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mercoledì 19 marzo 2014

Licenziamento del dipendente in seguito al tentato furto di materiale aziendale

Nella sentenza n.6219 del 18 marzo 2014 la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato ad un lavoratore che aveva tentato di rubare  del materiale aziendale, negando che elementi quali la grossolanità del tentativo di furto, la scarsa entità del danno subito dal datore di lavoro, la lunga durata del rapporto e l’inquadramento del dipendente in mansioni connaturate dallo scarso carattere fiduciario, potessero costituire circostanze attenuanti.

Un lavoratore con la qualifica di operaio meccanico di V livello era stato licenziato per giusta causa dopo aver tentato di condurre fuori dallo stabilimento senza autorizzazione n. 2 cartucce nuove di silicone di proprietà aziendale.

Il Tribunale di Taranto aveva respinto l’impugnativa del licenziamento  e la pronuncia era stata confermata dalla Corte di Appello di Lecce che aveva ritenuto l’addebito fondato e proporzionato alla massima sanzione espulsiva adottata.

Il lavoratore aveva dunque ricorso in Cassazione, sostenendo che la lettera di comunicazione del licenziamento sarebbe stata sottoscritta con segni grafici illeggibili, dai quali non era possibile risalire al nome dei due procuratori ed accertarne i poteri di firma. Ciò avrebbe determinato l’inefficacia del recesso e di tutti gli atti conseguenti da esso dipendenti.

La Cassazione ha ritenuto inammissibile tale rilievo, dal momento che la questione non era stata sollevata durante il giudizio di merito, ed ha inoltre ricordato che l’illeggibilità della firma apposta alla comunicazione del licenziamento non integra un motivo di nullità dell’atto rilevabile anche d’ufficio, dal momento che di nullità potrebbe parlarsi solo nel caso in cui venisse dimostrata da colui che  allega la non autenticità della sottoscrizione o l’insussistenza in capo al sottoscrittore della qualità indicata nell’atto (1).

La giurisprudenza di legittimità, con riferimento alla firma illeggibile apposta in calce alla procura ad litem, ha  già chiarito in passato che un’eventuale nullità non potrebbe essere che relativa e risulterebbe sanata in difetto di tempestiva deduzione (2).

Il ricorrente aveva poi dedotto omessa motivazione in ordine al mancato adempimento dell’onere della prova circa l’appropriazione delle due cartucce di silicone, posta  a fondamento della comunicazione del licenziamento, in quanto, volontariamente, non era stato richiesto l’intervento della Polizia Giudiziaria che avrebbe potuto procedere al sequestro di quanto eventualmente rinvenuto e trattenuto.

La Cassazione ha ritenuto infondato anche questo motivo di ricorso, dal momento che nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello risultavano ben palesate le ragioni per le quali, pur in difetto di sequestro delle cartucce oggetto del tentato furto, non potevano sussistere dubbi circa la loro effettiva esistenza.

In particolare, la Corte di merito aveva ritenuto decisiva la testimonianza di un vigilantes che, dopo avere inseguito il lavoratore che precipitosamente aveva fatto ritorno negli spogliatoi, lo aveva visto gettare qualcosa nel cestino.

Un altro vigilantes aveva inoltre dichiarato di aver trovato negli spogliatoi le due cartucce di silicone coperte da panni sporchi.

Sul punto, il lavoratore aveva lamentato che nessuno lo avesse visto direttamente gettare le cartucce nel cestino, né tali cartucce erano in uso nel suo reparto, deducendo così che non sarebbe potuto venirne in possesso.

La Cassazione ha escluso ogni valenza ai suddetti rilievi avanzati dal ricorrente, richiamando il principio ormai acquisito secondo il quale “la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (3).

La Corte di Appello aveva ritenuto che il lavoratore avrebbe potuto impossessarsi delle due cartucce di silicone pur non facendone uso il suo reparto, valorizzando le concordanti deposizioni del responsabile del magazzino generale, del capo area degli impianti e di un sindacalista, che avevano dichiarato che il materiale fosse presente nel magazzino generale dello stabilimento e che lo stesso veniva utilizzato in un reparto distante circa 400 metri da quello del ricorrente, il cui reparto, tra l’altro, attingeva allo stesso magazzino non avendone uno proprio. Si tratta di una motivazione che la Suprema Corte ha ritenuto non censurabile.

Come ultimo motivo di ricorso il lavoratore aveva sostenuto l’errata la motivazione della Corte laddove aveva ritenuto che i fatti oggetto di contestazione fossero sufficienti a ledere irreparabilmente l’elemento fiduciario posto a fondamento del rapporto di lavoro.

In base ai parametri enucleati dalla giurisprudenza, la sanzione risulterebbe, a detta del dipendente, sproporzionata.

In particolare, la grossolanità del tentativo di furto, la scarsa entità del danno subito dal datore di lavoro, la lunga durata  del rapporto (26 anni), il  fatto che il lavoratore non svolgeva mansioni di carattere fiduciario e l’impossibilità di reiterazione della condotta, in virtù dell’apparato di verifica predisposto successivamente ai fatti accaduti, costituivano circostanze che escluderebbero una gravità della condotta tale da legittimare l’irrogazione della massima sanzione espulsiva.

Anche quest’ultimo motivo di ricorso è stato ritenuto inammissibile. La Cassazione ha posto l’accento sul fatto che attraverso di esso è stata sollecitata dal ricorrente una nuova valutazione sulla proporzionalità dell’addebito rispetto alla sanzione irrogata e della sua idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento, che tuttavia si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al Giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (4).

La Suprema Corte ha poi rilevato che la grossolanità del tentativo di furto fosse scaturita dal suo mancato successo  per la presenza dei vigilantes e non incide sulla gravità dell’elemento soggettivo, che il Giudice di Appello aveva correttamente desunto dall’introduzione nel marsupio delle cartucce di silicone, dal successivo occultamento della refurtiva nel cestino portarifiuti, dall’invito rivolto ai vigilanti di omettere il rapporto, dalla giustificazione (il recupero del telefono cellulare) fornita a motivo del precipitoso rientro nello spogliatoio, risultata falsa per non essere stato rinvenuto alcun telefono cellulare.

Quanto poi alla tenuità del danno patrimoniale,  i precedenti della Corte di Cassazione ne escludono la rilevanza sul venir meno della fiducia nella correttezza del futuro adempimento nel caso di furto di materiali aziendali (5).

La Suprema Corte ha poi aggiunto che il lavoratore aveva riportato ben otto sanzioni disciplinari nel corso del rapporto di lavoro  che, pur non assumendo rilevanza ai fini della recidiva, erano state tuttavia correttamente valutati sotto il profilo della complessiva gravità del comportamento del dipendente e della proporzionalità della sanzione irrogatagli.

Sul fatto poi che il dipendente non svolgesse mansioni di carattere fiduciario, gli ermellini hanno rilevato la loro connessione all’uso ed alla disponibilità di materiali aziendali, ricordando i numerosi casi di furto verificatisi in azienda e che le dimensioni dello stabilimento non consentono controlli sistematici, ma solo a campione.

Per tutte le ragioni esposte, la Cassazione ha  respinto il ricorso del lavoratore, confermando la legittimità del licenziamento.

Valerio Pollastrini


(1)   - In tal senso, in merito a firma illeggibile apposta in calce ad ordinanza-ingiunzione ex L. 689 del 1981, Cass. Sez. 1, sentenza n. 522 del 20/01/1994;
(2)   - Sez. U, sentenza n. 25036 del 07/11/2013;
(3)   - Sez. L, sentenza n. 21412 del 05/10/2006, conf. Sez. L, sentenza n. 4391 del 26/02/2007, Sez. L, sentenza n. 16346 del 24/07/2007;
(4)   - Sez. L., sentenza n. 35 del 03/01/2011;
(5)   - Cass., Sentenza n.5434 del 2003;

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