Il
quadro normativo di riferimento è quello di cui all’art.8, comma 4, della Legge
n.223/1991, in base al quale i datori di
lavoro che assumono lavoratori in mobilità hanno diritto ad un contributo per
ogni mensilità di retribuzione
corrisposta al dipendente, pari al 50%
dell’indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore.
L’Istituto,
in particolare, condiziona il proprio orientamento al tenore letterale della Legge n.223/1991, per
la quale “i datori di lavoro che assumono lavoratori licenziati da soggetti che
non esercitino attività d’impresa non possono usufruire dei benefici
contributivi in oggetto”.
La
norma, dunque, subordina la possibilità di
utilizzare l’incentivo al possesso della qualifica di “imprenditore” da parte del datore di lavoro che abbia
effettuato il licenziamento in seguito al quale il lavoratore abbia acquisito
il diritto alla mobilità, escludendo quindi coloro per i quali tale condizione
non sussista, come nel caso dei liberi
professionisti.
La
presente interpretazione fornita dall’Inps, che segna l’integrale esclusione dal sistema degli
ammortizzatori sociali per datori di lavoro non imprenditori, ha suscitato le
vibranti proteste dell’Ordine dei Consulenti del lavoro e della Confprofessioni,
poiché in aperto contrasto con quanto espresso dal Ministero del lavoro che,
nell’Interpello n. 10/2011, aveva riconosciuto il diritto dei dipendenti degli
studi professionali alla mobilità cd. non indennizzata, in caso di
licenziamento per riduzione di personale.
Valerio
Pollastrini
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