La pronuncia
della Corte prende spunto dal ricorso presentato dalla Commissione Europea per l’infrazione da parte della Repubblica
italiana degli obblighi imposti dall’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della
direttiva 98/59/CE, in seguito all’esclusione
della categoria dei «dirigenti» dall’ambito di applicazione della procedura di
mobilità prevista dal combinato disposto degli articoli 4 e 24 della legge del
23 luglio 1991 n. 223, recante norme in materia di cassa integrazione,
mobilità, trattamenti di disoccupazione.
La normativa europea
L’articolo
2, paragrafi 1 e 2, della direttiva 98/59 stabilisce che quando il datore di
lavoro preveda di effettuare licenziamenti collettivi, debba effettuare delle
consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori al fine di giungere ad un
accordo.
Nelle
consultazioni devono essere almeno esaminate le possibilità di evitare o
ridurre i licenziamenti collettivi, nonché di attenuarne le conseguenze
ricorrendo a misure sociali di accompagnamento, intese, in particolare, a facilitare
la riqualificazione o la riconversione dei lavoratori licenziati.
Il
successivo articolo 5 specifica, invece, come la stessa direttiva non
pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre
disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai
lavoratori.
Normativa italiana
La direttiva
98/59 è stata recepita nel nostro ordinamento dalla legge n. 223/1991, il cui
art.4, rubricato «Procedura per la
dichiarazione di mobilità», disciplina la procedura di licenziamento collettivo
nei seguenti termini:
L’impresa
che sia stata ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale,
qualora ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i
lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative, ha facoltà di
avviare la procedura di licenziamento collettivo.
Le imprese
che intendano esercitare tale facoltà sono tenute a darne comunicazione
preventiva per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali, nonché alle rispettive associazioni di
categoria.
La
comunicazione deve contenere l’indicazione dei motivi che determinano la
situazione di eccedenza; dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i
quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla
predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, il licenziamento
collettivo; del numero, della collocazione aziendale e dei profili
professionali del personale eccedente, nonché del personale abitualmente
impiegato; dei tempi di attuazione del programma di riduzione del personale;
delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano
sociale della attuazione del programma medesimo; del metodo di calcolo di tutte
le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione
vigente e dalla contrattazione collettiva.
Entro sette
giorni dalla data del ricevimento della predetta comunicazione , a richiesta
delle rappresentanze sindacali aziendali e delle rispettive associazioni, è
previsto un esame congiunto tra le parti, allo scopo di esaminare le cause che
hanno contribuito a determinare l’eccedenza del personale e le possibilità di
utilizzazione diversa dei dipendenti in esubero, o di una parte di essi,
nell’ambito della stessa impresa, anche attraverso contratti di solidarietà e
forme flessibili di gestione del tempo di lavoro.
Nell’impossibilità
di evitare la riduzione di personale, bisognerà esaminare la possibilità di
ricorrere a misure sociali di accompagnamento, intese, in particolare, a
facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati.
Una volta raggiunto
l’accordo sindacale, l’impresa avrà la facoltà di licenziare gli impiegati, gli operai e i quadri
eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel
rispetto dei termini di preavviso.
Tali disposizioni
si applicano alle imprese che occupino più di quindici dipendenti e che, in
conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro,
intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell’arco di centoventi
giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del
territorio di una stessa provincia. Rientrano nella menzionata procedura tutti
i licenziamenti che, nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito, siano
comunque riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione.
Procedimento pre-contenzioso
Il 29 maggio
2008 la Commissione Europea aveva invitato la Repubblica italiana a presentare
osservazioni in merito alla propria legislazione di recepimento delle procedure
di tutela dei lavoratori in caso di licenziamento collettivo previste dalla
direttiva 98/59.
L’esclusione
della categoria dei “dirigenti” dall’ambito di applicazione della procedura di
licenziamento collettivo prevista dalla normativa italiana, secondo la
Commissione, non risultava conforme alla direttiva 98/59.
Il 7 agosto
2008 l’Italia aveva presentato le
proprie osservazioni che però non avevano soddisfatto la Commissione che aveva, pertanto, avviato la
procedura di infrazione.
Con la
lettera del 26 giugno 2009 la Commissione Europea aveva quindi messo in mora la Repubblica
italiana, invitandola nuovamente a
presentare le proprie osservazioni.
Ancora non
convinta dalle nuove risposte del nostro Paese, la Commissione, in data 22
giugno 2012, aveva emesso un parere motivato, invitando la Repubblica italiana
a conformarvisi entro un termine di due mesi.
Con lettera
del 3 agosto 2012, la Repubblica italiana aveva chiesto la proroga di tale
termine ma la Commissione aveva respinto la richiesta. Successivamente, non avendo ricevuto alcuna
ulteriore comunicazione, la Commissione aveva deciso di ricorrere alla Corte di
Giustizia.
Il ricorso della Commissione Europea
La Commissione
aveva ricordato che la direttiva 98/59 esplica il proprio ambito di applicazione
nei confronti di tutti i lavoratori senza eccezione e, pertanto, risulterebbe
non correttamente recepita dalla legislazione
italiana che ammette invece a beneficiare delle garanzie da essa previste
solamente gli operai, gli impiegati ed i
quadri, escludendo i dirigenti.
L’Italia si
era difesa sostenendo che la normativa ed i contratti collettivi interni
riguardanti specificamente i dirigenti, garantendo loro una particolare tutela
di carattere economico in caso di licenziamento, compenserebbero la loro esclusione
dalle procedure di mobilità, evitando così il venir meno agli obblighi imposti dalla
direttiva europea.
Secondo la
Corte di Giustizia, tale argomentazione è insufficiente, dal momento che la
direttiva 98/59 persegue lo scopo di ravvicinare le disposizioni nazionali
relative alla procedura da seguire in caso di licenziamenti collettivi.
A tal fine,
l’articolo 2, paragrafo 1, di detta direttiva stabilisce l’obbligo, per il
datore di lavoro, di procedere in tempo utile alle consultazioni con i
rappresentanti dei lavoratori qualora preveda di effettuare licenziamenti
collettivi. Tali consultazioni devono vertere, in particolare, sulla
possibilità di evitare o di ridurre i licenziamenti previsti (1).
La direttiva
98/59, in caso di mancata attuazione
della procedura di consultazione nei confronti di taluni lavoratori, risulta quindi
parzialmente privata del suo effetto e ciò a prescindere dalle misure sociali
di accompagnamento che siano previste in loro favore per attenuare le
conseguenze di un licenziamento collettivo.
Con l’esclusione
dei dirigenti dall’ambito di applicazione della procedura prevista per i
licenziamenti collettivi, la Repubblica italiana è dunque venuta meno agli
obblighi previsti dalla richiamata direttiva.
Per tali
ragioni, avendo escluso la categoria dei dirigenti dalla normativa interna
relativa alla cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, la
Repubblica italiana ha violato le disposizioni della direttiva
98/59/CE ed è stata, pertanto, condannata al pagamento delle spese.
Valerio
Pollastrini
(1) - Sentenza del 10 settembre 2009,
Akavan Erityisalojen Keskusliitto AEK e a., C-44/08, Racc. pag. I-8163, punti
39 e 47;
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