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sabato 1 febbraio 2014

Licenziamento irrogato durante l’assenza per malattia del lavoratore

Con la sentenza n.1777 del 28 gennaio 2014, la Cassazione è intervenuta sulla possibilità per il datore di lavoro di procedere legittimamente al licenziamento del dipendente assente per malattia.

Un dipendente del Comune di Viterbo aveva impugnato il licenziamento irrogatogli con preavviso in data 22/09/2000.

Il lavoratore contestava la legittimità del licenziamento in quanto la contestazione disciplinare da cui era seguito l’atto di recesso, era avvenuta durante il periodo di malattia (protrattasi dal  12/04/2000 al 20/08/2000), periodo che, a mente dell’art. 2110 c.c. sospende il diritto del datore di porre fine al rapporto di lavoro.

Nel corso del giudizio di merito era emerso tuttavia che dopo il 20/08/2000 il Comune di Viterbo in data 23/08/2000 aveva reiterato la convocazione scritta per la difesa del dipendente prevista dall’art. 24 del Ccnl (c. 3) già inviata il 26/04/2000 in costanza del periodo di malattia.

Il Tribunale di primo grado aveva giudicato illegittimo il licenziamento.

La Corte d’Appello aveva però disconosciuto la sentenza del Tribunale, rilevando come il licenziamento fosse stato originato dall’atteggiamento assenteista del dipendente, che aveva dato luogo ad un comportamento di gravità tale da giustificare la sanzione espulsiva.

La pronuncia della Cassazione
Investita della questione, la Cassazione ha ribadito innanzitutto il principio sancito dall’art. 2110, c. 2, c.c., in base al quale, nel caso di malattia del lavoratore, il datore può recedere dal rapporto di lavoro unicamente dopo il decorso del periodo di conservazione del posto  fissato dalla legge e dai contratti collettivi.

La Suprema Corte ha quindi escluso che il datore di lavoro possa unilateralmente porre fine  al rapporto fino a quando non risulti superato il periodo di comporto.

La Corte di legittimità ha ricordato inoltre come l’interesse del lavoratore a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l’occupazione, risulti preminente nel nostro ordinamento rispetto a quello del datore di lavoro a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce. Ciò giustifica l’attribuzione a carico dell’azienda del  rischio della malattia del dipendente.

La Cassazione ha tuttavia specificato che la giurisprudenza della Corte di legittimità ha coordinato tale principio in relazione alle varie fattispecie legali di recesso, prevedendo che lo stato di malattia non preclude l’irrogazione del licenziamento per giusta causa, non avendo ragion d’essere la conservazione del posto durante la malattia in presenza di un comportamento del lavoratore che non consente la prosecuzione neppure temporanea del rapporto.

Altro principio costantemente ribadito dalla Suprema Corte è quello che sospende, durante la malattia del dipendente, l’efficacia del licenziamento per giustificato motivo o il decorso del periodo di preavviso nel caso in cui l’evento morboso sia sopraggiunto  durante tale periodo (1).

Tale principio comporta, pertanto, che qualora il licenziamento non sia irrogato per giusta causa, durante lo stato di malattia, esso debba ritenersi  sospeso fino alla guarigione del lavoratore, momento, quest’ultimo, dal quale riprende l’efficacia dell’atto di recesso (2).

Nel caso di specie, la mancanza del procedimento di licenziamento deve essere ricondotta non nella circostanza che l’addebito sia stato contestato durante lo stato di malattia, atteso che l’efficacia della contestazione sarebbe rimasta  sospesa fino al momento della guarigione, ma nella verifica dell’effettivo godimento delle garanzie apprestate dalla legge e dalla norma contrattuale per l’esercizio di difesa del lavoratore.

La giurisprudenza di legittimità, ha costantemente ribadito  che, qualora il contratto collettivo preveda termini volti a scandire le fasi del procedimento disciplinare e un termine per la conclusione di tale procedimento, solo quest’ultimo sia perentorio, con conseguente nullità della sanzione in caso di inosservanza, mentre Ì termini interni sono ordinatori e la violazione di essi comporta la nullità della sanzione solo nel caso in cui l’incolpato denunci, con concreto fondamento, l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà della sua difesa (3).

 
Si tratta, in sostanza, di quanto avvenuto nel caso di specie. La contestazione disciplinare era stata infatti  effettuata nel corso del periodo di malattia, anche se – a seguito della sospensione di efficacia ex art. 2110 c.c. – aveva acquisito efficacia soltanto al momento della guarigione.

Il lasso di tempo intercorso tra la contestazione e l’irrogazione del licenziamento, corrispondente alla durata massima del procedimento disciplinare disposta dall’art. 24 del Ccnl applicato, deve essere fissato al periodo 20/08/00 — 22/09/00, ovvero in termini largamente rientranti in quelli massimi indicati dal sesto comma della disposizione collettiva.

Valerio Pollastrini


(1)   - Cass. 10/10/13 n. 23063 e 4/07/01 n. 9037;

(2)   - Cass. 7/01/05 n. 239 e 6/08/01 n. 10881;

(3)   - tra le altre v. Cass. 12/03/10 n. 6091 e 19/11/10 n. 23484;

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