Il caso in
commento è quello di un dipendente del Ministro Affari Esteri, licenziato in
seguito ai gravi comportamenti dei quali lo stesso si sarebbe reso colpevole
nel corso di una missione in Tunisia,
dove era stato temporaneamente inviato nell’ambito di un programma di
cooperazione.
Dopo il
recesso il Ministero, oltre ad inoltrare una copia della lettera di licenziamento
alla Fao e alle autorità tunisine, ne aveva disposto la pubblicazione sul Bollettino
della Cooperazione.
Il
lavoratore si era rivolto al Tribunale di Roma contestando il recesso e
chiedendo il risarcimento del danno procurato alla sua immagine con la divulgazione della lettera contenente i
motivi del licenziamento.
Il Giudice
di primo grado aveva dichiarato illegittimo il recesso, condannando il
Ministero a corrispondere al lavoratore le retribuzioni decorrenti dalla data
del licenziamento fino a quella di scadenza del contratto a termine intercorso
tra le parti. Il Tribunale aveva invece respinto la domanda di risarcimento del
danno.
Successivamente,
la Corte di Appello di Roma aveva riconosciuto al lavoratore anche il diritto al
risarcimento del danno, quantificandolo
in 50.000,00 €.
Investita
della questione, la Corte di Cassazione ha confermato quanto disposto nella
sentenza di Appello.
In
particolare, la Suprema Corte ha ravvisato quale presupposto del danno all’immagine,
non il mero licenziamento o la sua comunicazione alla FAO e alle autorità
tunisine, bensì l'invio ad essi della lettera di recesso e della sua diffusione anche attraverso il
Bollettino della Cooperazione, senza peraltro che l'Amministrazione avesse
fornito spiegazioni per simili
provvedimenti.
Nel caso di
specie, dunque, prescindendo dall’illegittimità del licenziamento, la
configurazione del danno risiede nell’indebita diffusione delle motivazioni del
recesso.
Valerio
Pollastrini
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