Chi siamo


MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


lunedì 3 febbraio 2014

Affetto da manie di persecuzione il dipendente che denunci di aver subito mobbing da tutti i superiori gerarchici

Nella sentenza n.1149 del 21 gennaio 2014 la Corte di Cassazione ha negato la sussistenza del mobbing lamentato da un lavoratore che aveva sostenuto di essere stato vittima di continui soprusi da tutti i suoi superiori gerarchici.

Il caso in questione è quello che ha riguardato un dipendente dell’Enel che,  dinnanzi al Giudice del lavoro, aveva contestato la legittimità dei provvedimenti disciplinari ricevuti,  nonché la dequalificazione subita, attraverso la quale l’azienda avrebbe attuato nei suoi confronti  un comportamento mobbizzante.

Il ricorrente aveva chiesto che l’Enel venisse condannata  alla completa ricostruzione della sua carriera, con conseguente attribuzione delle mansioni corrispondenti, ed al risarcimento di tutti danni subiti, in particolare del danno alla salute, del danno biologico e del danno esistenziale. In aggiunta, il lavoratore aveva poi chiesto che venisse riconosciuto nei suoi confronti  l’ulteriore risarcimento del danno professionale subito in conseguenza dell'illegittima dequalificazione ed emarginazione patiti, del danno all'immagine ed alla dignità personale, nonché del danno morale ed alla vita di relazione, oltre al risarcimento del danno da perdita di chance di promozione e di carriera.

Il lavoratore lamentava inoltre di   essere stato vittima di mobbing in quanto, nel corso dei suoi quindici anni di servizio   aveva subito diversi trasferimenti d'ufficio ed era stato destinato a mansioni frustranti. Fatti che ne avrebbero determinato l’emarginazione dai colleghi, anche in relazione all'atteggiamento dei vari capiufficio che si erano sempre rivelati persecutori, attraverso l'applicazione di diverse sanzioni disciplinari  e ad una  presunta aggressione fisica e verbale attuata ai suoi danni da parte di un superiore.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte di Appello, avevano rigettato le domande del lavoratore.

Nel confermare quanto disposto nei precedenti giudizi di merito,  la Corte di Cassazione ha rilevato che, in relazione agli innumerevoli episodi oggetto di contestazioni e sanzioni disciplinari, tra l’altro mai formalmente impugnate, il ricorrente, a distanza di molti anni,  si fosse limitato a fornire esclusivamente una propria versione dei fatti, sulla base di una serie di affermazioni prive di qualsiasi sostegno probatorio.

La Suprema Corte, in particolare, ha ribadito quanto affermato dalla Corte territoriale, vale a dire  che gli episodi richiamati dal lavoratore come indicativi della condotta vessatoria asseritamente subita, facevano riferimento ad episodi contestati dall’azienda dopo ad un’approfondita istruttoria disciplinare, corredata da dichiarazioni scritte o verbali rilasciate da altri impiegati presenti al momento dell’accadimento dei fatti.

Sulla base delle motivazioni sopra riportate la Corte di Cassazione, considerando la scarsa probabilità che tutti i superiori gerarchici avessero attuato un atteggiamento persecutorio nei confronti del lavoratore, ha ritenuto il ricorrente affetto da manie di persecuzione e ne ha, pertanto, escluso il diritto al risarcimento del danno.

Valerio Pollastrini

Nessun commento:

Posta un commento