Come
noto, l’art.40 del D.Lgs. n.276/2003, in aggiunta ai requisiti soggettivi ed
oggettivi richiesti per la legittima stipulazione dei c.d. contratti a
chiamata, consente il ricorso a tale tipologia contrattuale anche per le
attività elencate nella menzionata tabella allegata al R.D. n. 2657/1923.
La
specifica istanza era stata finalizzata
all’accertamento della possibile inclusione del personale addetto alle attività di call
center in-bound e/o out-bound nella rubricata figura professionale degli “addetti
ai centralini telefonici privati”.
Il
Ministero ha escluso tale possibilità, evidenziando come l’attività degli
“addetti ai centralini telefonici privati” abbia un precisa connotazione,
consistente esclusivamente nello smistamento delle telefonate.
Quella
svolta dagli operatori di call center risulta essere, invece, una
prestazione maggiormente articolata, in quanto normalmente inserita nell’ambito di un servizio o di una attività
promozionale o di vendita da parte dell’impresa. Questa interpretazione risulta
inoltre confermata dal legislatore, laddove nell’ art. 61 del D.Lgs. n.276/2003
ammette il ricorso a contratti di collaborazione a progetto per attività di
call center out-bound quando trattasi di attività di vendita diretta di beni e
di servizi.
Il
semplice utilizzo dello strumento telefonico, pertanto, non è sufficiente ad
equiparare le categorie professionali in questione.
In
conclusione, in Ministero ha ricordato come la possibilità di instaurare un
rapporto di lavoro intermittente per attività di call center in-bound e/o out-bound
sussista unicamente nel caso in cui il lavoratore risulti in possesso dei
requisiti anagrafici previsti dalla legge o qualora ciò sia previsto dalla
contrattazione collettiva di riferimento.
Valerio
Pollastrini
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