Il
caso in commento è quello di un
lavoratore licenziato per giusta causa dopo essere stato sorpreso a svolgere, durante
un periodo di assenza per malattia, l’attività di "buttafuori" in
favore di un’altra impresa, della quale era risultato essere socio.
Sia
il Tribunale di Ascoli Piceno che la Corte d'Appello di Ancona avevano ritenuto
illegittimo il licenziamento.
La
Corte territoriale, in particolare, dopo aver accertato la reale sussistenza della
sindrome ansionso-depressiva lamentata dal lavoratore, aveva stabilito che l’attività di sorvegliante
prestata in favore di un’altra società, eseguita nei fine settimana
ed in orari notturni, fosse del tutto compatibile con la malattia certificata.
La
Corte di Cassazione (1)
aveva
accolto il ricorso del datore di lavoro,
rilevando come la Corte di Appello fosse venuta meno al costante principio della
giurisprudenza di legittimità secondo il quale la prova testimoniale deve avere
per oggetto fatti e non apprezzamenti e che il Giudice di merito non deve dare
valenza alle deposizioni testimoniali che si traducono in un'interpretazione
soggettiva, ovvero in un mero apprezzamento tecnico del fatto.
Nel
caso di specie, la Corte di merito aveva invece fondato la propria decisione
esclusivamente sulla testimonianza resa dal Direttore del Dipartimento di
salute mentale della ASL XX di Ascoli Piceno che aveva redatto il certificato
medico del lavoratore, mentre avrebbe dovuto avvalersi di una specifica Consulenza
Tecnica d'Ufficio.
La
Suprema Corte aveva pertanto cassato la sentenza impugnata ed aveva rinviato la
decisione alla Corte di Appello di
Bologna.
Il
giudice del rinvio aveva parimenti ritenuto illegittimo il licenziamento,
questa volta in virtù dei risultati di una C.T.U. medica che aveva accertato
come, pur non sussistendo attualmente in capo al lavoratore una sindrome
ansioso-depressiva, all'epoca dei fatti doveva ritenersi plausibile che lo
stesso presentasse una reazione di
disadattamento con temporaneo turbamento psicologico con sentimenti di rabbia,
frustrazione e rivendicazione, con lo sviluppo di alcuni sintomi inquadrabili
come disturbo dell'adattamento...con aspetti emotivi misti, ansiosi e
depressivi.
Il
Giudice di Appello aveva ritenuto, altresì, che le condizioni cliniche del lavoratore fossero compatibili con lo svolgimento
dell'attività di sorveglianza in locali notturni e che tale attività non fosse di ostacolo alla
sua guarigione.
A
questo punto l’azienda aveva nuovamente proposto ricorso in Cassazione,
contestando alla Corte territoriale la formulazione di giudizi di natura medico
legale incerti e contrastanti con le disposizioni del Decreto del Ministero
dell’interno del 6 ottobre 2009, in base alle quali l’esercizio dell’attività
di “buttafuori” è consentito solamente in presenza di una buona salute fisica e
mentale.
Nuovamente
investita della questione, la Suprema Corte ha osservato come la Corte di
merito avesse fondato la propria decisione sulle risultanze della consulenza
tecnica medico-legale che aveva accertato come all'epoca dei fatti il
lavoratore fosse affetto da una patologia rientrante nel concetto di malattia
di cui all'art. 2110 c.c. con sintomi inquadrabili come disturbo
dell'adattamento ed aspetti emotivi misti, ansiosi e depressivi e legittimante
l'assenza dal lavoro.
La
Cassazione ha quindi rilevato che il Giudice
di merito avrebbe dovuto disporre un’altra C.T.U. per accertare se la patologia
da cui il lavoratore era risultato affetto fosse compatibile con l'attività di
sorveglianza in locali notturni e se questa potesse comprometterne o ritardarne
la guarigione.
La
Suprema Corte ha ricordato che la decisione se ricorrere o meno alla Consulenza
Tecnica rientra nei poteri discrezionali del Giudice di merito e come tale è incensurabile
in sede di legittimità.
Si
tratta di un principio che, tuttavia deve essere contemperato con l'altro,
secondo il quale il Giudice deve sempre motivare adeguatamente la decisione
adottata in merito ad una questione tecnica rilevante per la definizione della
causa.
Conseguentemente, qualora il Giudice disponga di elementi
istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune
esperienza sufficienti a dar conto della decisione adottata, l’eventuale
mancato esercizio di quel potere non può essere censurato.
Se
però la soluzione scelta non sia adeguatamente motivata, la stessa risulta sindacabile
in sede di legittimità.
Nel
caso in commento, la Cassazione ha censurato la motivazione della Corte di merito poiché
fondata su una disamina del tutto lacunosa della prestazione di sorveglianza
nei locali notturni svolta dal lavoratore, limitandosi a valorizzare il valore
positivo delle pubbliche relazioni ad essa connesse, senza analizzare però
altri aspetti che sarebbero stati rilevanti al fine della decisione.
Pur
dovendosi dare atto che il DM 6 ottobre 2009, invocato dalla parte ricorrente e
successivo ai fatti di causa, si riferisce all'attività di "buttafuori"
svolta con carattere di professionalità e abitualità, mentre quella del lavoratore
era risultata del tutto occasionale, la Corte di Appello avrebbe dovuto anche
analizzare altri aspetti, quali la prestazione in orari notturni, che avrebbero
potuto determinare un’alterazione del
ritmo fisiologico sonno-veglia, la possibile conflittualità interpersonale, la
necessità di far valere la propria autorità, la necessità di mantenere alta la
soglia di attenzione per un tempo prolungato nonché l'autocontrollo. Elementi
potenzialmente idonei ad incidere su una patologia di natura psichica qual è
quella di cui il dipendente era portatore.
Anche
questa volta la Suprema Corte ha dunque cassato la sentenza impugnata, rinviando la
causa alla Corte di Appello di Bologna che, in diversa composizione, dovrà
decidere anche in merito alla ripartizione delle spese del giudizio di
legittimità.
Valerio
Pollastrini
(1)
–
Cassazione, Sentenza n.11745 del 2005;
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