La Corte di
Appello di Roma aveva dichiarato l’inefficacia della cartella di pagamento
notificata dall’Inps ad un’impresa, relativa agli interessi e le somme aggiuntive per i
contributi dovuti dal gennaio 2001 al dicembre 2003, ritenendo che il regime
sanzionatorio non fosse quello previsto per le ipotesi di “evasione
contributiva”, ma, bensì, quello meno grave della “omissione contributiva”.
Secondo la
Corte di merito, il fatto che la società avesse regolarmente iscritto i dipendenti nel libro matricola,
presentando le denunce annuali ed inviando i modelli DM-10, relativi appunto al
periodo gennaio 2001-dicembre 2003, costituiva condizione sufficiente a
ricondurre gli inadempimenti nell’ambito
della fattispecie dell’omissione contributiva, nonostante le suddette
registrazioni fossero state effettuate in ritardo e, precisamente, nel corso
dell’accertamento ispettivo del 2006.
L’Inps aveva
ricorso in Cassazione, sostenendo che le sanzioni applicabili non fossero
quelle concernenti l’omissione contributiva, ma quelle più gravi previste per l’evasione.
La pronuncia della Cassazione
La Corte ha
preliminarmente ricordato come in tema di distinzione tra evasione e omissione
contributiva, ai fini del calcolo di interessi e somme aggiuntive, i precedenti
della giurisprudenza di legittimità abbiano chiarito che, a proposito degli obblighi
contributivi verso le gestioni previdenziali e assistenziali, l’omessa o
infedele denuncia mensile all’INPS attraverso i modelli DM-10 circa rapporti di
lavoro e retribuzioni erogate integra “evasione contributiva” ex art. 116, comma 8, lett. b), della
legge n. 388 del 2000, e non la meno grave “omissione contributiva” di cui alla
lettera a) della medesima norma, in quanto l’omessa o infedele denuncia fa
presumere l’esistenza della volontà datoriale di occultare i dati allo
specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti (1).
Ne consegue che l’onere di provare l’assenza di un intento
fraudolento e, quindi, la propria buona fede, grava sul datore di lavoro
inadempiente.
Nel caso
richiamato nel precedente citato, la
Cassazione aveva respinto il ricorso dell’INPS avverso la decisione di merito
che, con motivazione congrua, aveva qualificato “omissione contributiva”,
anziché “evasione contributiva”, la condotta dell’imprenditore il quale, pur
avendo spedito i modelli DM10 con ritardo, peraltro mai superiore a quattro
mesi, aveva tenuto regolarmente le scritture contabili e regolarmente inviato
il modello 770 contenente la denuncia riepilogativa annuale, circostanze,
queste, complessivamente idonee a vincere la presunzione d’intento fraudolento.
Per la
Suprema Corte, anche nel caso di specie, l’invio tardivo dei mod. DM 10, nonché
la completa regolarità delle scritture, induce a superare la presunzione di
ogni intento fraudolento nel mancato (ritardato) invio dei modelli DM-10, dal
momento che gli stessi ispettori Inps, nel corso della verifica, avevano
rilevato che il debito risultasse già dal confronto tra due diversi archivi
dell’Istituto: l’archivio DM-10 e l’archivio Cud che evidenzia le somme
annualmente pagate ai dipendenti in forza.
Per tali motivi
la Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Inps ed ha condannato l’Istituto al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in 3.000,00 € per
compensi professionali e 100,00 € per esborsi, oltre Iva e CPA.
Valerio
Pollastrini
(1) - Cass., sentenze n.10509 del
25/06/2012 e n. 4188 del 20/02/2013;
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