoltre condannato il datore di lavoro al pagamento delle spese
del processo di legittimità, liquidate in 4.000,00 € per compensi professionali
ed in 100,00 € per esborsi, oltre accessori di legge.
Valerio
Pollastrini
(1)
-
Cass. 7381/10; Cass. 11720/09, Cass. 15500/09, Cass. 6552/09, Cass. 25885/08 e,
più recentemente, Cass. 7474/12;
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