In sostanza, la costituzione di un
rapporto di natura previdenziale determina un’obbligazione contributiva nella
quale l’Istituto assicuratore rappresenta il soggetto attivo, mentre il datore di lavoro,
in veste di parte passiva, è il soggetto
sul quale ricade l’onere di versare i contributi nella loro interezza. Come unico
beneficiario della prestazione previdenziale, il lavoratore resta invece
estraneo a tale rapporto obbligatorio.
Il caso in questione è quello di due
lavoratori, assunti dal padre con contratto di lavoro subordinato nell’ambito di
un’impresa familiare, successivamente trasformata in s.n.c., che avevano
impugnato dinnanzi al Giudice del lavoro il verbale di accertamento con il
quale l’Inps, in base all’assunto che nell'impresa
familiare non può sussistere un rapporto di lavoro subordinato, aveva disposto
l’annullamento dei contributi previdenziali versati in loro favore.
Il Tribunale aveva accolto il
ricorso dei lavoratori, riconoscendo il diritto
dei ricorrenti ad effettuare i versamenti contributivi quali lavoratori
subordinati.
Successivamente investita della questione,
la Cassazione, ha però rilevato il difetto di legittimazione processuale da
parte dei due lavoratori che non potevano quindi proporre l’azione in commento.
La Suprema Corte ha ricordato che, in
ragione del fatto che il rapporto di natura contributiva coinvolge esclusivamente
il datore di lavoro e l’Ente previdenziale, il datore di lavoro è l'unico
legittimato a chiedere all'Ente previdenziale la restituzione dei contributi
indebitamente versati, anche per la quota a carico del dipendente. Il lavoratore,
invece, può agire esclusivamente nei confronti del datore di lavoro per la
restituzione della sua quota.
Lo stesso principio risulta
applicabile anche nel caso del mancato versamento dei contributi da parte dell’azienda.
In una simile fattispecie, quindi, il lavoratore non può agire verso gli Enti
previdenziali per costringerli all'azione di recupero dei contributi, dovendo a
tal fine agire per il versamento nei confronti del datore di lavoro.
In sostanza, la Cassazione ha
escluso che i lavoratori possano agire
in via autonoma nei confronti dell’Inps per l'accertamento del rapporto di
lavoro subordinato, così come, ugualmente, non possono chiedere di sostituirsi
al datore di lavoro nel pagamento dei contributi, essendo loro attribuiti, nel
caso di omissione contributiva, solo il rimedio previsto dall' art. 2116 c.c. e
la facoltà di richiedere all'INPS la costituzione della rendita vitalizia ex
art. 13 L. 1338/1962, pari alla quota di pensione che sarebbe spettata in
relazione ai contributi omessi.
Valerio
Pollastrini
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