Chi siamo


MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


giovedì 13 febbraio 2014

Quando il Piano di Inserimento Professionale nasconde un rapporto di lavoro subordinato

Nella sentenza n.2055 del 30 gennaio 2014, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’impiego dei lavoratori superiore al periodo previsto per il Piano di Inserimento Professionale determina la conversione del rapporto in un contratto di natura subordinata.

Il caso  in commento è quello che ha riguardato una dipendente della Cooperativa “L’Airone” che aveva svolto mansioni di addetta all’assistenza degli anziani dal 3 novembre 1999 al 31 dicembre 2000.

Come si evinceva dall’annotazione sul libretto di lavoro, il 15 marzo 2000 la lavoratrice era  stata inserita in un "Piano di Inserimento Professionale" (P.I.P.) e, al pari delle altre assistenti inquadrate come dipendenti, aveva svolto le proprie mansioni per 24 ore settimanali, percependo un compenso di 800.000 lire mensili.

Terminato il rapporto, la lavoratrice aveva chiesto al Tribunale di Termini Imerese il riconoscimento della natura subordinata delle prestazioni svolte e, sostenendo di aver  percepito un compenso inferiore rispetto ai minimali fissati  dalla contrattazione collettiva, aveva avanzato l’ulteriore pretesa del pagamento delle differenza retributive.

In seguito all’istruttoria, il giudice adito, ricordando come i Piani di Inserimento Professionale, alla stregua dei contratti di formazione e quelli di apprendistato, siano rapporti di lavoro di tipo formativo con causa mista, aveva accertato che la ricorrente aveva svolto le prestazioni lavorative al pari delle altre dipendenti della società, senza ricevere la necessaria formazione.

Per tale motivo, il Tribunale di primo grado aveva ritenuto che il rapporto instaurato fosse in realtà simulato, celando un rapporto di lavoro subordinato.

Riscontrata la presenza dei tratti tipici della subordinazione, il Tribunale aveva quindi accolto la domanda della ricorrente, applicando per la determinazione delle differenze retributive il C.C.N.L. dei dipendenti del settore assistenziale e socio-sanitario.

Successivamente, la Corte di Appello di Palermo aveva però ribaltato la sentenza di primo grado.

Per la Corte territoriale, dinnanzi ad  un rapporto formalmente instaurato come  Piano di Inserimento Professionale, la sussistenza di una  prestazione di natura subordinata richiedeva una prova, rigorosa e certa. Prova che, in base ai teste ascoltati, a detta del Giudice di secondo grado, non era stata raggiunta.

La lavoratrice aveva dunque adito la Cassazione.

La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso, oltre a rilevare che la sentenza impugnata aveva omesso di considerare una deposizione testimoniale da cui si evinceva  che il rapporto di lavoro aveva avuto inizio nel 1999 e non nel 2000, ha ritenuto  che l’adempimento degli   obblighi di formazione, imposti per la legittimità del Piano di Inserimento Professionale, non era stato provato dal datore di lavoro.

Ai sensi dell'art. 15, comma 6, del D.L. n. 299/1994 (1), l'utilizzazione dei giovani nei progetti che prevedono periodi di formazione e lo svolgimento di un'esperienza lavorativa per figure professionalmente qualificate, non determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro, non comporta la cancellazione dalle liste di collocamento e non preclude al datore di lavoro la possibilità di assumere il giovane, al termine dell'esperienza, con contratto di formazione e lavoro, relativamente alla stessa area professionale.

La Cassazione ha quindi chiarito che,  per potersi escludere l'instaurazione di un rapporto subordinato, è indispensabile l’utilizzazione effettiva del lavoratore all'interno dei progetti, nel rispetto degli obblighi  formativi e dell’ esperienza lavorativa prestabiliti.

Nel caso di specie la lavoratrice  aveva dimostrato di aver prestato attività lavorativa subordinata fin dal 3 novembre del 1999, in un periodo dunque precedente rispetto a quello dell'inserimento nel P.I.P., formalizzato solamente il 15 marzo 2000.

Si tratta di una circostanza  erroneamente ignorata dalla Corte di Appello che, al riguardo, non aveva neppure preso in considerazione una testimonianza decisiva in tal senso.

Per tale ragione, la Suprema Corte ha rinviato la causa alla Corte d'Appello di Palermo che, in diversa composizione, dovrà dirimere la questione.

Valerio Pollastrini


(1)   - Convertito con L. n. 451/1994;

Nessun commento:

Posta un commento