Un dipendente del Comune di Viterbo aveva
impugnato il licenziamento irrogatogli con preavviso in data 22/09/2000.
Il lavoratore contestava la legittimità del
licenziamento in quanto la contestazione
disciplinare da cui era seguito l’atto di recesso, era avvenuta durante il
periodo di malattia (protrattasi dal 12/04/2000 al 20/08/2000), periodo che, a mente dell’art. 2110 c.c.
sospende il diritto del datore di porre fine al rapporto di lavoro.
Nel corso del giudizio di merito era
emerso tuttavia che dopo il 20/08/2000 il Comune di Viterbo in data 23/08/2000
aveva reiterato la convocazione scritta per la difesa del dipendente prevista
dall’art. 24 del Ccnl (c. 3) già inviata il 26/04/2000 in costanza del periodo
di malattia.
Il Tribunale di primo grado aveva
giudicato illegittimo il licenziamento.
La
Corte d’Appello aveva però disconosciuto la sentenza del Tribunale, rilevando
come il licenziamento fosse stato originato dall’atteggiamento assenteista del
dipendente, che aveva dato luogo ad un comportamento di gravità tale da
giustificare la sanzione espulsiva.
La pronuncia della Cassazione
Investita della questione, la Cassazione
ha ribadito innanzitutto il principio
sancito dall’art. 2110, c. 2, c.c., in base al quale, nel caso di malattia del lavoratore, il datore
può recedere dal rapporto di lavoro unicamente dopo il decorso del periodo di conservazione
del posto fissato dalla legge e dai
contratti collettivi.
La Suprema Corte ha quindi escluso che il datore di lavoro possa unilateralmente porre fine al rapporto fino a quando non risulti superato
il periodo di comporto.
La Corte di
legittimità ha ricordato inoltre come l’interesse del lavoratore a disporre di
un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento
e l’occupazione, risulti preminente nel nostro ordinamento rispetto a quello
del datore di lavoro a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e
produce. Ciò giustifica l’attribuzione a carico dell’azienda del rischio della malattia del dipendente.
La Cassazione ha tuttavia specificato che la
giurisprudenza della Corte di legittimità ha coordinato tale principio in relazione alle varie fattispecie legali di
recesso, prevedendo che lo stato di malattia non preclude l’irrogazione del licenziamento per giusta causa, non
avendo ragion d’essere la conservazione del posto durante la malattia in
presenza di un comportamento del lavoratore che non consente la prosecuzione neppure
temporanea del rapporto.
Altro principio costantemente ribadito
dalla Suprema Corte è quello che sospende,
durante la malattia del dipendente, l’efficacia del licenziamento per
giustificato motivo o il decorso del periodo di preavviso nel caso in
cui l’evento morboso sia sopraggiunto
durante tale periodo (1).
Tale principio comporta, pertanto, che
qualora il licenziamento non sia irrogato per giusta causa, durante lo stato di
malattia, esso debba ritenersi sospeso
fino alla guarigione del lavoratore, momento, quest’ultimo, dal quale riprende
l’efficacia dell’atto di recesso (2).
Nel caso di specie, la mancanza del
procedimento di licenziamento deve essere ricondotta non nella circostanza che
l’addebito sia stato contestato durante lo stato di malattia, atteso che
l’efficacia della contestazione sarebbe rimasta sospesa fino al momento della guarigione, ma nella verifica dell’effettivo godimento delle
garanzie apprestate dalla legge e dalla norma contrattuale per l’esercizio di
difesa del lavoratore.
La giurisprudenza di legittimità, ha costantemente
ribadito che, qualora il contratto
collettivo preveda termini volti a scandire le fasi del procedimento
disciplinare e un termine per la conclusione di tale procedimento, solo quest’ultimo sia perentorio, con
conseguente nullità della sanzione in caso di inosservanza, mentre Ì termini
interni sono ordinatori e la violazione di essi comporta la nullità della
sanzione solo nel caso in cui l’incolpato denunci, con concreto fondamento,
l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà della sua difesa (3).
Si tratta, in sostanza, di quanto avvenuto
nel caso di specie. La contestazione disciplinare era stata infatti effettuata nel corso del periodo di malattia,
anche se – a seguito della sospensione di efficacia ex art. 2110 c.c. – aveva
acquisito efficacia soltanto al momento della guarigione.
Il lasso di tempo intercorso tra la
contestazione e l’irrogazione del licenziamento, corrispondente alla durata
massima del procedimento disciplinare disposta dall’art. 24 del Ccnl applicato,
deve essere fissato al periodo 20/08/00 — 22/09/00, ovvero in termini
largamente rientranti in quelli massimi indicati dal sesto comma della
disposizione collettiva.
Valerio Pollastrini
(1) - Cass. 10/10/13 n.
23063 e 4/07/01 n. 9037;
(2) - Cass. 7/01/05 n. 239 e
6/08/01 n. 10881;
(3) - tra le altre v. Cass.
12/03/10 n. 6091 e 19/11/10 n. 23484;
Nessun commento:
Posta un commento