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mercoledì 19 marzo 2014

Lavoratore in malattia sorpreso a svolgere di notte l’attività di buttafuori

Nella sentenza n.5883 del 13 marzo 2014 la Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi sulla possibilità, da parte di un dipendente assente per malattia, di svolgere altra attività in concomitanza con la patologia lamentata.

Il caso in commento è quello di  un lavoratore licenziato per giusta causa  dopo essere stato sorpreso a svolgere, durante un periodo di assenza per malattia, l’attività di "buttafuori" in favore di un’altra impresa, della quale era risultato essere socio.

Sia il Tribunale di Ascoli Piceno che la Corte d'Appello di Ancona avevano ritenuto illegittimo il licenziamento.

La Corte territoriale, in particolare, dopo aver accertato la reale sussistenza della sindrome ansionso-depressiva lamentata dal lavoratore, aveva  stabilito che l’attività di sorvegliante prestata  in favore di  un’altra società, eseguita nei fine settimana ed in orari notturni, fosse del tutto compatibile con la malattia certificata.

La Corte di Cassazione (1) aveva accolto  il ricorso del datore di lavoro, rilevando come la Corte di Appello fosse venuta meno al costante principio della giurisprudenza di legittimità secondo il quale la prova testimoniale deve avere per oggetto fatti e non apprezzamenti e che il Giudice di merito non deve dare valenza alle deposizioni testimoniali che si traducono in un'interpretazione soggettiva, ovvero in un mero apprezzamento tecnico del fatto.

Nel caso di specie, la Corte di merito aveva invece fondato la propria decisione esclusivamente sulla testimonianza resa dal Direttore del Dipartimento di salute mentale della ASL XX di Ascoli Piceno che aveva redatto il certificato medico del lavoratore, mentre avrebbe dovuto avvalersi di una specifica Consulenza Tecnica d'Ufficio.

La Suprema Corte aveva pertanto cassato la sentenza impugnata ed aveva rinviato la decisione alla  Corte di Appello di Bologna.

Il giudice del rinvio aveva parimenti ritenuto illegittimo il licenziamento, questa volta in virtù dei risultati di una C.T.U. medica che aveva accertato come, pur non sussistendo attualmente in capo al lavoratore una sindrome ansioso-depressiva, all'epoca dei fatti doveva ritenersi plausibile che lo stesso  presentasse una reazione di disadattamento con temporaneo turbamento psicologico con sentimenti di rabbia, frustrazione e rivendicazione, con lo sviluppo di alcuni sintomi inquadrabili come disturbo dell'adattamento...con aspetti emotivi misti, ansiosi e depressivi.

Il Giudice di Appello aveva ritenuto, altresì,  che le condizioni cliniche  del lavoratore fossero compatibili con lo svolgimento dell'attività di sorveglianza in locali notturni  e che tale attività non fosse di ostacolo alla sua guarigione.

A questo punto l’azienda aveva nuovamente proposto ricorso in Cassazione, contestando alla Corte territoriale la formulazione di giudizi di natura medico legale incerti e contrastanti con le disposizioni del Decreto del Ministero dell’interno del 6 ottobre 2009, in base alle quali l’esercizio dell’attività di “buttafuori” è consentito solamente in presenza di una buona salute fisica e mentale.

Nuovamente investita della questione, la Suprema Corte ha osservato come la Corte di merito avesse fondato la propria decisione sulle risultanze della consulenza tecnica medico-legale che aveva accertato come all'epoca dei fatti il lavoratore fosse affetto da una patologia rientrante nel concetto di malattia di cui all'art. 2110 c.c. con sintomi inquadrabili come disturbo dell'adattamento ed aspetti emotivi misti, ansiosi e depressivi e legittimante l'assenza dal lavoro.

La Cassazione ha quindi rilevato che il  Giudice di merito avrebbe dovuto disporre un’altra C.T.U. per accertare se la patologia da cui il lavoratore era risultato affetto fosse compatibile con l'attività di sorveglianza in locali notturni e se questa potesse comprometterne o ritardarne la guarigione.

La Suprema Corte ha ricordato che la decisione se ricorrere o meno alla Consulenza Tecnica rientra nei poteri discrezionali del Giudice di merito e come tale è incensurabile in sede di legittimità.

Si tratta di un principio che, tuttavia deve essere contemperato con l'altro, secondo il quale il Giudice deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata in merito ad una questione tecnica rilevante per la definizione della causa.

Conseguentemente,  qualora il Giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza sufficienti a dar conto della decisione adottata, l’eventuale mancato esercizio di quel potere non può essere censurato.

Se però la soluzione scelta non sia adeguatamente motivata, la stessa risulta sindacabile in sede di legittimità.

Nel caso in commento, la Cassazione ha censurato  la motivazione della Corte di merito poiché fondata su una disamina del tutto lacunosa della prestazione di sorveglianza nei locali notturni svolta dal lavoratore, limitandosi a valorizzare il valore positivo delle pubbliche relazioni ad essa connesse, senza analizzare però altri aspetti che sarebbero stati rilevanti al fine della decisione.

Pur dovendosi dare atto che il DM 6 ottobre 2009, invocato dalla parte ricorrente e successivo ai fatti di causa, si riferisce all'attività di "buttafuori" svolta con carattere di professionalità e abitualità, mentre quella del lavoratore era risultata del tutto occasionale, la Corte di Appello avrebbe dovuto anche analizzare altri aspetti, quali la prestazione in orari notturni, che avrebbero potuto determinare  un’alterazione del ritmo fisiologico sonno-veglia, la possibile conflittualità interpersonale, la necessità di far valere la propria autorità, la necessità di mantenere alta la soglia di attenzione per un tempo prolungato nonché l'autocontrollo. Elementi potenzialmente idonei ad incidere su una patologia di natura psichica qual è quella di cui il dipendente era portatore.

Anche questa volta la Suprema Corte ha dunque  cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte di Appello di Bologna che, in diversa composizione, dovrà decidere anche in merito alla ripartizione delle spese del giudizio di legittimità.

Valerio Pollastrini


(1)   – Cassazione, Sentenza n.11745 del 2005;

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