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venerdì 7 marzo 2014

Ente pubblico economico – Effetti della nullità del termine apposto al contratto di lavoro

Nella sentenza n.4458 del 25 febbraio 2014 la Corte di Cassazione interviene in merito all’impossibilità nelle Pubbliche Amministrazione di convertire in rapporto di lavoro a tempo indeterminato il contratto il cui termine sia risultato nullo.

Un dipendente dell’Ente Autonomo Fiera del Mediterraneo si era rivolto al Tribunale di Palermo affinché accertasse la nullità del termine apposto al primo di una serie di contratti perché privo di una delle causali richieste per la legittima stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato.

Sia il Giudice di primo grado che, successivamente, la Corte di Appello di Palermo avevano accolto la domanda del lavoratore e, ritenuto nullo il termine per non avere l’Ente convenuto provato né chiesto di provare l’adibizione del ricorrente ad attività stagionali, avevano disposto la trasformazione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato.

Secondo la Corte territoriale, la nozione di “stagione”, contenuta  nell’art. 1, comma 2, lett. A, della Legge n. 230/1962, non può essere estesa sino al punto da ricomprendere, come nel caso di specie, un arco temporale come quello, pressoché continuativo, di 32 mesi risultanti dalla sommatoria dei vari contratti a termine stipulati tra le parti.

L’Ente Autonomo Fiera del Mediterraneo si era quindi rivolto alla Corte di Cassazione, sostenendo che la sua natura “pubblicistica” escludesse la possibile conversione di detti contratti a termine in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Preso atto che l’Ente Fiera del Mediterraneo è un Ente Pubblico Economico, sottoposto al controllo ed alla vigilanza della Regione Sicilia, si discute, nella specie, della possibilità di conversione di un contratto cui sia stato illegittimamente apposto un termine finale.

Nel Pubblico Impiego, l’impossibilità di una tale conversione è da porsi in relazione  all’ineludibilità dell’art. 97 della Costituzione (1) che fissa l’obbligo di accedere agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni mediante concorso, salvo casi stabiliti dalla legge. Impossibilità peraltro sancita dalla riforma del pubblico impiego.

Anche la contrattazione collettiva degli Enti Locali, nel disciplinare la materia dei contratti a tempo determinato, ha stabilito che “in ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle Pubbliche Amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime Pubbliche Amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione”.

Il lavoratore interessato avrebbe, pertanto,  il solo diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro rese in violazione di disposizioni imperative, mentre in capo alle Amministrazioni è posto l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo.

Da segnalare poi, quale altra ragione sottesa alla mancata omologazione tra contratto a termine nel pubblico impiego e nell’impiego privato, l’esigenza concreta di contenimento, controllo e razionalizzazione della spesa pubblica, cui corrisponde una rigida programmazione del fabbisogno del personale con le dotazioni organiche, intese ad evitare il rischio di assumere un numero di persone maggiore di quanto possano consentire gli stanziamenti in bilancio.

Le considerazioni svolte spiegano meglio il divieto di conversione per tutte le ipotesi di rapporto con la Pubblica Amministrazione per il solo fatto che quest’ultima conserva pur sempre, anche in presenza di un rapporto di lavoro ormai contrattualizzato, una connotazione peculiare, essendo tenuta al rispetto dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento cui è e deve rimanere estranea ogni logica di mero profitto.

Per le ragioni sopra esposte la Suprema Corte ha ritenuto opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente, affinché, ove condivida l’esigenza di una risposta nomofilattica al più alto livello sulla questione, valuti l’opportunità di assegnarne la trattazione e la decisione alle Sezioni Unite, atteso che la suddetta questione - sia per il cospicuo contenzioso ancora in corso, sia per il numero non esiguo dei soggetti interessati, sia infine anche per i connessi ipotizzabili profili di responsabilità amministrativa e contabile - possa qualificarsi ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c. “di massima di particolare importanza.

Valerio Pollastrini
 

(1)   - Ribadita dagli artt. 3 del  D.P.R. n. 3/1957 e 20 della Legge n. 93/1983;

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