Le
modifiche apportate, tra l’altro, all’istituto dei contratti a tempo
determinato, impongono un’analisi riepilogativa dell’intera disciplina ora
vigente.
A
questo proposito, la principale novità riguarda principalmente il c.d. “contratto
acausale”, per in quale, si ricorda, l’apposizione
del termine al contratto non richiede alcuna ragione di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo.
Questa
tipica fattispecie contrattuale potrà avere una durata massima di 36 mesi.
L’altra
grande novità riguarda la possibilità di proroga, ora ammessa fino ad 8 volte
nel limite dei 36 mesi.
Il
Decreto ha inoltre introdotto un requisito numerico per la legittima stipulazione
dei contratti a termine. Ogni azienda potrà infatti farvi ricorso entro il
limite del 20% dell’organico compressivo.
I datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti potranno comunque stipulare almeno un contratto di lavoro a
tempo determinato.
Occorre
precisare che il suddetto limite numerico non opera per i contratti a tempo
determinato stipulati nel rispetto della vecchia normativa e cioè:
-
nelle
ipotesi previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro;
- nella
fase di avvio di nuove attività per i periodi definiti dai contratti collettivi
nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree
geografiche e/o comparti merceologici;
- per
ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività
già previste nell’elenco allegato al decreto del Presidente della Repubblica 7
ottobre 1963, n. 1525, e successive modificazioni;
-
per
specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;
-
con
lavoratori di età superiore a 55 anni.
Ricapitolando,
nel rispetto del richiamato limite numerico, è ora consentita l’apposizione di un termine senza
causale alla durata del contratto di lavoro subordinato di durata non superiore
a trentasei mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore di
lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione.
Proroghe e
rinnovi
Il
Decreto ha introdotto la possibilità di prorogare il contratto a tempo determinato, nel limite dei
36 mesi, fino ad un massimo di 8 volte, purché le proroghe siano richieste per
l’esecuzione della stessa attività lavorativa per la quale era stato stipulato
l’originale contratto a termine.
Alla
luce della nuova disposizione normativa
il termine del contratto a tempo determinato potrà dunque essere prorogato, con
il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale sia inferiore a tre
anni. In questi casi le proroghe saranno ammesse, fino ad un massimo di otto
volte, a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la
quale era stato stipulato il contratto a tempo determinato. Con esclusivo
riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà comunque essere superiore ai tre
anni. L’onere della prova relativa all’obiettiva esistenza delle ragioni che
giustificano l’eventuale proroga del termine stesso è a carico del datore di
lavoro.
Rimane
invariata invece la disciplina dei rinnovi e, pertanto, qualora il lavoratore
venga riassunto a termine entro un periodo di dieci giorni dalla data di
scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla
data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo
contratto dovrà essere considerato a tempo indeterminato. Mentre, qualora fra la scadenza del primo e l’inizio
del successivo non passi neanche un giorno, il rapporto sarà considerato a tempo indeterminato
sin dal primo contratto.
Valerio
Pollastrini
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