Un
dipendente dell’Ente Autonomo Fiera del Mediterraneo si era rivolto al
Tribunale di Palermo affinché accertasse la nullità del termine apposto al
primo di una serie di contratti perché privo di una delle causali richieste per
la legittima stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato.
Sia il
Giudice di primo grado che, successivamente, la Corte di Appello di Palermo
avevano accolto la domanda del lavoratore e, ritenuto nullo il termine per non
avere l’Ente convenuto provato né chiesto di provare l’adibizione del
ricorrente ad attività stagionali, avevano disposto la trasformazione del
rapporto in un contratto a tempo indeterminato.
Secondo la
Corte territoriale, la nozione di “stagione”, contenuta nell’art. 1, comma 2, lett. A, della Legge n.
230/1962, non può essere estesa sino al punto da ricomprendere, come nel caso
di specie, un arco temporale come quello, pressoché continuativo, di 32 mesi
risultanti dalla sommatoria dei vari contratti a termine stipulati tra le
parti.
L’Ente
Autonomo Fiera del Mediterraneo si era quindi rivolto alla Corte di Cassazione,
sostenendo che la sua natura “pubblicistica” escludesse la possibile
conversione di detti contratti a termine in un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato.
Preso atto
che l’Ente Fiera del Mediterraneo è un Ente Pubblico Economico, sottoposto al
controllo ed alla vigilanza della Regione Sicilia, si discute, nella specie,
della possibilità di conversione di un contratto cui sia stato illegittimamente
apposto un termine finale.
Nel Pubblico
Impiego, l’impossibilità di una tale conversione è da porsi in relazione all’ineludibilità dell’art. 97 della
Costituzione (1) che fissa l’obbligo di accedere
agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni mediante concorso, salvo casi
stabiliti dalla legge. Impossibilità peraltro sancita dalla riforma del
pubblico impiego.
Anche la
contrattazione collettiva degli Enti Locali, nel disciplinare la materia dei
contratti a tempo determinato, ha stabilito che “in ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti
l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle Pubbliche Amministrazioni,
non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato
con le medesime Pubbliche Amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e
sanzione”.
Il
lavoratore interessato avrebbe, pertanto, il solo diritto al risarcimento del danno
derivante dalla prestazione di lavoro rese in violazione di disposizioni
imperative, mentre in capo alle Amministrazioni è posto l’obbligo di recuperare
le somme pagate a tale titolo.
Da segnalare
poi, quale altra ragione sottesa alla mancata omologazione tra contratto a
termine nel pubblico impiego e nell’impiego privato, l’esigenza concreta di
contenimento, controllo e razionalizzazione della spesa pubblica, cui
corrisponde una rigida programmazione del fabbisogno del personale con le
dotazioni organiche, intese ad evitare il rischio di assumere un numero di
persone maggiore di quanto possano consentire gli stanziamenti in bilancio.
Le considerazioni
svolte spiegano meglio il divieto di conversione per tutte le ipotesi di
rapporto con la Pubblica Amministrazione per il solo fatto che quest’ultima
conserva pur sempre, anche in presenza di un rapporto di lavoro ormai
contrattualizzato, una connotazione peculiare, essendo tenuta al rispetto dei
principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento cui è e deve
rimanere estranea ogni logica di mero profitto.
Per le
ragioni sopra esposte la Suprema Corte ha ritenuto opportuno rimettere gli atti
al Primo Presidente, affinché, ove condivida l’esigenza di una risposta nomofilattica
al più alto livello sulla questione, valuti l’opportunità di assegnarne la
trattazione e la decisione alle Sezioni Unite, atteso che la suddetta questione
- sia per il cospicuo contenzioso ancora in corso, sia per il numero non esiguo
dei soggetti interessati, sia infine anche per i connessi ipotizzabili profili
di responsabilità amministrativa e contabile - possa qualificarsi ai sensi
dell’art. 374, comma 2, c.p.c. “di massima di particolare importanza.
Valerio
Pollastrini
(1) - Ribadita dagli artt. 3 del D.P.R. n. 3/1957 e 20 della Legge n. 93/1983;
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